ᴄᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ 𝑠𝑒𝑛𝑠𝑖𝑏𝑖𝑙𝑒!
Grida, pianti, rumori di frusta, tristezza e lacrime.
Soltanto questo ha abitato il mio passato. Il mio presente, invece, è ancora intrappolato, rinchiuso, senza via d'uscita in questo vortice di buio, in cui mani color pece mi afferrano trascinandomi nell'oblio più profondo, senza lasciarmi una briciola di respiro.
Il piccolo spiraglio di luce rimasto sparisce sempre di più, allontanandosi e lasciandomi sola. Le mani, che prima afferravano il corpo con un'avidità da lasciarmi segni violacei per la presa stretta, si moltiplicarono, spuntando da ogni parte. Mi è ignota la loro origine, ma sento che mi colpiscono nei punti focali del mio corpo, provocandomi come se volessero torturarmi fino allo svenimento.
Porto le mani al collo non appena sento il respiro mancare, i miei occhi si spalancano, la luce che penetra dalla tapparella in cucina mi acceca. Prima di abituarmici passa qualche secondo, istanti interminabili e infernali per me. Le sue mani rugose, tanto ruvide da tagliare la pelle al minimo tocco, si staccano da me, mentre ansimo dal dolore cercando più ossigeno per non perdere del tutto i sensi, anche se non so per quanto tempo ancora riuscirò a resistere.
«Che puttana da quattro soldi», sento pronunciare da quelle labbra così sottili e viscide.
Come sempre non ribatto, standomene in silenzio. La voce
se n'è andata dopo tutte le grida che mi ha strappato procurandomi del male, non ce n'è nemmeno un filo per poter solo sussurrare un misero ciao, e so che se solo ci provassi mi ritroverei a subire altro supplizio.
I suoi passi si allontanano, la porta d'ingresso si apre per poi chiudersi, sbattuta con forza, provocando un rumore assordante.
Guardo le mie mani sporche di sangue, come i vestiti che
indosso. Una lacrima mi riga il viso malandato, procurandomi un leggero bruciore, mentre mi guardo intorno e come ogni giorno mi ritrovo distesa a terra. Come previsto, i sensi mi stanno lasciando pian piano, sbatto le palpebre più volte, l'oscurità mi vuole avvolgere di nuovo, non mi vuole lasciare sosta; da fuori sento la sua risata, che prima invidiavo per quanto fosse limpida e cristallina, mentre ora mi sembra così macabra e senza scrupoli.
Pensavo lui mi amasse come un nonno sa fare con la propria nipote, invece ogni giorno ricopriva la mia persona con lividi dolorosi e violacei, così tanto da far paura. Le cicatrici sono numerose, la più lunga e importante parte dal retro del collo fino ad arrivare al mio osso sacro. Le ferite che mi ha procurato potrebbero aver provocato un'emorragia da quanto sono profonde. Osservo il coltello sul tappeto di casa, uno dei tanti strumenti con cui mi ha fatto e mi fa del male, l'uomo che da eroe è diventato un cattivo, che sembrava un angelo ma che si è rivelato un diavolo senza scrupoli.
Cerco di alzarmi dal pavimento della cucina per ritornare nella mia stanza; ogni minimo dolore si propaga nel mio corpo e vorrei soltanto che tutto finisse al più presto. Mi aggrappo alla sedia, facendo finta di non provare l'angoscia fisica che vivo tutti i giorni. Il supplizio mentale è ancora più forte.
La vista è offuscata dalle lacrime, la camminata zoppicante non mi permette di andare dritta, le palpebre si chiudono al rallentatore, ogni minimo rumore lo sento come in ottava, lontano dalla mia figura malandata e sporca del mio sangue, che vedo sui miei vestiti sgualciti e sulla mia pelle biancastra.
I miei passi risuonano lenti e impacciati per il corridoio, e quelli veloci e pesanti che sento avvicinarsi sempre di più non sono sicuramente prodotti da me. Cerco di aumentare il passo, manca così poco alla mia camera, al luogo in cui posso salvarmi almeno per il momento. Eppure, per un soffio, il mio desiderio di rinchiudermi dentro vola via, trasportato dal vento rigido che le sue labbra soffiano sul mio collo, e voglio piangere, dimenarmi e strapparmi la pelle di dosso.
Mi prende di peso, aprendo la porta della camera degli ospiti, quella che usa lui, ma non per dormire. No, la usa per divertirsi col mio corpo. Sono il suo gioco, la sua giostra preferita su cui vuole salire ogni volta che ne ha l'opportunità.
Ancora una volta sento l'ago pungermi il braccio, la sensazione di leggerezza che ormai conosco si impossessa di me. Finalmente gli occhi si chiudono, lasciandomi libera nei miei pensieri, ma nella realtà sto vivendo un incubo, un incubo per lo più fisico, che non sto vivendo solo mentalmente e che fa immensamente male all'anima.
Vorrei non svegliarmi mai, chiudere gli occhi per sempre, lasciare i miei capelli biondo cenere volare nel vento in tempesta sopra uno scoglio che affronta il mare, vestita con una tunica bianca, per vedere il mio corpo semitrasparente riecheggiare nell'oceano in tempesta.
Molte volte questa immagine si è impossessata della mia mente, e solo ad una cosa ho pensato per far sì che essa si materializzasse, che diventasse reale: il suicidio.
La disperazione porta spesso a colei che tutti temono, ma che alla fine a molte persone potrebbe portar pace. Non sto dicendo che sia una cosa giusta. Semplicemente, a volte la vediamo come una via di fuga facile ed efficace, e dopo averla imboccata nessuno potrà dirci più nulla.
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ANGEL
RomanceAngel era un angelo dalle ali di un bianco candido, un sorriso raro da vedere e una bellezza disarmante, era unica del suo genere, una ragazza dalle mille capacità, era intelligente e gentile con tutti. Ma come una piccola margherita strappata dal p...