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Un lieve torpore mi raggiunse non appena varcai la soglia della piccola baita. Guardai verso il caminetto in pietra nell'angolo e notai che all'interno erano sistemati pochi ceppi di legno incandescenti. Non era molto, ma poteva bastare per riscaldare immediatamente quell'ambiente minuscolo.
Mi sfilai l'arco e la faretra, appoggiandoli alla parete opposta e mentre mi toglievo il pesante giaccone, emettendo un rumoroso sbuffo, dalla microscopica cucina, disposta alla destra della stanza principale, spuntò la testa di mia nonna. I capelli argentei, solitamente lasciati sciolti sulle spalle, erano raccolti in una crocchia sul capo, qualche ciocca si era sfilata e danzava libera attorno agli occhi color liquore. Il suo viso scavato, solcato da sottili rughe sulla fronte e intorno alla bocca, in quell'instante aveva assunto un'espressione preoccupata. Mi squadrò da capo a piedi e quando verificò che nessuna ferita mortale mi correva lungo il corpo, si arrabbiò.
<<Niamh! Si può sapere dov'eri finita? Ti sembra questa l'ora di rientrare? È quasi buio, là fuori!>> sbraitò, mentre usciva dalla cucina minuta per venirmi incontro.
Mia nonna era una donna severa, irremovibile. A volte. E tendeva a essere anche molto protettiva, soprattutto nei miei confronti.
Ero ancora ferma all'ingresso quando la nonna mi raggiunse, piantandosi le mani sui fianchi e in volto un sguardo di rimprovero, come per dire "Voglio una spiegazione."
Indossava un lungo abito sgualcito, le maniche arrotolate sugli avambracci, e sopra, legato in vita, un grembiule bianco con una grande macchia di sporco proprio nel mezzo. Stava cucinando e io, rientrando in casa in quel modo improvviso, probabilmente l'avevo spaventata, facendole così sporcare l'indumento.
<<Dai, nonna, non arrabbiarti. Sono andata nella Grande Foresta per catturare qualche animale. Purtroppo, però, non sono riuscita prendere nulla.>>
Improvvisamente le punte dei miei stivali erano diventate molto interessanti.
Sentii emettere un profondo sospiro e quando rialzi lo sguardo, vidi i suoi occhi scuri addolcirsi e un sorriso spuntare su quel viso segnato dal tempo.
<<La prossima volta, però, non tornare così tardi.>>
<<Te lo prometto.>> risposi, stampandomi in faccia un sorriso sincero, che includeva anche gli occhi.
Quella donna mi aveva cresciuto, mi aveva fatto da madre, dato che quella biologica era scomparsa prematuramente.
Era impossibile misurare l'affetto che provavo per lei e per il nonno talmente era grande.
Stavo per appendere la giacca al malandato appendiabiti accanto alla porta d'ingresso, quando questa si spalancò, facendo entrare gelidi sbuffi di aria invernale. Il nonno era fermo sull'uscio, stava sbattendo sul lastricato i suoi scarponi sporchi di neve e di fanghiglia. Nelle braccia stringeva qualche ciocco di legno e dalla sua espressione affaticata immaginai fossero abbastanza pesanti per una persona della sua età. Gli andai incontro, prendendo quanti più pezzi di legno potei, che lasciai poi cadere accanto al piccolo camino scrostato. Lui fece la stessa cosa e poi, con un rumoroso sbuffo, sprofondò su una sedia accanto al tavolo che usavamo per ogni cosa. A volte mi capitava di poggiarci sopra anche gli animali che catturavo e poi, presa dalla pigrizia del dover scendere nello scantinato, mi mettevo a scuoiarli lì, attenta a pulire tutto dopo aver finito il lavoro. Ora, sul quel tavolo, erano sistemate solamente quattro candele parecchio consumate, che in qualche modo riuscivano, però, a illuminare ancora quella stanzetta.
Appesi il mio giaccone intorno allo schienale di una sedia malridotta, ma non mi sedetti. Se lo avessi fatto, si sarebbe intavolata una conversazione con mio nonno e in quel momento non avevo molta voglia di parlare.
Qualcosa nella mia espressione, però, mi tradii, perché mi sentii richiamare dalla voce cantilenante di mia nonna, che era nuovamente sbucata fuori dalla piccola cucina, portando tra le mani una pentola fumante. La sistemò sul tavolo, anch'esso trasandato, e l'odore di ciò che c'era dentro mi fece brontolare immediatamente lo stomaco. Probabilmente uno stufato di patate e carne di cervo.
Mi ridestai dal quel buon profumo e guardai nella direzione dai cui era provenuta la voce di mia nonna. Lei era ancora lì, ferma davanti alla sua pentola, con le mani che si agitavano sul grembiule per togliere via una piccola macchia.
<<Niamh, prendi i piatti, per favore.>> mi stava chiedendo la nonna, ma io non avevo voglia di stare seduta lì con loro, mentre mi facevano domande riguardo alla mia espressione truce e al mio malumore.
