Progettai la catapulta e la realizzai trasformando l'ariete. La portammo a debita distanza e cominciarono ad arrivare i buoi trasportando i massi. Quando fu tutto pronto cominciammo a tirare i primi macigni che colpirono qua e là prima di correggere il tiro. Quando essi colpivano, la deflagrazione era tale che si sentiva un grosso boato, poi si vedevano le schegge volare dappertutto e si sentivano le urla dei feriti. Immaginavo il lavoro dei medici, gli uomini che trasportavano i feriti, quelli che correvano in cerca di un riparo. Ma la guerra, si sa, è ingiusta, l'unica cosa che si può fare è non cedere. Da quando avevamo aggiustato il tiro, i lanci si susseguivano, uno dietro l'altro con cadenza inesorabile, prima o poi la parete avrebbe ceduto. Il nostro intento non era distruggere la fortezza, ma conquistarla, per cui avremmo aperto solo una breccia nel punto più vulnerabile. La parete cominciò a cedere, poi un masso la infranse attraversandola, infine altri massi la distrussero. Mi arrivò l'ordine di smettere i lanci e cominciai a sentire le urla dei guerrieri che penetravano dalla breccia. I saraceni opposero una strenua difesa, poi i superstiti furono costretti a ritirarsi nel mastio centrale, assolutamente impenetrabile.
Nella tenda del consiglio si discuteva il modo di penetrare il mastio. Ma l'unica soluzione era quella di demolirlo.
Fui interpellato e allora dissi: "Con la mia catapulta lo potrei distruggere con tutti i nemici dentro, ma noi abbiamo bisogno che sia intatto, e non si può conquistarlo per assedio perché non abbiamo tempo. Quelli che lo difendono sono comunque degli eroi che non meritano di morire. L'unico modo è offrire ai saraceni la possibilità della vita e di andare via con l'onore delle armi. Per loro non sarebbe una resa disonorevole e noi avremmo la rocca intatta".
Discussero la mia proposta e fu accettata e l'indomani mi avviai davanti alla porta d'ingresso che era posta a diversi stadi di altezza. Fu calata una scala ed io salì fino in cima, entrai e fui attorniato dai guerrieri. Erano ritti e fieri, come di coloro che sanno che moriranno da eroi. Fui condotto all'ultimo piano e lì trovai il comandante.
Era di spalle con le mani poggiate sul tavolo a scrutare delle mappe in cerca di soluzioni. Era alto, col turbante, e l'armatura era coperta con una tunica di seta finissima. Aveva al fianco una spada ricurva col fodero ricco di iscrizioni. Anche se di spalle, si vedeva una grande nobiltà d'animo. Siccome lui non si girava allora cominciai io stesso e dissi: "Degli eroi come voi non possono morire così miseramente sotto i colpi della catapulta". Ma lui non si girava e non rispondeva, allora continuai: "Avrete l'onore delle armi e potrete andare via sui vostri cavalli, non sarà una resa". Allora lui cominciò a parlare: "Non è che voi avete bisogno di non distruggere la rocca e non avete tempo di prenderci per fame?"
Pensai che grand'uomo fosse, sembrava mi avesse letto nel pensiero, non sapevo cosa dire. Poi aggiunse: "Sei in gamba, devi aver avuto un buon maestro".
Io risposi: "Il migliore fra tutti quelli che avrei potuto sperare di avere..." Non mi fece finire che si voltò e lo vidi in faccia: "Al Eqlraya!" Esclamai e ci abbracciammo commossi. Mi disse: "Non solo sei diventato un grande guerriero, ma anche un ambasciatore di grande qualità e, soprattutto un costruttore di macchine da guerra, solo tu potevi architettare la presa di questa rocca imprendibile. Ti ho visto combattere sulle mura come una tigre. Sei penetrato per trovare il modo di conquistare la fortezza e ci sei riuscito". Mi vergognavo di essere stato proprio io a causargli tanta rovina e gli dissi: "Come fai a sapere che ero io?" e lui: "Perché io ti ho insegnato a combattere così, e solo tu potevi penetrare e uscirne vivo". Allora io dissi: "Ti chiedo di accettare la mia proposta. Anche perché io mi rifiuterò di azionare la catapulta e sarò ucciso come traditore e comunque qualcun altro lo farà. Degli eroi non possono morire così". Mi guardò, mi sorrise e disse: "Il destino ci ha fatto incontrare. Accetto, non voglio che tu muoia per causa mia". Gli dissi che i cavalli erano pronti con le provviste e l'acqua e gli feci strada. Scendemmo la scala salimmo sui cavalli e ci dirigemmo verso l'uscita, i cristiani crociati erano in fila con le lance alzate in segno di saluto, poi li accompagnai per un po' e ci salutammo. Ero molto felice per il buon epilogo della faccenda.
Quando tornai cominciai subito il lavoro di ricostruzione, smontammo la catapulta e la rimontammo all'interno, poi feci scavare delle trincee e feci costruire delle difese all'estero per evitare che eventuali nemici non usassero le nostre stesse tecniche contro di noi.
Ero sfinito e mi concedetti il meritato riposo pensando ad Al Eqlraya che raggiungeva il suo esercito e lo dissuadeva da un eventuale attacco perché ormai la rocca era per loro perduta.

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La mia vita coi Templari.
Historical FictionAntor, si presenta al tempio dei Cavalieri Templari e si unisce a loro. Racconta a Marcug, templare anche lui, la sua storia di crociato fino ad allora e cosa lo ha portato lì. Insieme scorteranno i pellegrini, si scontreranno e si incontreranno con...