Cap 3

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Liah si aggrappò con tutte le sue forze a quel male che stava riportando vita all'interno del suo corpo. I secondi sembravano minuti, i minuti ore.
Si sentiva stanca, ma le sensazioni si facevano sempre più reali.
Sentí il suo corpo. Era sdraiata. Qualcosa di freddo e bagnato le avvolgeva la fronte, mentre lunghe righe di liquido caldo le colavano lungo le guance.
Lacrime.
Avvertí le sue dita che si toccavano e il dolore che ora si focalizzava in particolare sul suo braccio sinistro.
Assaporò tutte queste sensazioni come se fosse la prima volta di tutto. O l'ultima.
La sue mente si svegliò del tutto e migliaia di pensieri le penetrarono nel cervello, causandole un forte mal di testa.
Questi erano come tanti pezzi di carta che svolazzano attorno a lei, numerosi, rumorosi, ma impossibili da afferrare per capire cosa fossero.
Uno di questi si fece spazio tra tutti gli altri.
Liah.
La ragazza rimase per un attimo perplessa. Il suo nome era là, le si era presentato davanti senza un motivo apparente.
Liah.
Di tutti i pensieri che affollavano la sua mente, non voleva ascoltare il più inutile.
Liah.
Che senso aveva il suo nome?!
Liah.
Il fastidio inondò I suoi nervi. Voleva allontanare quella parola dalla sua mente.
Liah.
Basta.
Liah!
Basta.
LIAH!
Basta!
LIAH!
BAS-
"LIAH!"
La sue mente si fece silenziosa per un momento. Nell'ultima parola c'era qualcosa di diverso. Non era un pensiero... Lei l'aveva sentita.
"Liah"
La ragazza concentrò tutta se stessa su quella parola. Sembrava che qualcuno la stesse chiamando. Attese per un momento e questa tornò.
"Liah"
Era una voce, proveniente dall'esterno, ma per quanto si sforzasse di collocarlo da qualche parte nella sua mente, non riusciva ad associarla a nessuna delle voci che conosceva. Cercò di analizzarla come meglio poteva: era gentile e rassicurante.
Ora non voleva altro che quella voce, il suo unico contatto con la realtà.
"Liah, rilassati"
Due parole, valevano più di qualsiasi altra cosa in quel momento.
"Non provare ad aprire gli occhi" aggiunse la voce. Era gentile, calda, rassicurante.
Eseguí il comando, serrando le sue palpebre, anche se non sarebbe riuscita ad aprirle nemmeno se avesse voluto.
"Ora cerca di deglutire"
Una boccetta di vetro le venne avvicinata alla bocca e Liah ingoiò tutto il liquido fresco che conteneva. Era solo acqua.
Solo allora si accorse di quanto avesse sete.
Ora desiderava bere ancora, non voleva altro che acqua.
"Brava ragazza" commentò la voce allontanando la bottiglietta dalle sue labbra.
Spinta da una sconosciuta forza di volontà decise di socchiudere gli occhi, grata del fatto che la stanza, o qualsiasi luogo nel quale si trovasse, non era molto illuminata.
La vista era offuscata, così decise di aprire completamente le palpebre.
Il viso stanco di suo padre apparve nella sua visuale. La sua camicia era sbottonata, il suo colletto piegato in dieci modi diversi, i suoi capelli spettinati.
"Papà?" sussurrò Liah, meravigliata dell'improvvisa forza trovata per riuscire a parlare.
"Sono proprio io. Come ti senti?" chiese l'uomo, il suo sguardo avvolto da una nuvola di preoccupazione.
"Ho avuto giorni migliori" rispose lei abbozzando un sorriso che doveva essere uscito più come una specie di smorfia.
La ragazza sopostò il suo sguardo sul suo braccio sinistro, dove si concentrava la maggior parte del dolore, e si accorse che era stretto in fasce bianche e morbide.
"Cosa è successo al braccio?" chiese, frugando tra i suoi ricordi e accorgendosi che non ricordava che si fosse ferita in quel punto.
"Nulla di che, non preoccuparti. Solo un taglio" rispose lui con fare indifferente.
Liah si guardò attorno per un momento attorno. Ora riconosceva quel luogo: era una delle stanze degli ospiti nella villa, ma ora sembrava quasi uno studio medico. Carrelli di metallo coperti di strani utensili e vari tipi di fasce, erano sparsi per tutto il pavimento.
"Ricordi qualcosa?" chiese l'uomo dopo qualche secondo di silenzio.
Per un momento la mente di Liah rimase vuota e silenziosa, poi, d'improvviso, ogni ricordo la travolse come un mare in tempesta.
"Purtroppo si" rispose lei con aria indifferente.