<<Io non mangio. Non ho fame.>> mentii. In realtà mi sarei finita quella pentola di stufato da sola, se avessi potuto.
<<E si può sapere come mai?>>
<<Non mi va e basta.>> Se possibile, mi accigliai ancora di più.
Probabilmente mio nonno notò quel cambiamento, perché in quell'istante intervenne nella discussione che si stava creando, dicendo: <<Clarice, lasciala stare. Se non vuole mangiare, non puoi obbligarla.>> Gli occhi scuri del nonno, che fino a pochi secondi prima erano puntati verso la nonna, ora erano rivolti verso di me. Ed erano dolci, gentili e comprensivi.
<<Quindi dovrei lasciarla andare a letto senza cena? Niamh è una Guardia Argentea, Collin! Deve mantenersi in forze, nonostante quel poco che riusciamo a mettere in tavola.>> sbraitò di rimando la nonna alle parole pronunciate da mio nonno.
<<Perciò, signorina, adesso ti siedi e mangi.>> continuò mia nonna, rivolgendosi a me.
In risposta al suo rimprovero tirai un sospiro triste e rassegnato, scivolando sulla sedia scricchiolante.
Quel gesto, però, non passò inosservato ai miei nonni, che subito si misero a scrutarmi con la preoccupazione dipinta sui loro volti.
Quella era proprio la situazione che avrei voluto evitare con tutta me stessa, ma la quale si realizzò inevitabilmente quando mia nonna mi chiese cautamente: <<È successo qualcosa?>>
Non mi andava di rispondere. Non volevo raccontare ciò che era accaduto nella Grande Foresta quel pomeriggio.
<<Niamh.>>
La voce calma e profonda di mio nonno, che era seduto alla mia destra, mi esortò a tirare fuori ciò che mi stava torturando la mente.
<<Oggi, mentre ero a caccia, ho incontrato Ryker e i suoi tirapiedi. Come al solito, hanno trovato divertente criticarmi e umiliarmi, insultando anche voi due. E i miei genitori.>> raccontai tutto d'un fiato.
Non avevo avuto il coraggio di guardarli negli occhi, mentre dicevo quelle assurdità. Avevo trovato più interessante tenere lo sguardo sulle mie dita attorcigliate, rigidamente appoggiate sulle cosce.
<<Non so cosa possano aver detto per farti reagire così, ma non devi dargli retta. E, soprattutto, non devi dargli la soddisfazione di vederti sopraffatta in questo modo. Non devi lasciarti scalfire.>> intervenne mia nonna.
Non devi lasciarti scalfire.
In quel momento tirai su la testa e guardai nella sua direzione. Aveva un'espressione severa e una determinazione pungente negli occhi. Lei non si sarebbe fatta scalfire.
Provai un piccolo moto di sollievo e un sorriso mi affiorò sulle labbra, ma quando sbirciai verso il nonno ogni sensazione positiva sparì. Lui, invece, l'avrebbe fatto. Era un uomo troppo buono e ingenuo per quel mondo pieno di insidie e malvagità. Non sarebbe stato in grado di difendersi. Se fosse incappato in una qualche discussione, avrebbe cercato di uscirne in maniera pacifica; se fosse stato attaccato con una spada in una battaglia, sarebbe rimasto ucciso.
Facendo quel pensiero, d'improvviso il mio stomaco si chiuse e la fame scomparve. Distolsi lo sguardo dalla figura di mio nonno, dal piatto fumante che avevo davanti e mi alzai. <<Vado a farmi un bagno.>>
Vedendo quel mio gesto, la nonna, ormai rassegnata, emise un rumoroso sospiro e si limitò a dire: <<Come vuoi.>>
Senza soffermarmi a guardare i miei nonni, che, tranquilli, consumavano la loro misera cena, aggirai il tavolo sgangherato e mi infilai nella piccola cucina per mettere a scaldare dell'acqua che sarebbe servita per lavarmi. Dovetti fare avanti e indietro più volte dalla cucina allo stanzino accanto, dove c'era a mala pena lo spazio per la piccola e stretta vasca da bagno, posta nel mezzo, e per lo sgabello nell'angolo, sotto la finestrella che dava sul retro della baita, sul quale erano sistemati dei pezzi di stoffa che usavamo per asciugarci.
Una volta versata quella che mi era sembrata una giusta quantità d'acqua calda dentro la piccola vasca, mi fiondai in quello stanzino, chiudendo a chiave la porta scricchiolante e scrostata. Mi tolsi alla svelta gli indumenti freddi e umidi e mentre mi immergevo in quel torpore liquido, decisi di sciogliere anche la mia lunga treccia e bagnare i capelli. Non appena il mio intero corpo entrò in contatto con l'acqua, lasciai andare un lungo sospiro. Mi sistemai meglio che potei, ma quella vasca non era esattamente il massimo della comodità. Era davvero molto piccola e stretta, infatti mi toccava stare con le gambe piegate, i miei piedi sarebbero sbucati di fuori, se mi fossi distesa del tutto. Per il tempo e l'uso che dovevo farne, però, poteva andare benissimo così com'era.
Abbandonando l'idea di assumere una nuova posizione, lasciai ricadere la testa sul bordo e mi sforzai di svuotare la mente dai pensieri negativi, cercando di assaporare quel calore che circondava e rinvigoriva i miei arti infreddoliti. Di colpo sentii tutta la stanchezza accumulata piombarmi addosso, le palpebre divennero tremendamente pesanti, tanto da non riuscire più a tenerle aperte. E così il sonno si impadronì di me.

Non sapevo esattamente per quanto tempo ero rimasta addormentata lì, dentro quella vaschetta, ma ormai l'acqua era diventata tiepida, le dita delle mani erano completamente raggrinzite e le gambe mi formicolavano per averle tenute piegate per troppo tempo. Decisi, però, di restare sdraiata ancora un po', immersa nell'acqua, continuando a tenere gli occhi chiusi.
La giornata era quasi volta al termine, perciò volevo provare a riposarmi ancora un po'. Quel pomeriggio non ero riuscita del tutto, ero stata inavvertitamente disturbata dai quei tre imbecilli, in particolare da Ryker. Inoltre, il giorno successivo avrei dovuto riprendere i miei estenuanti allenamenti da Guardia Argentea. Il mio primo giorno libero, atteso da tanto tempo, stava per finire e questo significava che l'indomani mi sarei dovuta presentare all'Arena Grigia, l'arena costruita nel cuore del villaggio, in cui ci allenavamo noi Guardie Argentee, ben riposata e pronta ad affrontare qualsiasi lezione di addestramento, altrimenti sarebbe stato un problema. Un mio problema.
Ero ancora adagiata con la testa sul bordo della vasca, gli occhi chiusi, pensando a quanto sarebbero stati stancanti e faticosi gli esercizi che mi attendevano il giorno seguente, quando qualcosa di gelido mi sfiorò la guancia.
Spalancai immediatamente gli occhi e mi raddrizzai con la schiena, rimanendo seduta nella vasca, con l'acqua ormai fredda che mi lambiva i fianchi e le gambe. Con il cuore in gola, scrutai la stanza alla ricerca di qualsiasi cosa mi avesse toccata, girando la testa in ogni direzione. Nonostante la luce delle due candele, che avevo sistemato su una piccola mensola prima di entrare nella vasca da bagno, dovetti socchiudere gli occhi per mettere meglio a fuoco ciò che mi circondava. Era strano, però, che mi capitasse di sforzare la vista in quel modo per guardarmi attorno. In verità, era una cosa che, solitamente, mi succedeva nel corso degli allenamenti, in particolare durante quelli con il tiro con l'arco, dove dovevo prendere la mira, guardando il bersaglio di paglia posto a metri e metri di distanza. In quel momento, infatti, era come se il buio della sera, che intravedevo dalla piccola finestrella, fosse calato anche dentro quello stanzino e mi impedisse di vedere bene.
Dopo aver scandagliato meticolosamente
tutto l'ambiente con lo sguardo, appurai che, oltre a me, non vi era nessun altro dentro quel buco di stanza, così mi voltai verso un piccolo portaoggetti in legno, prendendo una saponetta per lavarmi il corpo.
Cominciai a insaponarmi, cercando di ritrovare la tranquillità di qualche attimo fa, ma improvvisamente iniziai a provare una sensazione sgradevole, quasi opprimente, come se qualcosa o qualcuno mi stesse stringendo tra le sue braccia, senza darmi via di scampo. O meglio, mi stesse stritolando fino a farmi urlare dall'angoscia e dal dolore. Alzai la testa di scatto e con la coda dell'occhio, guardai in direzione della porta. Mi sentivo osservata eppure non c'era nulla, se non una grande quantità di oscurità, che, in quel momento, sembrò solidificarsi.
Non riuscivo a muovermi, come se tutti i muscoli del mio corpo fossero addormentati. E sul petto mi sembrava di avere un enorme macigno che mi schiacciava. Il respiro si fece più pesante, così cominciai ad ansimare, cercando il modo di far entrare più aria possibile nei polmoni.
Fu proprio in quel momento, durante il quale me ne stavo immobile, paralizzata da quella strana sensazione a cui non riuscivo a dare un senso, che qualcosa di simile a un dito, freddo come l'acciaio, mi toccò sulla spalla, passando poi all'altra e scendendo, infine, piano lungo tutta la schiena.
Mi si gelò il sangue nelle vene. Non avevo mai provato nulla di simile in tutta la mia vita.
Non avevo il coraggio di tirare su la testa, che avevo appoggiato alle gambe piegate e raccolte al busto, e guardarmi attorno. Ma sapevo anche che non sarei potuta rimanere dentro quella vaschetta, rannicchiata su me stessa, per sempre.
Presi, quindi, un bel respiro e poi, mentre buttavo fuori tutto il fiato, alzai il viso di scatto.

A Girl in the Deceptive CourtDove le storie prendono vita. Scoprilo ora