Erano i primi giorni d'agosto, le settimane passarono frenetiche e tutto si muoveva con costanza, mi ero completamente dimenticata dei blackout, l'unico neo quel sogno, tornava ogni notte sempre più nitido sembrava quasi di vivere una storia parallela, vivere una vita che non era mia, ma che in qualche modo era legata a me. Nei sogni c'era sempre quella casa, quella melodia e quella bambina con quell'oggetto argentato e quella pietra scintillante incastonata al centro. Ancora non ero riuscita a identificare che cosa potesse essere o in che modo poteva essere utilizzato, so solo che la bambina lo custodiva gelosamente come se fosse un prezioso amuleto magico. In tutto quest'oblio iniziavo a provare familiarità, tanto che cominciai anche a imporre un nome ai personaggi che sognavo. La bambina si chiamava Emily, aveva otto anni non di più, proveniva da una famiglia aristocratica o benestante, almeno così sembrava dagli abiti e dal modo di parlare. Sembrava una bambina solare, allegra, come sono i bambini d'altronde, ma in alcuni momenti riuscivo a sentire la sua malinconia che nascondeva dietro un sorriso. Oltre a Emily nei miei sogni avevo incontrato Tobbias il giardiniere, un signore sulla sessantina, grande lavoratore, aveva dei ricci brizzolati che scendevano disordinati sulla fronte, occhi castani molto stanchi, qualche chilo in più che appesantiva la figura, tendeva a camminare trascinandosi la gamba destra. Caroline la governante, nonché balia della piccola Emily, una donna di mezza età, molto precisa nel suo lavoro, aveva degli occhi neri grandi e profondi, un viso segnato dal tempo e dalle sofferenze, teneva al collo un crocifisso come se ciò potesse proteggerla dalle cattiverie del mondo. Nei miei sogni non mi capitava mai di vedere la madre di Emily, come se tale donna non esistesse, di sfuggita avevo intravisto il padre o almeno un uomo che intuii potesse sembrare il padre della piccola, aveva origini nobili e s'intuiva dal suo abbigliamento curato nei minimi dettagli e da un anello con inciso lo stemma di famiglia, un leone su uno scudo e un serpente che si avvolgeva in cerchio. Portava con sé un orologio da taschino che interrogava molto spesso così da controllare lo scandire del tempo. Era alto, magro, con una chioma bionda che a contatto con i raggi solari formava dei riflessi bianchi, sembravo un uomo molto taciturno e timido.
Lo squillo del telefono mi riportò alla realtà, - numero privato, no ti prego sarà qualche pubblicità, vorranno vendermi qualcosa – pensai infastidita e chiusi la chiamata, ma il telefono continuava a squillare. Al quarto tentativo risposi pronta a dirgliene quattro e sfogare tutto il mio disappunto, ma una voce rocca e lontana dall'altro capo del telefono mi precedete – Alicia, finalmente ti abbiamo trovato. Tutto ti sarà rivelato quando verrà ristabilito il legame primordiale, ti cercavamo da anni Josefin, mancano ancora pochi giorni e tutto sarà svelato – rimasi allibita chi era costui, cosa voleva da me e perché mi aveva chiamato Josefin. Non feci neanche in tempo a tempestarlo di domande, spiegandoli che aveva sbagliato numero, che la voce rise, una risata cattiva a denti stretti e chiuse il telefono lasciandomi con tutte le mie domande senza una risposta. Mi resi conto che stavano succedendo troppe cose strane a cui non riuscivo a dare una risposta, ma preferii allontanare tali preoccupazioni e pensare a un brutto scherzo di un folle, invece che soffermarmi sull'accaduto, anche perché questo voleva dire iniziare a dare risposte inspiegabili a tutto quello che mi stava accadendo intorno e non ero ancora pronta ad ammetterlo neanche a me stessa. Decisi d'alzarmi dal divano, farmi una doccia rilassante, scongelare qualcosa al microonde e guardare un po' di tv, doveva esserci qualche film horror in seconda serata. Impostai il timer al microonde – sei minuti possono bastare per scongelare dei bastoncini – pensai tra me e me e volai in doccia. Uscita dalla doccia, indossai il mio pigiama blu, con un orsacchiotto centrale nella maglia e un orlo decorato bianco e le mie pantofole rosa preferite – non è la mia tenuta migliore, ma è comodissima – pensai mentre mi guardavo allo specchio. Andai in cucina a preparare la cena prima dell'inizio del film, tutto questo con gesti automatici, quasi senza pensare. Iniziai a guardare il film, parlava di una terra lontana e misteriosa e di strane creature mostruose che divoravano gli abitanti di tale pianeta. Di solito sarei rimasta affascinata dalla trama