Capitolo 8

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Ripresi coscienza credo non molto tempo dopo, in effetti non so bene se siano passate ore o minuti, so solo che è successo di nuovo, è stato diverso, ma sono ancora qui.
Non ho il coraggio di aprire gli occhi, non ho voglia di vedere tutti quegli sguardi preoccupati e compassionevoli addosso, che mi fanno domande e pretendono risposte che, a distanza di anni, non possiedo nemmeno io.
Che situazione seccate.
Decido che stare stesa su questa superficie morbida, qualunque essa sia, per ora sia la scelta migliore, così mi godo il silenzio e la tranquillità apparente nella quale mi trovo.
Ripenso un attimo a ciò che è successo: il tiro, la caduta, lui che mi impedisce di rovinare al suolo, le battutine, il buio meno torbido del solito. Sorrido, non posso farne a meno, questa situazione è davvero ilare, anche se forse, in realtà, non c'è un cazzo da ridere.
- Che hai da ridere? -, sento quelle parole, quella voce, e subito il mio flusso di coscienza si blocca all'improvviso e apro gli occhi di scatto, avendo un forte capogiro, così li richiudo e mi stringo la testa tra le mani. Capita ogni maledetta volta.
- Tutto bene? -, mi chiede.
- Si -, ma il filo di voce con cui pronuncio la mia falsa affermazione rende evidente la mia menzogna.
- Eh, si vede -, sento una mano posarsi sul mio viso, mi sposta qualche ciocca di capelli e inizia a muovere lentamente la mano in maniera ritmica e circolare, e vengo totalmente assopita da questi movimenti.
- Cosa ti è successo prima in campo?-, eccola qui la fatidica domanda, sapevo che presto o tardi, mio malgrado, sarebbe arrivata.
- Niente di che -, dico cercando di alzarmi, ma un altro capogiro mi coglie alla sprovvista e perdo le forze, cadendo in quelle che sembrano essere le braccia di Xavier Schiller.
- Certo che non riesci proprio a stare ferma -, dice stizzito, riappoggiandomi delicatamente sulle sue gambe.
- Diciamo che vorrei capire perché sono stesa su di te e non su un lettino con accanto la solita infermiera con sguardo impietosito -.
- Perché la mia presenza è di gran lunga migliore e più gradita di quella dell'infermiera impietosita. -
- Come no. -, sbuffo seccata.
- Me l'hai appena confermato tu. -, e quel dannato sorrisetto che odio compare sul suo viso.
- Ne ho già abbastanza, io me ne torno in camera -, tento di alzarmi, ma aumenta la presa sulla mia vita, impedendomi di alzarmi.
- Questo è sequestro di persona Schiller, in caso non ne fossi al corrente -, sputai acida.
- Ne sono perfettamente consapevole, ma il mister mi ha detto di restare qui con te finché non ti saresti svegliata e aspettare il suo arrivo e quello del medico. -, disse facendo spallucce.
- Che palle, perché proprio tu? -
- Perchè sono quello che ti ha preso al volo evitando che il tuo bel culetto facesse un incontro ravvicinato con il campo sul quale stavamo giocando. -, disse inorgoglito del suo eroico gesto.
- Nessuno te l'ha chiesto, sai? -, domandai sarcastica.
- Non eri dello stesso avviso prima. -, cercò di tenermi testa e, forse, ci stava riuscendo.
- Non tutti siamo coscienti e consapevoli di ciò che diciamo prima di svenire, pensavo lo sapessi. -, sorrisi facendogli un occhiolino.
- