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Era quasi l'alba, ma il sole non avrebbe brillato quel giorno. Al suo posto piccoli fiocchi di neve stavano scendendo copiosi, colpendo delicatamente ogni cosa si trovasse sul loro percorso verso terra.
Il cielo era di un grigio cupo e tutto era ancora avvolto nel silenzio, si sentiva soltanto il cinguettio di qualche passerotto. Il villaggio, che potevo scrutare in lontananza, oltre il piccolo dirupo, stava ancora dormendo, sotto una candida coperta bianca. Forse il fornaio era il solo ad aver iniziato la sua attività quotidiana. E, a quanto pareva, anche mio nonno. Il vialetto della piccola baita in lastre di pietra e legno era interamente ricoperto di neve e sulla superficie potevo ancora vedere le impronte dei suoi pesanti scarponi. Era uscito poco prima di me, dovendo andare, come ogni giorno, al porticciolo per imbarcarsi sulla sua barca sgangherata. Speravo riuscisse a catturare qualcosa almeno quella mattina. Sarebbe bastata soltanto una manciata di sardine da poter vendere al pescivendolo del mercato del nostro villaggio e ricavare qualche moneta d'argento. Ultimamente il pesce scarseggiava e nessuno riusciva a capire quale potesse essere la causa. Forse il freddo che era insorto. Non avrei saputo dirlo.
Facendo quel pensiero, sbuffai e il fiato che mi uscì dalle labbra si condensò in una nuvoletta. La temperatura si era abbassata notevolmente rispetto ai mesi precedenti. Forse quello sarebbe stato l'inverno più freddo degli ultimi anni. Infilai frettolosamente un paio di guanti di lana morbida e mi portai le mani davanti alla bocca, soffiando sui palmi un filo di aria calda. Sarebbe servito a ben poco.
Mi avviai a grandi passi per il piccolo viale, facendo attenzione a non scivolare, ma una volta arrivata all'altezza del cancelletto del basso recinto, che circondava il cottage, mi dovetti fermare un istante per sistemare meglio l'arco e la faretra sulla schiena. Avevo infilato anche un pugnale nello stivale, che, però, molto probabilmente, non avrei usato. Così come le frecce.
Nelle settimane passate, dopo i soliti allenamenti, mi ero recata spesso nella Grande Foresta. Le giornate erano ancora gradevolmente miti e quell'immensa distesa di alberi, che si estendeva per chilometri dal mio villaggio, a ovest, verso il nord più gelido del regno di Alban, ospitava svariati animali selvatici, tra cui cervi e lepri, perciò ero riuscita a fare una piccola, ma preziosa scorta di carne, permettendo così a me e alla mia famiglia di sopravvivere durante il freddo inverno che stava per incombere sulle nostre terre. Non ero ancora a conoscenza della grave carenza di pesce nel nostro mare, perciò quella poca quantità di selvaggina, che avevo minuziosamente conservato nello scantinato, poteva ritenersi una vera e propria benedizione.
In quel momento alzai la testa e dei soffici fiocchi ghiacciati mi caddero sul volto, posandosi sulle guance, già intorpidite, sulle labbra e tra le ciglia. Chiusi gli occhi, svuotai la mente da ogni pensiero e assaporai quell'istante. Non ricordavo affatto l'ultima volta che avevo avuto del tempo libero da dedicare a me stessa. Forse era successo quando non ero ancora in grado di parlare o di reggermi da sola sui miei piedi. Dal giorno in cui imparai a farlo la mia vita cambiò completamente: le Guardie Argentee, un manipolo di soldati difensori provenienti dalla Capitale, comparvero in cerca di reclute, come gli avvoltoi si accanivano sui resti dei cadaveri, e trovarono me: una ragazzina smunta e con una gran bella faccia tosta. Avevo appena undici anni quando mi presero con loro e mi portarono al Comando, nel cuore del regno, per la selezione. Quel giorno lo rammentavo come se fosse avvenuto di recente. Da allora era diventato davvero difficile ottenere qualche momento di pace e di solitudine.
Non amavo nemmeno andare a caccia. Quando ero piccola, i miei nonni potevano permettersi ben poco, giusto il necessario per farci arrivare vivi fino al giorno successivo. Il cibo era ciò che più scarseggiava. Avevamo limitato le nostre razioni giornaliere, tutte esclusivamente a base di zuppa di patate, che la nonna coltivava con pazienza nell'orticello sul retro del cottage, e di sardine, tenere e gustosissime sardine, che il mare ancora ci offriva. Erano pasti miseri, che, però, ci facevano rimanere un minimo in forze. Dopo l'arruolamento nelle Guardie Argentee, cominciai a percepire uno stipendio. Speravo che la mia nuova mansione potesse migliorare la nostra situazione, ma i soldi, purtroppo, non erano abbastanza. Era davvero ridicolo ciò che poteva guadagnare una Guardia. Le cose, quindi, non cambiarono molto e rimaneva costante il fatto che io e la mia famiglia dovevamo pur tenere la pancia piena. Fui, perciò, costretta a iniziare a cacciare. Così, a dodici anni, mi ritrovai a imbracciare arco e frecce, che avevo comprato con il mio primo salario da Guardia - tre preziose e luccicanti monete d'oro - dal falegname appena fuori dal villaggio. All'inizio fu un disastro: le frecce si impigliavano quasi sempre nella corda dell'arco, che mi intestardii nel dover imparare a usare, quindi erano più quelle rotte a terra, ammucchiate ai miei piedi, che quelle scagliate nella giusta direzione. Con il tempo e la pratica capii, infine, come utilizzare correttamente quell'arma diabolica e riuscii a padroneggiare anche altri strumenti, come i coltelli e i pugnali. Alle volte passavo lunghe ore ad aspettare che una preda mi passasse sotto tiro e ciò mi snervava non poco, eppure mi ero accorta che c'erano dei momenti in cui quell'impazienza se ne andava. Restare ferma, nel silenzio totale, circondata dalla natura, mi dava un senso di tranquillità. La caccia, in qualche modo, mi permetteva di provare quella sensazione che mi piaceva tanto, come se al mondo fossimo rimaste solamente io e quella foresta infinita.
E quella mattina nevosa ne avrei avuto nuovamente la possibilità. Dopo tutti quegli anni di servizio, finalmente, avevo ottenuto la mia prima giornata libera e avevo tutta l'intenzione di godermela in serenità. Le armi che stavo portando con me erano solo una copertura, non le avrei usate quel giorno. Se i miei nonni mi avessero chiesto il motivo per cui ero rientrata a mani vuote, avrei potuto tranquillamente rispondere loro che l'animale che stavo braccando si era spaventato sentendo il rumore dei miei passi ed era scappato.
In quell'istante un soffio di vento gelido si insinuò tra i miei lunghi capelli intrecciati, arrivando a sfiorare la nuca. Un brivido di freddo mi percorse tutta la spina dorsale, perciò tirai il cappuccio della giacca in pelle scura sulla testa e sollevai la pesante sciarpa di lana a coprirmi la bocca e il naso. Scrutai un'ultima volta quel cielo terso, poi chiusi il piccolo cancello e cominciai ad incamminarmi verso nord, lungo il sentiero che conduceva all'ingresso della Grande Foresta.

A Girl in the Deceptive CourtDove le storie prendono vita. Scoprilo ora