CAPITOLO 7 - L'allenamento di Josefin

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Mi addormentai quasi subito, come fossi entrata in una specie di trance. Riconobbi subito quella melodia, da quando ero qui, non avevo più fatto quei sogni. Mi ritrovai in un luogo mai visto prima, senza pareti né pavimento, vi era solo una luce abbagliante, non saprei neanche descriverla, semplicemente perché non faceva parte del mondo terreno. Sentii una voce che canticchiava quella melodia, finché si bloccò di colpo – Josefin, sei sempre più vicina a me. Sei così speciale, farai cose inimmaginabili –. La luce mi avvolse, sentii un calore mai provato prima, un fuoco che bruciava dall'interno, come fosse reale e non mi lasciava respirare. Lottai per resistere a quell'ardore, finché stremata, urlai ed esausta decisi di lasciarmi andare. Gridai così forte che mi svegliai, le lenzuola stavano bruciando sopra di me, con un gesto istintivo scivolai dal letto e incredula indietreggiai fino alla parete, dove mi rannicchiai impaurita. Le mie urla dovevano avere svegliato gli altri, il primo che raggiunse la mia stanza fu Gabriel, avevo uno sguardo cripto, lessi tanta preoccupazione. Si guardò attorno, come stesse cercando un qualche nemico da sconfiggere. Arrivò da me – Come stai? – mi disse in tono angosciato. Quasi mi veniva da piangere, era da tanto che non mi guardava così e non mi rivolgeva tanta preoccupazione – bene - dissi in un filo di voce. Sii irrigidì e andò via quando, in un paio di minuti, gli altri abitanti della casa arrivarono nella mia stanza – Cosa è successo? – mi dissero in coro, guardando le mie lenzuola divenute ormai un mucchietto di cenere. Hannah corse subito da me e mi abbracciò, quasi avessi rischiato la vita – stai bene? – mi disse con voce preoccupata. Io annui, non riuscivo neanche a guardarli, né a parlare – Non lo so – riuscii a dire in un fiato di voce. Non potevo essere stata io, non controllavo l'elemento del fuoco. Vidi i loro sguardi, erano impauriti, solo una persona, l'indegno, era divenuto padrone di più elementi e questo aveva portato caos e distruzione. – No, questi sguardi no. Hanno paura di me – pensai. Mi alzai di scatto, mi avvicinai alle lenzuola e con una calma che non avevo – scusate, stupidamente, stavo giocano con l'accendino, mi è caduto e questo è il disastro – abbozzai un sorriso per rendere la storia credibile. Mi guardavano stralunati, come se non stessi bene, ma alla fine fecero cadere la cosa e ritornarono a dormire – Stai più attenta. Domani dovremo alzarci presto – mi riproverò Erik mentre uscivano dalla mia stanza. Pulii il disastro fatto e presi dal mobiletto nel corridoio un nuovo paio di lenzuola. Sistemai il letto, in modo meccanico, la mia mente era concentrata agli avvenimenti dell'ultima ora. Non riuscivo a dare una spiegazione logica a tutto questo, alla fine esausta mi addormentai.

La sveglia suonò presto, ma non ebbi manco il tempo di spegnerla che nella mia stanza piombo il caos. Erik e Hannah entrarono di corsa – Svegliati! Oggi andiamo al campo di allenamento – urlarono in coro. – Vi odio. Tutta questa energia di mattina presto è insopportabile – bofonchiai, mentre mi giravo dall'altra parte del letto. Loro risero di gusto – Muoviti o farai tardi – mi rimproverarono allegramente. Mi preparai controvoglia, doccia, abiti comodi e giù in cucina per fare colazione. L'atmosfera sembrava tranquilla durante il pasto, nessuno fece cenno alla sera prima o almeno io non lo notai, mi sedetti e mangiai un toast al formaggio, adoro questo tipo di "panino", pensai addentando l'ultimo morso. – Dobbiamo andare, come fai a essere sempre l'ultima – mi ammonì Gabriel in tono tagliente, non gli risposi neanche, riusciva a darmi sui nervi – come poteva essere così gentile il giorno prima e diventare così stronzo il giorno dopo – pensai irritata mentre mi accingevo a raggiungere gli altri.

Salimmo in macchina e percorremmo il viaggio in solenne silenzio, io ne fui contenta, così potevo approfittarne per dormire un po', ma sentivo la mia nuca in fiamme, mi girai in modo distratto, quasi causale e notai Gabriel che mi fissava insistentemente – che cavolo voleva – oggi ne avevo abbastanza del suo comportamento, decisi di ignorarlo e chiusi gli occhi.

Dopo un'ora e mezza di viaggio, imboccammo una stradina sterrata, con ai lati una fila di alberi con una volta chioma - siamo quasi arrivati – esclamò Erik. – che avranno da essere così entusiasti di fare ore e ore di allenamento – pensai.

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