ShinSoukoku III

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C'è tipo un mezzo smut alla fine, niente di che, sappiatelo.

Freddo. Ci sono tanti modi per dire che fa freddo. Si accapona la pelle e le membra tremano senza il tuo controllo. La pelle perde colore. Ci sono tanti tipi di freddo. La sensazione di vuoto che ti assale. Il dolore lancinante che ti investe solamente qualche secondo dopo.

La perdita di un arto porta freddo. Un freddo glaciale, un vuoto sia fisico che emotivo.

La neve porta freddo. Leggera e leggiadra, una coperta che ti ricopre col drappo dell'oblio.

Gli sguardi portano freddo. Immobili, affilati, ti trafiggono senza che un muscolo si muova o un suono venga pronunciato. Tremanti, vuoti, contagiosi ti lasciano cadere nel loro vuoto, il pavimento che ti manca da sotto i piedi, il groppo alla gola, il respiro affannato.

I ricordi portano freddo. Le catene sui polsi e le caviglie mi lacerano la pelle, il marmo mi sbuccia le ginocchia, l'odore d'incenso oscurato dal fumo mi inonda i sensi. Le luci delle finestre mi abbagliano mentre le lunghe ombre mi sovrastano. Nere, informi, mi danzano intorno sussurrando, gridando, mentre l'uomo davanti a me rimane immobile. Gli occhi lacrimano, lacrime fredde di dolore, fisico ed emotivo, mi bagnano il volto, macchiano gli stracci che indosso e lasciano il loro segno salato sul pavimento sotto di me.

Le parole non cambiano, le grida sono sempre le stesse, l'incubo che mi circonda non è mai stato diverso in diciotto anni.
L'uomo ancora non parla. Ma lo farà.
È l'ennesimo singhiozzo che lo invita a colpirmi, lo stomaco dolorante dal digiuno, calpestarmi, le mani deboli e ferite dai lavori della giornata, a parlarmi, l'animo distrutto senza più la speranza di poter cambiare.
Le parole come come una lama, le parole come la neve, le parole come uno sguardo senza vita. Le parole fredde, trafiggono la mia mente e il mio cuore.

Non sono utile. Non servo. Non sono in grado di fare nulla. Non posso aiutare nessuno. Non importa cosa farò, non potrò mai aiutare qualcuno. Sono un pezzo di carne da lanciare ai cani. Sono utile solamente come scarto. Come riserva.
Vorrei dire di saperlo. Vorrei che questa tortura finisse, ma sento un peso posarsi sul mio capo.

È caldo. Non ha niente a che fare con l'atmosfera in cui mi trovo. Il freddo sembra strisciare via dalla mia mente mentre mi rendo conto di potermi muovere.
Ad attendermi non c'è altro che una figura indistinta nella luce, più scura di quelle che mi danzano intorno, più scura di quella dell'uomo, un nero così rovente da sembrare uscito direttamente dall'inferno.

Non sono certo di aver aperto gli occhi. Forse ero già sveglio, ma la mia visuale si fa chiara, i muri si placano e la mia vista si fa ferma, lasciando spazio alla mia camera. Le coperte lasciate sul pavimento, il cuscino matido del sudore che sento scorrermi lungo le tempie.
Oh. Era ancora tutto un sogno.
Ma la sensazione sui miei capelli non scompare. Il panico mi prende per un futile secondo, ma mi rilasso quando girandomi trovo il viso impassibile del corvino. La mano pallida solo appoggiata sul mio capo, l'armatura nera di Roshomon che la ricopre non sembra intenzionata a ferirmi mentre gli occhi chiari mi squadrano. Non sono perplessi, neanche annoiati. Forse un po' stanchi dal risveglio improvviso.
"Io-". La voce si spezza, il dolore sembra rivoltarmi mentre mi aggrappo a tutta la mia forza di volontà per non scoppiare a piangere. Non davanti a lui. Mai più davanti a lui.
"Non sforzarti. E scusa Rashomon, non sapevo come avresti potuto reagire a un tocco esterno. Non tutti possono rigenerare gli arti". Mi fa quasi ridere, il tono piatto e con nessuna nota di ironia mentre sputa fuori quella che chiunque avrebbe preso come una battuta. Come a confermare le sue parole l'armatura si scompone e scompare nella maglietta che indossa sotto i miei occhi, le sue dita che affondano nei miei capelli e si muovono incerte, un lontano tentativo di consolarmi credo. Mi concentro su di esso, la pelle fredda e leggera mi sposta piano le ciocche chiare, sento la dolcezza in quei piccoli movimenti.
È il suo respiro che si mozza che mi riporta alla realtà, le lacrime che scorrono sul mio volto senza che io possa farci niente. La paura mi coglie. Il mio sguardo si offusca e scatto a sedere coprendomi il volto nel tentativo di fermare il mio pianto.
"Scusa... Scusa io non volevo disturbarti. Io, si io andrò in cucina magari prendo un bicchiere d'acqua. Torna a dormire, non è niente".
Mi abbraccia. Le sue braccia avvolgono la mia vita stringendomi verso di lui, una mano che si allunga fino al mio capo per spingerlo delicatamente sulla sua spalla. Rimango immobile, il suo respiro sulla mia pelle, i movimenti dolci delle sue mani mi accarezzano attraverso i vestiti matidi.
"Sei schifosamente debole. Ma prendilo come un ringraziamento, tranquillizzati e prenditi i tuoi tempi perché non lo rifarò di nuovo".

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