Camminava seguito solo dal suo cavallo bianco da battaglia, Kabir, e dal suo cavallo bretone, Roccia, che trasportava le sue cose per il campo e le armi. Aveva ancora la croce al petto. Si guardava attorno, incuriosito nel vedere persone tanto diverse tra loro. Incrociò due uomini col turbante, poi ancora un gruppo di pellegrini, incontrò due cavalieri in arme, dagli atteggiamenti arroganti e grossolani, molto diversi dai cavalieri saraceni, gentili nei modi e carichi di cultura.
Da qualche giorno era rimasto solo, tutti i suoi compagni, che erano sopravvissuti a quattro anni di guerra, erano partiti per la terra natia. Giunse davanti al Tempio. Il Tempio di Salomone, ora detto Tempio di San Giovanni; il muro che lo cingeva era possente. All'ingresso vide un cavaliere; non era alto, ma era massiccio, col mantello bianco e la croce al petto. Il suo sguardo era intenso; era diverso dagli altri; immediatamente colpì la sua attenzione. Il cavaliere si rivolse ad Antor con atteggiamento quasi di scherno: "Che fai? Guardi le decorazioni o entri?" Un po' sopito per la fame, un po' stanco pel girovagare disse senza nemmeno pensare alle parole: "Sei un templare?", dopo aver sentito una sonora risata, si sentì rispondere: "Sei cieco? Certo che lo sono. Ma tu sembri uno che ne abbia viste di cose. Non sembri uno sbarbatello qualsiasi". Aveva notato i libri che sporgevano dalla borsa appesa alla sella. Antor disse: "Ho attraversato il deserto". Il cavaliere aggiunse: "Mi sembri solo e senza supporto. Qui puoi trovare una famiglia che ti sostenga. Come ti chiami?"
"Antor".
"Il mio nome è Marcug. Ti troverai bene qui". Con un sottile sorriso, gli mise una mano sulla spalla e lo invitò a seguirlo: "Andiamo a mangiare, credo che sia la cosa di cui tu adesso abbia più bisogno. Vieni! Ti presento i miei compagni, ecco Marzot.
Marzot era il più grande di età, aveva braccia forti, sguardo intenso e determinato, portava un arco ricurvo saraceno. Marcug aveva lo sguardo intelligente e di grande carisma, vestiva elegante e portava armi raffinate, tra cui un arco lungo. C'era anche Fabius, forse fra i tre appariva il meno avvezzo alla battaglia ma con un forte temperamento, aveva un'armatura possente. Antor si trovò subito a suo agio e fu come se li avesse conosciuti da una vita intera. Si sedettero e Antor cominciò ad ingurgitare la zuppa di legumi accompagnata da pane che azzannava come se fossero mesi che non mangiasse, prese il boccale di vino e la sete gli suggerì di aggredirlo.
Marcug invece, prese un boccale di vino e ne gustò qualche sorso, inspirò profondamente, Antor interruppe il suo ingurgitare e guardava come se vedesse le stelle in una notte tersa da nuvole. Marcug allora disse: "È un Dabouki, ha un particolare sentore di frutta esotica. È la dominante caratteristica di questo vino. Viene prodotto a nord di qui". La sua espressione era estatica, Antor non aveva mai visto niente di similare, egli aveva bevuto da sempre il vino e se ne era dissetato, certo non gli piaceva lo stordimento successivo, ma si sentiva comunque dissetato. Allora prese il bicchiere, lo guardò, poi chiuse gli occhi e come se compisse un balzo nel vuoto si impadronì di un piccolo sorso. Lo trattenne. Inspirò profondamente e percepì la bevanda come calore nella gola, improvvisamente gli si aprì davanti a sé un mondo cui non si era mai accorto di avere lì a portata di mano. Aprì gli occhi e disse: "È vero!" Sentì la stanchezza fuggire via e la forza che si impadronva di nuovo delle sue membra.
Marcug gli chiese: "Cosa ti ha portato qui?"
Antor, dopo così tanto peregrinare, si sentì accolto e confortato, tanto che sentì il bisogno di liberare la sua anima e mentre tutti lo ascoltavano, cominciò.
"Mio padre è un artista, forgia spade, armature e quant'altro il ferro può suggerirgli. Sono cresciuto battendo il ferro e usando le armi che forgiavo con mio padre, compreso arco e frecce intagliati con perizia. Il nostro signore riconosciuto il mio talento nell'arte mi mandò al monastero di Ankor e qui, indossato il saio, appresi il latino e divenni amanuense e miniatore. Copiai la maggior parte dei libri della biblioteca e questo mi permise di apprendere molte cose. Quando al monastero avvertii che non c'era più nulla di nuovo, sentii il bisogno di cercare la redenzione per un'altra via ed ebbi l'approvazione di trovare il modo di andare in Terra Santa.
Mi accompagnavano due confratelli, il carro procedeva lento e l'asinello sembrava allegro, ma quando passammo per una strettoia tra le rocce fummo accerchiati dai banditi. I miei confratelli pensarono subito che quello sarebbe stato il giorno del loro incontro con Dio, ma io non fui disposto a separarmi dalla mia anima prima della redenzione, per mano loro.
Li vidi ridere di fronte all'espressione di terrore dei miei compagni.