del film, ma non stasera troppi pensieri, troppa stanchezza, crollai in un sonno profondo senza rendermene neanche conto e di nuovo mi ritrovai catapultata in quella casa, ma stavolta il sogno era diverso, mi ritrovai all'interno della casa, sembrava deserta. Era la prima volta, - fino ad ora avevo visto solo il giardino con quella maestosa quercia rossa - pensai, invece ora all'interno ammirai l'ampio atrio, con il suo pavimento in marmo e le piccole venature rosa, al centro di tutto ciò una scala, con la ringhiera in legno di abete intagliato a mano, che si dirama all'apice per condurre ai piani superiori. Al lato destro della scala c'era un mobiletto basso di color verde acqua, decorato con dei gigli bianchi negli sportelli frontali, che a vederlo in tutta quella grandezza ed eleganza, stonava con il resto dell'arredamento. Tuttavia non fu quello a colpirmi, sopra il mobiletto c'era uno strano cofanetto blu con incisi dei segni indecifrabili, cercai di avvicinarmi al mobiletto, in modo da poter osservare lo scrigno da vicino, il tutto cercando di muovermi con passo felpato e bloccandomi a ogni minimo rumore. Riuscii ad arrivare al mobiletto dove presi in mano il cofanetto, emanava una strana sensazione mai provata, un'energia mi attraversò per tutto il corpo risvegliando ogni cellula del mio essere. La scatola non si apriva e aveva una strana serratura, con quattro simboli circolari ai lati di essa, sul fondo si trovava un'incisione scritta a mano in latino "Quattuor claves quatuor turres quatuor puncta a summae veritatis viam unius". Una frase cripta, di difficile comprensione, provai a ripeterla e ripeterla nella mente - quattro chiavi, quattro torri, quattro punti cardinali, solo una via porterà alla verità suprema – ma non riuscivo a trovare un nesso, un collegamento che potesse aiutarmi. Nella parte più profonda di me sentivo di doverla aprire – ma come, senza chiave, senza un codice è impossibile, forse la chiave è all'interno della casa – riflettevo tra me e me, mentre sentii un tonfo assordante al piano superiore, alzai gli occhi e in un attimo il buio. Mi svegliai di soprassalto, era già giorno, - Oh Dio, era già mattina – urlai, - avevo fatto un sogno tanto strano, che sembrava così reale e sempre in quella casa. Tutto appariva talmente nitido come se potessi interagire con esso, ma era solo una sensazione – pensai, mi alzai dolorante dal divano per preparare il caffè e sbattei il piede con un oggetto freddo nel tappetto sotto il tavolino in vetro, con aria assonata e infastidita abbassai lo sguardo. No non ci credo, non può essere – urlai sgranando gli occhi. Lì a terra davanti a me c'era lui, il cofanetto del sogno, - non poteva essere li, stavo sognando – pensai, mi abbassai per prenderlo, ero terrorizzata, ma allo stesso tempo fremevo dalla curiosità di vedere se tutto ciò fosse concreto, - è reale – dissi con un filo di voce, come se lì con me ci fosse qualcuno. Tante domande assillavano la mia mente, ma non avevo nessuna risposta per loro. Lo squillo del telefono blocco il filo dei miei pensieri, quasi sussultai, avrei voluto non rispondere, non avevo intenzione di parlare con nessuno, volevo concentrarmi su quello che mi stava accadendo, riordinare le idee e capire, ma quasi in automatico lo feci. Risposi – Pronto – e senti la stessa voce che sottovoce bisbigliava - Josefin vedo che hai trovato lo scrigno, la connessione sta diventando più forte, manca poco ormai – riattacco senza aspettare risposta e comunque non avrei potuto dire nulla, le parole mi morivano in gola, come se non potessi più emanare un suono. Una parte di me credeva di impazzire, l'altra parte era convita di aver superato quel limite tra sanità mentale e abisso della follia. Non sapevo cosa fare, non potevo parlare con nessuno mi avrebbero presa per pazza, neanche Hannan non avrebbe capito e poi in questo periodo era così concentrata con il suo lavoro. Mentre pensavo sul da farsi, un'idea balenò nella mia mente e più ci pensavo e più risultava l'unica soluzione, dovevo ritrovare quella casa, qualcosa mi aveva portato lì e non era il solo una banale coincidenza, dovevo tornare lì e scoprire cosa stava accadendo.
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LA VERITA' SUPREMA
ParanormalIl libro narra la storia di una ragazza di nome Alicia, una fanciulla apparentemente normale, ma che nasconde un passato misterioso. L'unico indizio per la scoperta della verità è celato in una casa abbandonata, dove si trova un piccolo cofanetto b...