Capitolo Settimo
La villa era ormai buia e silenziosa, quasi abbandonata quando decise di tornare nel peristilio. L’acqua del laghetto tiepida intorno ai suoi piedi nudi, non c’erano foglie sulla superficie argentata, nulla che facesse rumore oltre il proprio respiro, fin quando passi leggeri alle sue spalle non la costrinsero a voltarsi.
Il tempo sembrò riavvolgersi sulla figura in ombra accanto alla panchina di pietra bianca, quegli anni non erano ancora trascorsi se non sulle spalle larghe, sul petto forte, sul volto più maturo.
Eppure le vesti rimanevano le stesse, quel rosso carminio così intonato al chiaro verde degli occhi di lui.
- Non speravo più di trovarti qui. – sorrise appena, le labbra piene che si aprivano sui denti bianchissimi, eppure le braccia ancora abbandonate lungo i fianchi stretti.
- Sono sempre stata qui, non me ne sono mai andata. – rispose in un soffio, consapevole di quello che il suo cuore aveva voluto comunicare, lasciandolo andare per una volta. Lo guardò avvicinarsi di un passo, i brillanti occhi verdi fissi nei propri alla luce tenue della sera. Le tese una sola mano, quelle dita ferite, rovinate eppure così familiari che avrebbe potuto narrarne a memoria forma e calore.
L’afferrò senza esitazione, lasciandosi aiutare, lasciando che quel tepore tornasse dov’era sempre stato, nel più profondo del suo cuore.
Erano di nuovo vicini, come la notte in cui si erano detti addio, lo stesso silenzio, gli stessi miti sentimenti eppure questa volta le labbra di Marius erano distese in un gentile sorriso. Avrebbe preferito non tenere per sé quei segreti, lasciarlo entrare eppure per ogni tocco che lasciava sul suo viso sentiva il proprio cuore allontanarsi, non tornare mai più.
Lo ascoltò respirare per un lungo istante, osservò il petto largo alzarsi ed abbassarsi come un mantice, poi senza poter resistere permise ancora una volta alla propria mano di raggiungere le guance ispide, tiepide anche alla brezza della sera.
- Hai più cicatrici di quando sei partito. – osservò con un sorriso solcandole piano con le dita, una ad una, piccole venature chiare ora attraversavano il dorso del naso, la guancia destra, il mento deciso ed il sottile labbro superiore.
Marius non si sottrasse al tocco delicato delle dita di lei, lo stesso che ricordava, lo stesso di quella mattina d’agosto. Anni fa le avrebbe raccontato ogni cosa, ogni storia dietro quelle sottili cicatrici, ma ora il cuore gli impediva di parlare. Voleva solo che non finisse, che la ragazza non allontanasse la mano dal suo viso.
- Credevo che non ti avrei rivisto mai più … temevo che mi avessi dimenticata. – la sentì sussurrare, la voce delicata tremava appena mentre le dita tiepide di lei percorrevano il suo volto, le sue labbra.
- Non ho fatto altro che pensare a te in questi tre anni, Estel … - gracchiò prendendo un respiro, era difficile parlare di quei suoi sentimenti troppo a lungo annegati nella polvere e nel sangue.
Godette per un istante dell’espressione sorpresa di lei, dei grandi occhi d’oro diventare brillanti di lacrime e sentimenti. Non c’era più nulla ormai che avrebbe potuto allontanarla dal suo cuore.
- Io … ti avrei aspettato per sempre … Marius. – l’uomo osservò le labbra rosee schiudersi ad ogni parola e faticò a tenere a bada l’istinto di stringerla a sé, eppure allungò a sua volta una mano verso di lei, verso i lunghi capelli ramati.
Rimase quasi ferito dalla reazione della ragazza quando quella si ritrasse appena, rifiutando il suo tocco.
- Hai paura di me? – chiese accigliato, la mano ancora sospesa a mezz’aria, quella di lei sul proprio petto.
- Ho paura perché so che se tu mi toccassi ora, non tornerei più indietro. – sussurrò scuotendo appena il capo, gli occhi di lupo velati di lacrime che non caddero mai quando istintivamente, in un battito di ciglia, Marius premette le labbra su quelle di lei, calde come le aveva sempre immaginate, affondando le dita nei morbidi capelli ramati.
La baciò a lungo, istintivamente, profondamente, con un’urgenza che non era mai esistita in nessuno dei suoi pensieri. Lasciò che i respiri della ragazza si confondessero ai propri, avvertì il corpo esile di lei adattarsi al suo più alto, più forte, scoprendo quanto di lei poteva sentire, ogni respiro, ogni battito del cuore.
Era strano quanto quel bacio, seppure a lungo atteso, rubato, sembrasse stranamente naturale, quasi fosse sempre esistito solo che nessuno di loro poteva ricordarlo. Estel chiuse gli occhi d’oro lasciando che quel profumo s’insinuasse a fondo in posti dimenticati del suo cuore e della sua memoria.
Le mani di lui scottavano sulle sue spalle nude, fra i capelli sciolti, ruvide eppure delicate nello stesso tempo, quelle mani che troppo a lungo aveva esitato a stringere fra le proprie.
Lo ascoltò respirare, sempre più in fretta mentre la lingua calda raggiungeva la propria, leccandola lentamente, disperatamente. Si strinse alla schiena ampia, forte e per un istante credette che sarebbe durato per sempre, che ci sarebbe stato posto anche per lei in quella sua vita da soldato, da uomo del popolo.
- Chi è là? – l’eco dilagò come acqua nel silenzio del piccolo cortile facendola sussultare. La rauca voce femminile proveniva dalle stanze del gineceo immediatamente affacciate sul peristilio, costringendoli ad interrompere il bacio.
- La septa … ci avrà sentiti parlare. – sussurrò Estel sulle labbra di lui, eppure non riuscì a trovare nei suoi occhi, sul suo volto la stessa preoccupazione che stava animando i suoi pensieri. Possibile che Marius fosse pronto a mostrare al mondo ciò che la ragazza aveva paura di confidare persino a se stessa?
- Corri. – fiottò lui afferrandole la mano, costringendola a tenere il suo passo, eppure Estel avrebbe giurato di aver visto l’ombra di un sorriso sulle labbra chiare.
Corsero attraverso le stanze aperte sul peristilio, ma in direzione diametralmente opposta dalla quale era giunta la voce della septa Livia. La ragazza non era mai stata nella parte maschile della villa, eccetto poche occasioni. Mentre correvano l’architettura le sembrò la stessa del gineceo dove aveva trascorso quei lunghi anni al servizio della famiglia Titus, ma con dei dettagli differenti.
Gli affreschi non ritraevano più gloriosi banchetti, aggraziate danzatrici o scene di vita quotidiana, ma uomini battersi per la gloria, per la giustizia, per la vittoria. Dei immobili vigilavano su eroi insanguinati, qualcosa che istintivamente le trasmise una strana repulsione.
Si fermarono in fondo al lungo corridoio di marmo, nell’unica stanza non più affacciata sul cortile ma sull’intera città. Sentì Marius riprendere fiato, mettersi in ascolto, più divertito che realmente spaventato, eppure il suo sguardo era stato ormai rapito da ciò che, in silenzio, si stagliava contro i drappeggi della finestra.
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Son of Rome
Historical FictionRoma. Epoca neroniana. Marius Titus è un giovane aspirante legionario, nato e cresciuto fra gli agi di una nobile famiglia romana, presto conoscerà il sapore amaro della guerra e della sconfitta in terre lontane, ma non tutto è ancora perduto. Un in...