CAPITOLO 17 - Lividi

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So cosa state pensando. Vorreste sapere come prosegue la battaglia tra me e quella donna. Lo scoprirete presto, ma prima di ciò... per comprendere appieno gli eventi è necessario fare un piccolo passo indietro. Sto scrivendo questa parte il giorno dopo l'accaduto, ma non voglio raccontare tutto subito. Torniamo a dove vi avevo lasciati, nel capitolo 13, prima del secondo interludio. All'inizio, non avevo intenzione di inserire altri flashback, temevo vi avrebbero confuso. Tuttavia, mi rendo conto di aver tralasciato una parte fondamentale.

Dopo che quella donna aveva preso una parte del mio potere, grazie a quel pazzo che aveva recuperato il campione del mio sangue, mi rinchiusi in casa per giorni. Affondai nella depressione, senza voglia di affrontare il mondo. Poi, un giorno, mentre vagavo per un parco senza meta, incontrai uno strano signore. Avrà avuto almeno una cinquantina d'anni, su per giù. Indossava un cappello normale con dei vestiti normali, e all'apparenza era anche lui così... normale. Ma c'era qualcosa in lui, qualcosa che non quadrava.

L'uomo si avvicinò e mi mise una mano sulla spalla. Il contatto mi spaventò, così mi allontanai subito, cercando di mantenere le distanze. Lui, però, non si lasciò scoraggiare. Si avvicinò di nuovo, questa volta con un'espressione gentile.

Uomo:
"Tranquillo, non avere paura."

Alex:
"Chi è lei? Cosa vuole da me?!"

Uomo:
"Guarda qui. Guarda la mia mano."

Fissai incredulo la mano dell'uomo. Al dito portava un vecchio anello argentato, ma non era un anello qualsiasi. Sulla sua superficie, inciso con precisione, c'era un dado.

Uomo:
"Tu... sei il ragazzo."

Alex:
"Il ragazzo?"

Uomo:
"Sì, tu sei il figlio del Signor Price. Ne sono certo."

Alex:
"La prego, non mi chiami così."

Uomo:
"Scusa... Alex? Ti chiami così, giusto?"

Alex:
"Sì, signore. Il mio nome è Alex. Però non nomini più il nome di mio padre."

Uomo:
"Oh... va bene, va bene. Scusami, davvero. Non volevo."

Alex:
"Fa nulla. Non si preoccupi troppo." Dissi sfregandomi la mano sul retro del collo.

Mi sentivo a disagio a parlare con lui. Tuttavia, mi invitò a sedermi su una panchina per parlare un po' più tranquillamente. Così feci. Parlammo qualche minuto, mentre le altre persone passavano e ci guardavano storto.

Uomo:
"In ogni caso... so bene com'era tuo padre e perché lo odii.
Sai, un po' tutti lo odiavano. Pretendeva troppo da noi, era veramente folle."

Alex:
"Folle?! Lei non sa assolutamente nulla di mio padre! Non sa come mi trattava."

Questa parte di mio padre era un segreto che ho tenuto per me per molto tempo. Avevo paura di parlarne apertamente, con l'unica eccezione di Giuly.

Uomo:
"Raccontami pure. Sono tutto orecchie."

Alex:
"Va bene, tanto non ho più nulla da perdere."

Mi smossi un po', alzai la gamba destra e la misi perpendicolare all'altra. Abbassai per qualche secondo la testa, feci un bel respiro e mi decisi a parlare.

Alex:
"Mio padre era un uomo duro, severo. Non accettava mai una parola di troppo."

Uomo:
"Cosa intendi?"

Alex:
"Nel senso che qualsiasi cosa dicevo era inutile, o la prendeva con pesantezza e mi si scagliava subito contro. Si incazzava... scusi il termine... sempre, e quando non gli andava bene la giornata si sfogava su di me, lanciandomi insulti o picchiandomi."

Uomo:
"Mi dispiace moltissimo, ragazzo. Non lo sapevo."

Alex:
"Non si preoccupi. Ora che ci penso, ogni giorno che tornava da lavoro era sempre stressato. Diceva che faceva il poliziotto, ma in realtà non so se ci ho mai creduto. Non l'ho mai visto indossare una divisa, e tanto meno portare un atteggiamento da poliziotto."

