CAPITOLO 5 - Il passaggio segreto e la casa oscura....

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Diedi un ultimo sguardo veloce alla stanza e mi precipitai fuori, feci di corsa tutto il corridoio e non vidi neanche le scale. Il cuore mi batteva all'impazzata – finalmente qualcosa di concreto, non solo i sogni che da qualche mese accompagnano le mie notti – pensai, mentre percorrevo la navata centrale che mi avrebbe portato davanti all'altare. La Tavola liturgica costituiva il luogo dello svolgimento di liturgie sacre all'interno di un'area consacrata. Configurato come un parallelepipedo rettangolo in pietra bianca con venature grigie, sorretto da quattro pilastri rotondeggianti. Nell'ultimo pilastro a sinistra vi era una piccola leva, la spinsi con tutta la forza che avevo in corpo. Senti un rumore come di una pietra che rotola via, mi girai verso il rumore e scorsi la parete dietro di me muoversi. Una sezione del muro si ripiegò su se stessa e si aprii un minuscolo varco – era tutto reale – dissi in un sussurro. Una parte di me era terrorizzata, avevo paura di quello che potevo trovare, di non essere pronta, l'altra parte di me non vedeva l'ora, sentiva di aver bisogno di vedere, di scoprire tutta la verità. Sentivo che ero nel posto giusto, che avevo vissuto tutta una vita per arrivare a quel momento. Un brivido pervase la mia schiena, solo in quell'attimo capii che ogni pezzo del puzzle si stava incastrando perfettamente. Raccolsi la candela ormai consumata e accesi un altro cero, non sapevo quanto sarebbe stato lungo questo passaggio. Mi dirigei verso l'entrata, notai il silenzio che proveniva da quella strettoia, il buio che si espandeva sino all'orizzonte e il vento gelido che oltrepassava le ossa. Iniziai a contare ad ogni passo che mi spingeva verso l'oscurità - 1, 2, 3, 4..... -. Camminai per così tanto tempo, ormai avevo perso ogni speranza di trovare una via di uscita, pensieri lugubri avevano attraversato la mia mente, già vedevo gli articoli di giornale "giovane donna trovata morta in un'intercapedine", risi al pensiero – almeno l'umorismo è intatto – riflettei. Dopo un'ora e mezza di camminata ininterrotta, vidi uno spiraglio di luce in lontananza. Iniziai a correre, avevo bisogno di aria fresca, stavo soffocando lì dentro. L'aria era così rarefatta all'interno del passaggio, che quando arrivai all'uscita respirai a pieni polmoni, per assaporare ogni molecola di ossigeno. Il passaggio finiva in mezzo a dei rovi di mora, mi graffiai le braccia e le mani per farmi largo tra essi. Appena comparii fuori, fui disorientata, era ormai notte, non capivo dove fossi, mi guardai in torno, ma nulla. Decidi d'essere cauta, e decisi di dividere lo spazio in quattro quadranti, così da controllare il luogo senza perdere i dettagli. Appena iniziai il primo quadrante notai subito un albero familiare, la possente quercia rossa – ero lì – pensai. Mi avvicinai alla quercia, era ancora più imponente vista da vicino, osservai il suo tronco segnato dal tempo, i suoi rami e la sua folta chioma, che bloccavano i raggi della luna. – sei bellissima – sussurrai accarezzandola. Mi sentivo carica, sapevo dipendesse dalla pianta e non ne comprendevo il motivo, ma sentivo un'energia nuova che partiva da dentro di me. Continuai la mia ricognizione, l'erba bagnata dall'umidità toccava le mie caviglie, facendo partire brividi di freddo su tutto il corpo. La candela si era ormai spenta e l'unica luce proveniva dalla luna. Il giardino era uguale alle foto che avevo trovato, rimaneva più trasandato, ma in quella penombra non si riusciva scorgere molto. Pensai fosse più logico dirigermi verso la casa, sembrava disabitata o almeno io speravo lo fosse. Salii sul portico bianco, le travi cigolavano al mio passaggio, una sedia a dondolo si muoveva, come fosse cullata dal vento – una scena un po' macabra – pensai avvicinandomi alla porta. Lanciai un sospiro per calmare l'ansia che mi accompagnava ormai da ore, aprii la porta e superai l'uscio. La casa era ancora più sinistra in questo tra luce e ombra, strizzai gli occhi per focalizzare meglio le sagome all'interno della stanza. Era tutto uguale al mio sogno, l'imponente scala, il pavimento, mi meravigliai di tuto ciò. Poi pensai alle foto che avevo trovato in quella chiesa. Possibile che io sia vissuta in questo posto e abbia rimosso tutto, com'è possibile dimenticare una parte della propria vita. Contai tutte le porte, così da memorizzare le varie stanze da controllare. Al piano terra vi era un ampio atrio, con alla sinistra due porte in legno, lo stesso a destra come fossero due lati completamenti simmetrici. Una scala bellissima, con corrimano in legno decorato, si diramava in due permettendo all'interlocutore la possibilità di agevolare l'arrivo a destinazione. Al piano superiore vi erano cinque porte posizionate in fila. Analizzai con lo sguardo il mobiletto del mio sogno, per intravedere qualcosa di diverso e mi avvicinai. Era tutto impolverato, tranne un rettangolo centrale. Le dimensioni erano quelle del cofanetto blu, accarezzi quella porzione di legno, come per avere una qualche risposta. Ero così assorta nei miei pensieri che quando una voce mi chiamo sbalzai dallo spavento – Emily Josefin, sei arrivata finalmente – mi girai di scatto. Una signora di mezza età mi guardava con occhi rassicuranti – avrai tante domande, seguimi –, si giro e s'incammino nella stanza al lato opposto del mobiletto. L'ambiente era molto accogliente, al centro della camera vi era un tavolo in legno massiccio con quattro sedie, nella parete sinistra una libreria in mogano e nel tramezzo centrale un caminetto acceso con due poltrone ai lati. Mi fece cenno di sedermi in una poltrona, mentre lei avvicinava un vassoio con del thè fumante – avrai preso tanto freddo – disse versandomi una bella tazza di quel liquido ambrato. Confusa presi la tazza e annuii, non sapevo cosa fare, avevo così tante domande, ma ora lì, davanti a lei, non riuscivo a dire nulla. Balbettai delle frasi senza senso, mi ricordai delle foto e senza dire niente, gliele mostrai. – ah bei tempi, questi, quanto eravate felici voi bambini, tu poi eri la più curiosa, ti mettevi sempre nei guai. Incuriosita, gli chiesi di più, perché non ricordavo nulla?, chi fossero quei bambini? Perché Hannah era li?

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