Avevo ammassato nella mia tenda un sacco di armi catturate al nemico, scimitarre, lance, archi, frecce, scudi e cotte di maglia di ferro. Mi era venuta una sorta di mania, forse per sentirmi più sicuro. Avevo preso anche quattro cavalli. Ma cosa ci avrei fatto con quattro cavalli?
In un angolo c'erano le armi di Al Eqlraya. Lui era lì sul mio letto. Spezzai la freccia e gli tolsi la cotta di ferro. Poi dissi: "Vado a chiamare il cerusico. Ti estrarrà la freccia e ti curerà". "No" disse lui. "Vuoi farmi morire con la sua alchimia? Sarebbe meglio trafiggermi subito".
Io dissi che bisognava mettere sulla ferita dello sterco di capra, così si sarebbe formato il pus e il male sarebbe venuto fuori. Lui mi rispose: "Non c'è nessuna magia o maleficio in una ferita. È solo una ferita e come tale bisogna trattarla". Mi disse di lavarmi la mani. "Lavarmi le mani? C'è una ferita da trattare e devo perder tempo a lavarmi le mani?"
Mi rispose: "Si! Con l'alcol",
"Come? Proprio con l'alcol?" Incredibile quante cose stavo imparando. Mi disse di prendere un coltellino affilatossimo dalla sua borsa con gli attrezzi da chirurgo e passarlo nel fuoco. Ma perché perdere tutto quel tempo. Mi disse che tutto quello che deve toccare una ferita deve essere puro. Mi fece incidere i lati della ferita per allargare il foro, poi lentamente estrassi la freccia senza ledere altro tessuto vitale. Mi fece ricucire tutti i lembi della ferita con punti all'interno e all'esterno. Mi fece inserire un tubicino di oro per fare uscire i liquidi che si sarebbero formati dentro, poi lo fasciai con strisce di stoffa pulite. In tutto quel lavorio, lui soffrì in silenzio, ad un certo punto gli mancarono le forze e quasi svenne. Gli dissi di bere dell'alcol, mi guardò come se fossi un blasfemo e mi disse: "Mi è proibito dalla mia religione". Ebbi dell'ammirazione per lui, era un uomo incorruttibile. Mi disse: "Io e i miei servi non siamo riusciti a batterti. Gli risposi: "Dovevo proteggere il mio signore", e mi disse ancora: "Ti ammiro, non hai ceduto un attimo, ma me li hai sterminati". "Mi spiace", gli dissi, di fronte a quella tragedia ero sinceramente dispiaciuto. Mi guardò con aria bonaria, come il maestro verso l'allievo, poi mi disse: "È la tragedia della guerra".
Gli chiesi: "A cosa ti serve decorare in quel modo la mazza di ferro, o le altre armi. Non è certo la decorazione ad armare la tua mano". Mi rispose: "Non è semplice decorazione, sono preghiere incise e sbalzate in oro".
Avevo tutto da imparare sui cavalieri saraceni.
Il mio signore Ustor mi nominò cavaliere, per avergli salvato la vita in un momento disperato. Nel deserto la cerimonia fu breve e senza tanti convenevoli, con due testimoni, due colpetti sulle spalle con la spada, e via, ma per me fu importante per il suo significato.
I caduti furono raccolti e sepolti. I servitori si mossero per contrattare il riscatto dei cavalieri prigionieri, e vennero da me dei servitori di Al Eqlraya. Io dissi loro che lui era ferito e sotto le mie cure, non poteva muoversi. Ma comunque non era mio prigioniero, ma mio ospite quindi non richiedevo nessun riscatto e che sarebbe tornato quando lui lo avrebbe ritenuto opportuno.
Il mio ospite era bruciato dalla febbre e mi chiese della frutta fresca. Io gli chiesi se non gli bastasse quello che gli davo da mangiare, lui mi disse che gli serviva per combattere la febbre. Ecco, avevo imparato ancora una cosa nuova. Gli procurai dei meloni, gialli e succosi. Erano così buoni che io, rozzo com'ero li avrei azzannati con tutta la buccia, ma lui era un vero principe e li mangiò con garbo.
Era passato un anno, noi eravamo di presidio in un castello della costa, Al Eqlraya si era rimesso in forma, mi stava insegnando l'arabo ed io gli insegnavo il volgare, così poteva comunicare con tutti ed io potevo leggere i libri di medicina e filosofia arabi. Mi insegnò anche il modo di combattere dei saraceni, a tirare con l'arco mentre cavalcavo al galoppo. Lui era il maestro ed io l'allievo, non avevo nulla da insegnargli.
Avevo imparato tanto, ma soprattutto a diventare un uomo. Comunque ci fu un momento in cui non avevamo più nulla da dirci, così mi accorsi che era venuto il momento in cui lui sarebbe andato via. Ricordo l'ultimo giorno, rimanemmo in silenzio e l'indomani lui mi consegnò le sue armi e il suo cavallo Kabir, poi lo vidi galoppare nel deserto fino a quando sparì all'orizzonte.
La vita senza il maestro non era la stessa. L'unica cosa che potevo fare era semplicemente usare i suoi insegnamenti.

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La mia vita coi Templari.
Fiction HistoriqueAntor, si presenta al tempio dei Cavalieri Templari e si unisce a loro. Racconta a Marcug, templare anche lui, la sua storia di crociato fino ad allora e cosa lo ha portato lì. Insieme scorteranno i pellegrini, si scontreranno e si incontreranno con...