Le ore erano passate e il nostro galoppo era costante ma non troppo sostenuto per non sfiancare i cavalli. In lontananza, dietro di noi, vidi una nuvola di polvere, erano i nostri inseguitori. Il sole tramontava e davanti a noi vidi l'ombra delle montagne. Avevamo un idea come andare oltre, ma nessuno di noi non proferiva parola.
Ora la luna era alta e in quella situazione di sopravvivenza non aveva nulla di romantico, mi appariva come un angelo che ci illuminava la via della salvezza.
Arrivammo alle pendici e davanti a noi si aprivano pietraie quasi impossibili da percorrere. Kabir, un cavallo da deserto, capace di attraversarlo in corsa senza sforzo, non sarebbe stato in grado di scalare la montagna. Bisognava prendere una decisione. Marcug e Marzot non dissero nulla, ma sapevo cosa avrebbero voluto dirmi. Scesi a terra e cominciai a sciogliere i finimenti, tolsi anche la sella e Kabir sbuffò quasi per rimproverarmi, così gli detti un'ultima carezza. Sellai Roccia, montai in groppa e mi inerpicai tra le rocce. I nostri erano cavalli europei, in grado di scalare l'impossibile. Sentì Kabir nitrire, con la coda dell'occhio lo vidi tentare di risalire il pendio, ma subito desistere, poi mi concentrai a guidare la mia cavalcatura e proseguii.
La luna illuminava i nostri passi per quei percorsi impossibili, ma piano piano arrivammo al crinale. Ma l'avventura non era ancora finita, ora bisognava scendere fino alla pianura e bisognava stare attenti a non stramazzare giù. Le ore passarono e giungemmo alle pendici, eravamo sicuri di non essere seguiti.
Ora bisognava trovare l'acqua. Individuai, in lontananza una gola, li l'avremmo trovata.
Il viaggio sotto il sole fu faticoso, ma giungemmo alla vista di Be'er Sheva. Vidi le mura e mi accorsi che dovevo approntare delle difese esterne, creare fossati e dislivelli, mettere delle trappole e punte per scoraggiare le cariche. Bisognava approntare delle difese interne, in base alle esperienze vissute. Bisognava coinvolgere gli abitanti, e qui Marcug e Marzot erano specialisti. Bisognava resistere fino all'arrivo dei francesi e salvare il territorio.
Appena fummo arrivati ci radunammo col comando dei cavalieri di istanza lì. Ci dividemmo i compiti e ci mettemmo subito al lavoro. Insieme alle difese costruii una catapulta e la puntai là dove avrebbero trascinato le macchine belliche.
All'interno feci costruire dei camminamenti coperti, in modo da andare da una parte all'altra coperti dalle frecce che sarebbero arrivate dall'alto.
Tutto era pronto. Una volta arrivati, avrebbero attaccato per prendere la città prima dell'arrivo dei francesi.
Li vedemmo arrivare, erano veramente tanti, coprivano una vasta porzione di territorio, li vedemmo accamparsi.
La notte prima dell'attacco fu di un sonno tormentato. Avremmo combattuto fino alla morte senza arrenderci e non sapevamo se ce l'avremmo fatta, era questo il tormento peggiore.
Il sole era appena spuntato e dopo la preghiera li vedemmo armeggiare le scale e partirono in corsa ma si dovettero fermare ai primi fossati che superavano con le scale a mo' di ponti, per questo non potevano usare i cavalli per avvicinarsi più in fretta, così noi avevamo il tempo di spostare gli uomini là dove proveniva l'attacco. Lentamente superarono i fossati e si avvicinarono e qui noi li tormentammo con le frecce. Quando arrivarono sotto le mura le scale furono inutili perché avevo fatto scavare un fossato a ridosso delle mura. Il loro primo attacco fu un fallimento. Li vidi trascinarsi i corpi dei loro compagni caduti per le nostre frecce.
Il secondo attacco fu diretto alla porta principale, ma un fossato proprio lì davanti li fermò.
Passarono dei giorni, poi vidi apparire due macchine da guerra, un grande ariete seguito da una grande catapulta. La catapulta era simile alla mia, molto strano. Quando giunsero al primo fossato migliaia di uomini vi riversarono pietre fino a riempirlo in poco tempo, allora azionammo la nostra catapulta. L'ariete velocemente attraversò la linea di tiro, la catapulta si affossò e dall'una de dall'altra parte cominciò la pioggia di massi. Era robusta, stavamo esaurendo le munizioni, allora andammo a prendere il fonte battesimale alla chiesa, ricavata da un blocco unico di marmo pesantissimo. Sfidammo la sorte tra i massi che arrivavano scagliati dalla loro catapulta, e la posizionamento. Allora io dissi: "Ma non sarà un po' sacrilego?" e Marcug mi rispose: "No, tranquillo. Vorrà dire che daremo loro il battesimo!" L'azionammo e il proiettile partì. Ne seguimmo la traiettoria con lo sguardo, sembrava marciasse verso l'alto a rallentatore, poi prese la discesa. I saraceni sembravano ignari dell'oggetto volante, sembrava infatti un'aquila. Poi si fece minacciosa e cominciarono a fuggire, allora arrivò e la deflagrazione fu grande, tanto da mandare in frantumi l'intera impalcatura. Le schegge avevano coperto una vasta area.
Ora la nostra preoccupazione era l'ariete, potevamo solo scagliare frecce, ma ogni uomo che cadeva era rimpiazzato da un altro. Quando giunsero sotto la porta ricoprirono il fossato di pietre cadendo sotto le nostre frecce letali. Riversammo resina incendiata sull'ariete, ma aveva più strati di copertura, di cui si incendiarono solo quelli esterni che furono prontamente rimossi: "Che idea eccellente!", allora si misero a lanciarci frecce precise tra le ferritoie, proteggendo i loro compagni. Il portone cominciò a battere come un enorme tamburo, allora gridai: "Costruiamo un muro intorno alla porta!" Dunque tutti corremmo a demolire la casa più vicina e utilizzare le pietre per la muraglia che salì in fretta. Chi portava la calce che le pietre. Ad un certo punto il portone si infranse e il cortile che avevamo creato si riempì di guerrieri assetati di sangue, ma il sangue che erano destinati a bere era il loro stesso, perché furono ricoperti di frecce. Quelli dietro che non sapevano cosa accadesse si riversarono sui corpi dei guerrieri uccisi e caddero a loro volta.
Ma da un altro punto giunse la notizia dei saraceni che salivano le mura con le scale, allora mentre io mi accupavo del portone d'ingresso Marcug e Marzot, arco e frecce alla mano salirono sulle mura. Io con alcuni guerrieri scavalcai il muro e spada alla mano raggiunsi l'uscita e appiccai il fuoco all'ariete, poi corsi là dove l'attacco era in corso. Dei saraceni erano riusciti ad arrivare sugli spalti alle spalle dei miei amici, dunque armai la mia mano del mio arco e dal basso del cortile verso l'alto, con calma lo usai contro di loro. Le mie frecce, ferme ed inesorabili, furono messaggere di morte fino a quando arrivarono lassù i guerrieri crociati a contrastare i nemici.
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La mia vita coi Templari.
Historical FictionAntor, si presenta al tempio dei Cavalieri Templari e si unisce a loro. Racconta a Marcug, templare anche lui, la sua storia di crociato fino ad allora e cosa lo ha portato lì. Insieme scorteranno i pellegrini, si scontreranno e si incontreranno con...