Uomo:
"Cosa? Come un poliziotto?"

Alex:
"Sì, un poliziotto. Lui ha sempre detto ciò. Non ha mai detto nient'altro sul suo lavoro, diceva che erano informazioni riservate."

Uomo:
"Quante altre stronzate ti ha raccontato?"

Alex:
"Quindi è vero... non era un poliziotto?"

Uomo:
"Certo che no. Quel bastardo ti ha detto solo scemenze."

Alex:
"Poi mi dava del fallito, ripeteva che non avrei mai fatto nulla di utile nella vita, che sono sprecato. Un giorno, ricordo, mi disse che avrebbe voluto avere un figlio normale. Ha deciso di lasciare me e mia madre da soli, e abbandonarci al nostro destino. Da una parte è stato meglio. Mi ricordo che una volta per un litigio mi cominciò a prendere a cinghiate, ripetendomi frasi come «Muori», «Devi morire» e «Cosa diamine sei nato a fare?». Guardi, ho ancora i lividi qui sulla schiena..."

Uomo:
"Santo cielo. Nessuno li ha mai notati?"

Alex:
"Sì, ovviamente. Ma pochi hanno il coraggio di chiedere. Nemmeno Giuly ha mai chiesto nulla a riguardo."

Uomo:
"A proposito, chi è questa Giuly di cui parli? La tua fidanzatina?"

Alex:
"Ehm... no. No, non lo è. È solo... è solo un'amica, ok? Poi era per fare un esempio, non c'è bisogno che mi chieda altro."

Uomo:
"Dicono tutti così."

Lui rise, mentre io lo ignorai.

Uomo:
"So come ti senti. Vorresti far finta di niente e continuare a vivere anche senza il tuo potere. Purtroppo non è così. Devi allenarlo. Devi sfruttarlo per scopi benevoli, mi capisci?"

Alex:
"Sì..."

Ci riflettei un po', poi lui continuò.

Uomo:
"Se vuoi, se per te va bene... potrei aiutarti a controllarlo. Almeno per evitare di usarlo in momenti inadeguati.
Ci stai? Solo per qualche giorno, promesso. Ti insegnerò le basi, tutto ciò che è fondamentale sapere."

E così accettai. Da quel momento, ogni due giorni andavo da lui per imparare a gestire i miei poteri. Non ho voglia di riscrivere tutto ciò che è successo, quindi riassumo il tutto in un elenco di cose che ho imparato.
Punto uno. Se alzo la mano e la tengo ben aperta quando uso il mio potere, possibilmente con il dito leggermente puntato, posso controllare la direzione e renderlo più stabile, per focalizzarsi su un obiettivo solo e avere meno dispersione. Non dipende veramente da un qualcosa di fisico, in realtà, ma funziona.
Punto due. Il mio potere si basa sulla concentrazione. Più sono concentrato su una cosa, meglio mi riuscirà.
Punto tre. Tutto il potere è racchiuso dentro la mia testa. Quindi, cominciando a sviluppare la mia memoria e le mie capacità logiche, teoricamente sarei migliorato sempre di più. Dovevo usare il potere solo nel modo giusto e nel momento giusto, analizzando bene la situazione e i pericoli.

Spero che ora capiate il perché di questa precisazione. Durante la battaglia non ho pensato ad altro. Quell'uomo mi ha davvero salvato la vita. Prima di dirgli addio, però, mi disse un'ultima frase che credo mi rimarrà impressa a vita.

Alex:
"Dunque, lei pensa che allenandomi così tanto diventerei più potente?"

Uomo:
"No. Non sarai più potente."

Alex:
"Come no?"

Uomo:
"L'unica cosa che può fare questo allenamento... è farti diventare più sicuro di te. Ricorda, Alex. Le tue paure, l'angoscia e il dolore... si trovano tutte insieme, racchiuse con anche tutta la bellezza e l'amore per la vita. E si trova tutto qui dentro." Disse, sfiorandomi la fronte.
"Purtroppo, o per fortuna... la vera potenza non si trova nella forza, ma nella saggezza delle scelte che si compiono per raggiungerla.
Non dimenticarlo mai."

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