Brandendo un pugnale il primo si avvicinò a me. Quello fu l'ultimo errore della sua vita; brandendo il mio bastone con due mani, gli menai un fendente alla base del suo collo. Non vidi nessuna espressione nel suo volto, ormai aveva smesso di ridere. Aveva chiuso per sempre la sua vita da brigante. Non aveva avuto nemmeno il tempo di pentirsi e rotolò per terra esanime.
Questo era il punto del non ritorno, da questo momento in poi non ci sarebbe stata pietà per me se mi fossi arreso. Dovevo combattere, e dovevo farlo senza indietreggiare.
Dal carro stesso usai il bastone dall'alto in basso centrando il successivo balordo in pieno cranio. Con la testa completamente deformata si trovò crocifisso sull'erba. Balzai dal carro e mentre ero ancora in volo vibrai un altro colpo che andò a segno. L'ultimo tentò di fuggire, ma lo colpì alle gambe per poi dargli l'ultimo addio.
Rimasi fermo in piedi non sentivo nulla, poi piano piano sentii la voce concitata dei miei compagni.
A poco a poco cominciai a capire cosa fosse successo.
"Sei pronto per l'assoluzione?" Mi disse il più anziano. "Assolvimi!" Gli dissi avido. E lui: "Sei pentito?" Io lo guardai implorante. "Ti assolvo", mi disse. Poi continuò: "Ho visto che non hai bisogno che noi ti accompagnamo, da qui in poi continuerai da solo il tuo cammino", così ci abbracciammo e proseguii la mia strada, mentre loro presero la via del ritorno.
Attraversata la foresta, andai nella casa di mio padre e per un certo periodo lavorai il ferro che era per me come argilla morbida nelle mani di un artista. Cacciavo nei boschi, lepri e fagiani, fino a quando il mio signore mi chiamò a udienza.
Mi presentai vestito col saio.
"Antor, figliolo!" Mi disse: "Con solo la benedizione e il bastone hai liberato la strada dai banditi, cosa cui non erano riusciti i miei migliori uomini". E li guardò con fare di riproverò. Essi si sentirono a disagio.
Incredibile! Pensai. Le notizie erano volate nel buio della foresta. Risposi come ero abituato a rispondere: "Mio principe, Dio lo ha voluto!"
Dopo una sonora risata liberatoria,
si rivolse ancora a me: "Io credo che Dio voglia anche da te un'altra cosa. Mio figlio Ustor parte per la Terra Santa con la croce impressa sullo scudo. Sai, lui è una mente, ma non è molto avvezzo alla battaglia, per cui tu lo seguirai, lo proteggerai e me lo riporterai indietro. Così ho deciso. Un'altra cosa, non potrai tornare se non riuscirai a riportarmelo in vita".
Mi sfuggì un sorriso ammicchevole, era proprio quello che cercavo, un passaggio per la Terra Santa.
Aggiunsi: "Mio signore, io sono un giovane di chiesa non un guerriero!" Continuando a ridere mi sgridò amorevolmente: "Antor! Figliuolo, togliti dai piedi e comincia i preparativi per il viaggio, prima che ti faccia bastonare. Sempre che qualcuno ci riesca!" E di nuovo guardò i suoi uomini squotendo il capo.
Partimmo con cinque cavalieri, tra cui Ustor il figlio del principe, poi c'erano gli scudieri e gli uomini di supporto, ogni cavaliere aveva quattro cavalli.
Attraversare il Mediterraneo non fu cosa facile. Ci trovammo nel bel mezzo di una tempesta, i cavalli scalciavano, bisognava calmarli, le sartie si strappavano, bisognava cazzale. Imbarcavano acqua e con i buglioli, secchi fatti di legno, ci davamo da fare per ributtarla fuori. Gridai al comandante Rozenkrans, un Vichingo, un marinaio espertissimo cui nessuna tempesta gli faceva paura, che bisognava fuggire dalla tempesta, lui mi rispose che non voleva uscire fuori rotta per via dei pirati. Avvenne allora che la nave prima fu sbalzata in aria e quando ricadde giù quasi rimase sommersa dall'acqua. Un cavallo scalciò per la paura e colpì il nostro stalliere che fu scaraventato quasi fuoribordo. Allora il capitano Rozenkrans mi guardò e prese la decisione. Gridò: "Vira a sinistra, fuggiremo la tempesta", poi rivolto a me, disse: "Spero che non finiremo dritti a menar le mani contro i pirati". Avevo disegnato il Mediterraneo molte volte e cercavo di tenere in mente la posizione di dove eravamo.
Passammo tutta la notte come formiche operose senza posa. Verso l'alba uscimmo fuori dalla tempesta. Le vele erano strappate, bisognava sostituirle, le cime erano al vento ed io mi detti da fare per sistemarle. Il sereno era tornato, solo allora mi accorsi che il nostro stalliere era accasciato a terra, tremante e indirizzito. Mi guardò pallidissimo ma sorridente e mi disse: "Ce l'abbiamo fatta!" Ma il suo volto era simile alla morte. Mi preoccupai molto per lui. Non trovai nulla di asciutto per coprirlo, così lo abbracciai per riscaldarlo.
Con la speranza era ritornata la vita, come quelle gemme che sopravvissute al gelo, guardano grate i primi raggi del sole.
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La mia vita coi Templari.
Historical FictionAntor, si presenta al tempio dei Cavalieri Templari e si unisce a loro. Racconta a Marcug, templare anche lui, la sua storia di crociato fino ad allora e cosa lo ha portato lì. Insieme scorteranno i pellegrini, si scontreranno e si incontreranno con...