Capitolo 4

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La luce livida e fioca della lampadina mi infastidisce costringendomi a voltarmi nella branda scomoda della mia cella.
'Questi eventi sono avvenuti troppo in fretta' penso rimuginando gli eventi sconvolgenti dell'ultimo mese.
Sono passate settimane dalla mia condanna, ormai ho perso la cognizione del tempo.
Panem ha vinto.
Non ho più notizie di mio nonno da tanto tempo, anche se dubito che l'abbiano lasciato in vita.
Da poco è stato decretato che si svolgeranno i settantaseiesimi Hunger Games con i figli dei capitolini.
Le lacrime iniziano a solcarmi il viso.
Mi appoggio sul fianco, gemendo per le piaghe non ancora rimarginate di quel terribile giorno in cui fui trascinata insieme ai superstiti del massacro, attuato dai ribelli, su un carro trainato da cavalli in una sala. Ricordo ancora le grida animalesche, i pianti disperati dei bambini e poi l'esplosione.
In quel momento, ricordo, mi trovavo in strada, lontana dal luogo d'impatto, mentre cercavo di nascondermi dalla folla strepitante. Percepii un potente boato.
Ero tentata di scappare, ma allo stesso tempo volevo capire cosa fosse successo.
Prima che mi avvicinassi però, notai con grande stupore che dei paracadute stavano scendendo dolcemente, portando dei piccoli cilindri.
Tuttavia la breve scintilla di speranza che era balenata negli occhi di tutti mutò in sgomento.
Non appena le prime mani toccarono qualche cilindro questo esplose.
Fui scaraventata lontano dall'onda d'urto rotolando fino a dei blocchi di cemento armato, che mi procurarono una serie di graffi e ematomi.
Pensando a ciò mi domando quanto possa fare male una ferita da arma da taglio rispetto a qualche livido. Immagino una lancia trafiggermi il petto.
Una scarica di adrenalina mi pervade al pensiero della mia morte certa: allora è così che si sentono i tributi il giorno della mietitura.
Sento la paura divorarmi.
"Non riuscirò mai a vincere!"
L'unica cosa che mi dà conforto è l'idea che gli altri tributi non saranno molto allenati, o, per lo meno, la maggioranza di loro non lo sarà.
-Celestia?- sussulto.
-zia Marion!!-esclamo. Non sembra più quella di prima. Indossa degli abiti stropicciati, i suoi capelli sono arruffati e due grandi occhiaie livide le coronano gli occhi. Ha un'aria esausta: e chi non lo è in questi tempi? In compenso sembra più umana senza tutti quei gingilli.
-Tesoro, non sai...quanto ho passato per poterti venire a trovare! Non sai quanto...quanto- inizia a singhiozzare -...mi....mi dispiace!!-.
-Non è colpa tua dopotutto...-
-Lo so ma, non sai quanto vorrei...poter fare qualcosa...- sembra sincera, forse tiene davvero a me. Mi piange il cuore a vederla in quello stato: nonostante l'abbia sempre detestata è pur sempre mia zia e mia tutrice.
-Hai già fatto abbastanza....o meglio abbiamo-
Sembra perplessa.
-Capitol City è la causa di tutto questo! Ma non capisci! Siamo stati noi!! Noi abbiamo sottomesso i distretti sfruttandone le proprietà! Noi ne abbiamo ridotto gli abitanti in miseria! Hanno ragione a reagire in questo modo!! Io...l'ho capito solo ora e sono stata stupida. - sto gridando.
-STUPIDI HUNGER GAMES!!!-
-Ehi voi! Fate silenzio!!- sbraita la guardia, dal muso arcigno, che mi sorveglia.
-Hai ragione...- sussurra zia Marion.
-Ma non posso permettere che la mia nipotina rimedi agli errori di un'intera popolazione!-
-E cosa vorresti fare? Ormai è tardi! Entrerò in quell'arena e non mi vedrete più, a meno che non vinca. Ma anche in quel caso...non mi vedreste.-
Zia Marion annuisce, segno che ha capito cosa voglio intendere: tutti i capitolini moriranno o saranno ridotti schiavi dei distretti.

Io e Capitol CityDove le storie prendono vita. Scoprilo ora