Capitolo VI

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Capitolo Sesto

Septima irruppe nella stanza del cucito con una foga che, nonostante il sorriso, raramente la contraddistingueva. Guardò Giulia negli occhi scuri, le labbra rosee aperte sui denti bianchissimi.

- Tuo fratello Marius è tornato. – il tonfo sordo della spola sfuggita alle dita di Estel non sembrò turbare nessuna delle due donne della famiglia, invece risuonò ad una strana lentezza nella mente della ragazza.

Fu difficile nascondere il martellare del cuore sotto la leggera veste azzurra, mentre Giulia scoppiava in un risolino di gioia andando ad unirsi all’impazienza della madre.

- Dov’è ora? –

- In cortile, sta parlando con tuo padre. – esclamò Septima sistemando i folti capelli scuri della figlia dietro un orecchio, rischiando di rovinare la delicata acconciatura. Le parole giunsero ovattate alle orecchie di Estel, lui era lì. Tre anni era trascorsi, tre anni di lontananza, di sentimenti nascosti, d’immensa solitudine.

Eppure per un curioso istinto di sopravvivenza la paura, il dubbio presero immediatamente il posto dell’emozione, dell’attesa.

Aveva passato mesi a convincersi che Marius non sarebbe tornato, che nulla l’avrebbe riportato da lei, ed ora che si trovava più vicino di quanto non fosse stato nei suoi sogni, Estel si sentì perduta. Quei tre anni erano stati estremamente lunghi, così lunghi che non poteva che averla dimenticata.

- Claudia. Claudia! Non stare lì immobile! Vieni a salutare mio fratello. Gli farà di sicuro piacere rivederti. – la esortò Giulia con quel sorriso ancora da bambina, avrebbe voluto accontentarla, ma il cuore che batteva all’impazzata quasi impediva ai piedi di muoversi.

- Si, arrivo subito. – sorrise in risposta mentre loro la precedevano verso il cortile. Sembrò infinito quel tragitto che separava il gineceo dall’ingresso, eppure non abbastanza da permetterle di pensare a qualcosa di adatto da dire.

Poi le stanze si aprirono sulla luce del mattino, sui gradini dove tre anni prima gli aveva detto addio. Giulia e sua madre si trovavano già ai piedi delle scale di marmo bianco nascondendole per un istante la forma alta e piazzata che ben ricordava.

- Claudia … - la chiamò poi con un sorriso e quasi la ragazza dimenticò il dolore, la solitudine che l’avevano accompagnata nei lunghi anni d’attesa.

- E’ bello rivederti. – la salutò Marius con un nodo in gola senza saziarsi di guardarla. Quei tre anni le avevano regalato una grazia ed una bellezza che a stento l’uomo riuscì a comprendere appieno.

- Lo stesso vale per me. –

Il cuore batteva al ritmo di cento colpi di scudi, ma nel leggero sorriso sulle labbra chiare e piene di lei non riuscì a cogliere i sentimenti dai quali era animato tanto fugace fu lo sguardo che poté riservarle.

- Vieni, Marius. Sarai affamato, faccio preparare il pranzo. – lo esortò sua madre, le dita di nuovo aggrappate al suo avambraccio, ma non riuscì a muovere i piedi improvvisamente diventati piombo di fronte alla donna che per anni aveva animato i suoi sogni.

- Fate strada, sono subito dietro di voi. – sorrise dolcemente, tornando a posare lo sguardo sulle brillanti iridi d’oro. Per un istante temette che Claudia li avrebbe seguiti, lasciandolo solo, invece rimase immobile sul ciglio di quell’ultimo basso gradino.

- Bentornato. – rise appena, ma Marius poteva sentire la voce delicata di lei tremare mentre le mani si stringevano nervosamente l’una nell’altra. Era talmente bella, così tanto l’aveva desiderata che quasi cedette all’impulso di darle quel bacio che gli era stato negato al loro addio.

La guardò per un lungo istante godendosi quel leggero silenzio, i sentimenti di cui era impregnato e capì che sarebbe stato impensabile partire ancora senza averle detto ciò che aveva agitato il suo cuore in quegli anni.

