La bambola

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Pensiamoci con il senno di poi: un amico è per sempre.

Ma questo non sempre capita.

Mi ricordo quando tutto questo nacque due anni fa, nel 1989, in New Jersey.

Tutto ebbe inizio il primo giorno di scuola media.

Ero la classica ragazzina di qualsiasi scuola media americana: apparecchio fisso, capelli sempre scompigliati e gonfi, vestiti dismessi dalla propria sorella maggiore...

Esattamente, lei, colei che ogni tre per due entrava in camera mia per disturbarmi. Mi ricordo ancora quando, a tre anni, entrò nella mia stanza e mi strappò dalle mani la mia bambola preferita: ecco, le staccò la testa e la lanciò all'interno del giardino della nostra piccola villetta di campagna. Ma sfortunatamente la sorte ha voluto che finisse all'interno dei rovi e non la vidi mai più.

Tutta questa scena era accompagnata dalle sue tipiche frasi, come ad esempio "Non fidarti, avrebbe potuto tradirti" oppure "Ringraziami, ero venuta a sapere che ti avrebbe ucciso questa notte facendoti soffocare con le sue scarpette di plastica".

Non capii quel che intendeva. Seppi solo che qualche settimana dopo fu rinchiusa all'interno di un ospedale psichiatrico, il fatidico Greystone Park Psychiatric Hospital.

Visto che aveva 10 anni in più di me dovetti sorbirmi tutti i suoi vestiti usati. Anche se spesso non erano ridotti molto bene.

Diciamo che la scuola non era uno dei miei ambienti preferiti: anche se me la cavavo abbastanza bene per quanto riguarda le materie scolastiche, in merito alle amicizie posso assolutamente dire che non era il mio forte.

Ecco, suppongo che gli unici tre amici che mi ero fatta era solamente visto che eravamo messi nella stessa situazione. Eravamo considerati gli sfigati della scuola. Anzi, dell'intero istituto; e sinceramente non era molto piccolo come istituto. Contava oltre 2'500 studenti.

Pranzavamo sempre allo stesso tavolo e frequentavamo gli stessi corsi.

Tranne per il fatto che io non seguivo quello di letteratura americana.

Lì conobbero una ragazzina molto simile a noi del trio: adorava tutto quello che era considerato da nerd dal resto della cittadina di giovane età.

Ora è nel nostro gruppo.

Lizzie si chiama. Possiede però un carattere leggermente strano: muta le sue emozioni in un tempo relativamente limitato, è capace di ridere per una battuta esilarante, ma dopo nemmeno un secondo smette di essere felice e assume un'espressione distaccata.

In parole povere: vive in un mondo tutto suo.

Anche se siamo al 8th grade a volte porta ancora degli album da colorare all'interno del suo zaino. Album raffiguranti di tutto: da dei cuccioli di animale a scene di film horror. Tutto accompagnato da dei pastelli colorati infiniti: non li tempera mai, ma sono sempre perfettamente appuntiti.

Oggi. 

Come al solito ci siamo incontrati tutti e cinque davanti all'ingresso della scuola, per poi fare la nostra fatidica entrata in pieno stile Baywatch... Fingiamo sempre che tutto vada a rallentatore, ma - soprattutto - che noi siamo accettati dal resto delle classi. Invece mi sono ritrovata delle cartacce appallottolate in mezzo ai capelli e all'interno del mio sacco da pranzo. Ma non solo io, tutti e cinque siamo nella stessa situazione.

Adesso è l'ora di pranzo, infatti siamo seduti nel solito tavolo in cui cerchiamo di mangiare in santa pace i nostri panini.

─ Ragazzi, oggi la verifica di biologia è stata troppo complicata ─ comincio a dire.

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