Cap 4

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Erano le sei in punto del mattino e Liah per abitudine si svegliò. La stanza era buia, triste, anonima. Non un raggio di sole penetrava dalle tende serrate.
Sbuffò nel silenzio e dopo essersi stiracchiata per bene, si alzò.
Fece un paio di passi e andò a sbattere contrò qualcosa, o meglio qualcuno.
"Le converrebbe accendere la luce" disse una figura nell'ombra.
"Già"
Si avvicinò alle finestre e tirò la cordicella che apriva le tende. Il sole attraversò le fessure appena create bucando le retine della ragazza, che strinse gli occhi distogliendo lo sguardo dai raggi diretti di luce.
Si girò di spalle alle finestre e trovò il tipo in nero davanti a sé.
Lo aggirò come se nulla fosse e si diresse verso il piano di sotto, in cucina.
Non sentiva i passi del tipo in nero (ormai nella sua testa lo aveva soprannominato così), nemmeno avvertiva la sua presenza. Se non avesse saputo che la stesse seguendo non si sarebbe mai accorta che si trovasse alle sue spalle.
Arrivò in cucina prese una ciotola di macedonia dal frigo e la poggiò sul tavolo.
La osservò per qualche secondo per poi poggiare la testa sul tavolo e chiudere gli occhi, non resistendo al richiamo del sonno.
La stanza era immersa nel silenzio, un silenzio pericolosamente rilassante. Doveva alzarsi e mangiare, prima di addormentarsi sul tavolo. E non c'era verso che sarebbe successo davanti al tipo in nero.
Alzò di malavoglia la testa e preso un cucchiaio dal cassetto dietro di lei cominciò a mangiare la macedonia, che si rivelò più acida del solito nella sua bocca.
Deglutí un paio di volte, per poi magiare un'altra cucchiaiata. Schiacciò l'ananas con i denti e ci mancò poco che vomitasse.
Sembrava acido puro. Si sforzò di mandare giú, non riuscendo a trattenere una smorfia.
Il succo e l'ananas mezza masticato scesero giù per la sua gola, facendola bruciare.
Tossí più volte a bocca chiusa, cercando di non dare troppo spettacolo.
Il tipo in nero si mosse verso la cucina, prese un bicchiere e ci versó del latte fresco. Aggiunse un po' di miele e mescolò con un cucchiaino di metallo.
Poggiò il bicchiere sul tavolo, di fronte a Liah, per poi riportare le mani dietro la schiena, in quella sua posizione impassibile.
La ragazza prese il bicchiere, e bevve tutto d'un sorso. Il latte rinfrescó la sua gola, portando via tutto il bruciore, mentre l'aroma di miele cancellava il sapore acido che le era rimasto in bocca.
Allontanò il bicchiere dalle sue labbra e riprese fiato per un momento.
Guardò in faccia il tipo in nero, in piedi davanti al muro, chiedendosi cosa avrebbe potuto dire ad una guardia del corpo.
Mormorò un timido "grazie" senza pensarci troppo.
Il tipo annuí.
Liah, non sapendo cosa fare, riprese il suo cucchiaio e lo riempí nuovamente di pezzi di frutta e portandolo alla bocca sentí il sapore acido che le inonda a la bocca per la seconda volta. Questa volta si avvicinò al lavandino e fu costretta a sputare tutto.
Va bene! Niente colazione! Come vuoi!
Pensò, non sapendo nemmeno a chi riferire quel "come vuoi".
Si diresse in camera sua, ignorando la sensazione di nausea che cresceva dentro di lei.
Aprí la porta della sua camera, e si inginocchiò sul pavimento, accanto al letto, poggiando la testa su di esso.
Nascose il viso tra le braccia e rimase così per qualche secondo.
Una mano le toccò la spalla e Liah, guardando alle sue spalle, si trovò davanti l'uomo in nero. Teneva in mano un altro bicchiere di latte.
Era fastidioso che la sua guardia del corpo la trattasse come una bambina. Non aveva bisogno di una baby sitter.
Distolse lo sguardo, sforzandosi di rifiutare il bicchiere. Anche se lo desiderava più di ogni altra cosa in quel momento.
"Beva" disse l'uomo in nero. Liah alzò la testa dalle sue braccia e vide un paio di familiari occhiali da sole accanto a lei. Intravide dietro quelle lenti scure due occhi dal colore non definibile.
Prese il bicchiere e bevve lentamente il latte, che le fece lo stesso effetto di prima.
"Cosa mi succede?" chiese dopo un po'.
Decise anche di cambiare soprannome alla sua guardia, "l'uomo in nero" era troppo lungo. E di certo non gli avrebbe chiesto come si chiamava. "Mr. N." sarebbe andato bene: "N" stava per "nessuno", perché in fondo non le interessava sapere nulla sul suo conto.
"Perché non riesco a mangiare?" chiese ancora.
"Il suo stomaco è influenzato dalla droga che le è stata fatta assumere ieri. È danneggiato. Le sostanze acide, come il succo di ananas, ne bruciano le pareti, provocando nausea e senso di vomito" spiegò Mr. N.
"Per quanto durerà l'effetto della droga?" chiese la ragazza cercando di concludere la conversazione.
"Qualche giorno"
I due rimasero in silenzio per qualche minuto, poi Liah si alzò, si avvicinò all'armadio, prendendo dei vestiti puliti.
Si chiese solo allora come mai non idossasse più il vestito rosso delle sera scorsa, ma una camicia da notte lunga e semplice. Cercò di non farsi domande delle quali non gradisse la risposta.
Guardò per un momento Mr. N.
"Puoi uscire? Mi devo cambiare"
"Lasciarla da sola ostacola quello che è il mio lavoro, Miss. Gotten. Le posso assicurare che non ho alcun interesse nel vederla cambiarsi. Tuttavia posso capire di violare la sua privacy, quindi sarei molto grato se potesse cambiarsi in bagno"
Liah lo guardò per un momento. Qualcosa nelle parole di Mr. N. l'aveva infastidita, forse ferita, ma non riusciva a capire cosa. Che andasse a farsi fottere il suo lavoro.
Alzò gli occhi al cielo, e si diresse in bagno, chiudendosi la porta alle spalle.
Si spogliò, aprí l'acqua della doccia, e si immerse sotto il getto caldo. Ripensò a Mr. N. Non le piaceva affatto essere trattata come una bambina.  Ma per quanto si sforzasse, il suo senso di empatia le impediava di odiare una persona che lavorava per lei.
Durerà poco.
Pensò insaponandosi i morbidi capelli castani con lo shampoo, ma non ne era tanto sicura.

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