- Marius … - lo chiamò con un filo di voce, la mano che già, esitante sfiorava il suo viso, i capelli più corti, meno curati, la barba incolta. Questa volta non si sottrasse alle carezze di quella mano piccola e tiepida, ma si abbandonò a quel tocco, al suo calore.

- Sei davvero tu. Sembri … diverso … -

Rise appena. Osservò il corpo più alto, più muscoloso nell’armatura da legionario, la guardò riflettere i raggi del sole e non poté che chiedersi se l’avrebbe protetto abbastanza.

Doveva essersi rotto il naso durante l’apprendistato, notò con un sorriso. La barba non era rasata tanto accuratamente come quando viveva a Roma, i capelli erano leggermente più corti, più ribelli eppure gli occhi, quei profondi occhi verdi, di cui per primi Estel si era innamorata, erano rimasti gli stessi.

Ardenti, impazienti ed allo stesso tempo gentili, pieni di una tenerezza che nessun altro uomo a parte suo padre le aveva mai riservato.

- E tu sei ancora più bella dell’ultima volta. – ribatté Marius, forse in maniera troppo ardita, ma il cuore della ragazza già stava correndo nel petto quando l’uomo coprì leggermente la sua mano con la propria, grande e calda. Attirandola a sé, al proprio petto.

Nonostante il freddo dell’acciaio Estel poté avvertire distintamente il tepore del corpo di lui, le forme ampie e forti adattarsi alle proprie, il petto prendere respiri più profondi mentre la stringeva delicatamente.

- Mi sei mancata. – sussurrò nell’incavo della sua spalla e di nuovo la ragazza poté godere di quel respiro tiepido, intenso sulla pelle dopo anni di sogni e vane promesse.

Schiuse le labbra per rispondere, per non rendere vano il battere frenetico nel petto di lui, ma la voce di Giulia la costrinse ancora una volta a rinunciare.

- Fratello? Fratello, sbrigati! – lo chiamò attraverso le stanze, sciogliendo l’abbraccio, lasciandola di nuovo sola con i propri sentimenti. Gli occhi verdi dell’uomo la guardarono esitanti, forse aspettando parole che non vennero mai.

- Va da lei. -  sorrise invece abbassando lo sguardo dorato, ma poteva sentire la propria voce tremare appena, troppo a lungo aveva atteso per quell’abbraccio rubato, troppo a lungo aveva lasciato che quei sentimenti crescessero ed erano l’unica cosa che avrebbe potuto ferirlo davvero.

Non rivide Marius quel giorno. Preferì non assistere al pranzo della famiglia Titus e non volle passeggiare nel chiostro durante il resto della giornata, assistendo invece Giulia nelle sue mansioni quotidiane non più disturbate dalla presenza del fratello.

Di nuovo la ragazza sentì tintinnio d’acciaio provenire dal ginnasio e per un lungo istante rimase in ascolto. Appiattita contro una delle fredde colonne in marmo ascoltò Leontius incitare calorosamente il figlio, il cozzare sordo degli scudi, il rumore degli schinieri sul marmo, il respiro pesante dell’uomo che amava e per un istante pensò che il cuore sarebbe scoppiato.

Non c’era altra cosa al mondo che desiderasse, ed al contempo che la facesse soffrire allo stesso modo. Se non fosse stata tanto egoista avrebbe pregato per la sua felicità, perché la sua vita fosse sicura, non avrebbe trattenuto il respiro dietro quella colonna cercando d’ingoiare quelle amare lacrime.

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Scusate se fino ad ora sono stata solo ad osservare senza farmi sentire, ma non sono avvezza a prendermi questi piccoli spazi. Volevo però ringraziare dal prondondo del cuore tutti i miei lettori e coloro che hanno votato la storia. So che questo è un fandom quasi del tutto sconosciuto (soprattutto al pubblico italiano) quindi ci tenevo molto a ringraziare tutti quelli che mi stanno ancora sopportando! Spero la storia vi stia piacendo, ma soprattutto che stia riuscendo a coinvolgervi e appassionarvi. Con tutto il mio affetto, grazie.

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