"Mi dispiace dell'accaduto, io-"
"Non è colpa tua papà" lo interruppe Liah.
Suo padre fece un respiro profondo.
"Okay... Immagino tu abbia ragione. Brian è stato portato in centrale. Quando ti abbiamo trovata eri stesa sul terreno, tremavi dal freddo e ti dimenavi dal dolore.
Il... Ragazzo (se così si può definire) sembra non essere solo. Qualcuno ha cercato di aiutarlo a fuggire." spiegò mordendosi il labbro inferiore. Liah osservó le sue mani che, grattavano insistentemente le pellicine delle dita. Respiró profondamente.
" Che mi devi dire, papà?"
"Date le pericolose circostanze... ho deciso di affidarti una guardia del corpo"
Liah pensò per un momento che sarebbe stato figo avere una guardia del corpo, come quelle delle celebrità, poi pensò ad un uomo che l'avrebbe seguita e controllata avunque andasse, qualsiasi cosa facesse. È non era per niente figo.
"Mmh... È proprio necessario?" chiese sapendo già la risposta alla sua domanda.
"Almeno fino a quando la situazione sarà sistemata" rispose lui.
"Va bene..."
"Non preoccuparti, non dovrai parlarci, e non si farà notare più di tanto" rassicuró. Sembrava un po' troppo convinto.
Liah alzò gli occhi al cielo.
"Non mi credi? Come pensi che sia rimasto tutto il tempo al tuo fianco senza che te ne accorgessi?"
La ragazza si girò di scatto verso sinistra accorgendosi solo in quel momento della figura vestita in nero che sostava al lato del suo letto.
Completo nero, eccetto la camicia bianca, mani dietro la schiena, capelli scuri impeccabilmente ordinati, e un paio di occhiali da sole neri. Il suo viso era chiaro e, nonostante gli occhiali, sembrava perfetto: zigomi alti, pelle liscia, mandibola pronunciata. Lineamenti giovani e naso perfettamente proporzionato alla bocca.
Guardava dritto davanti a sé, sembrava a malapena vivo, non si muoveva, il suo respiro muto.
"È un piacere conoscerla Miss. Gotten" disse senza spostarsi di un millimetro dalla sua postura.
La sua voce era fredda, da essa non si riconosceva alcuna emozione.
Liah si vergognó di ciò che aveva detto prima.
"Si prenderà cura di te" disse il padre alzandosi dalla sedia dove poggiava fino a un attimo prima.
"Ora però hai bisogno di riposare"
"Papà, mi sono appena svegliata"
"La tua mente non è stanca, ma il tuo corpo si. Mangerai qualcosa e poi andrai a letto. Sono le undici di sera dopo tutto"
Era davvero così tardi?
Non importava, doveva seguire gli ordini. Specialmente ora che aveva un controllore.
Il pensiero la irritò un po'. Non era mai stata il tipo di ragazza che segue le regole. Doveva trovare un modo per liberarsi di quella spia.
Suo padre le portò un vassoio con un bicchiere d'acqua, due uova strapazzate, un po' di verdura e qualche pezzo di pane.
Finí tutto in poco tempo, per poi spegnere la luce e raggomitolarsi sotto le coperte e quando suo padre venne per darle la buona notte una domanda le pemetrò nella testa, e si senti un po' in colpa per non essersela fatta prima.
"Dov'è la mamma?"
L'uomo davanti a lei deglutí a fatica.
"La mamma è ancora a lavoro, impegnata con dei casi urgenti da risolvere. Forse è meglio che non sappia nulla di questa storia, che ne dici?"
Sua madre era una donna molto intelligente e resistente, ma purtroppo colpita da frequenti attacchi di cuore, che si presentavano quando la ragazza si cacciava nei guai. Era abituata a nasconderle le cose.
"Come giustificherai la guardia del corpo?"
"In realtà è una cosa che mi chiedeva da un po' di tempo, mi basterà far finta di volerla accontantare"
Liah aggrottó le sopracciglia, ma colta dalla stanchezza si limitó ad annuire.
"Notte Liah"
"Notte Pa'"
Suo padre uscì dalla stanza e si chiuse la porta alle spalle.
"Buona notte Miss. Gotten" sussurró l'uomo posizionandosi in corridoio, di fronte alla porta della sua camera.
"... Notte"
Si chiese se anche lui sarebbe andato a dormire e per un momento si sentí in colpa: per causa sua non avrebbe dormito per tutte le notti. Poi quel sentimento abbandonò il suo corpo. Si ripromesse di ordiarlo. Era solo un altro ostacolo al suo obiettivo di avere una vita normale. E poi suo padre lo avrebbe pagato fior di quattrini.
Sprofondò nel sonno.

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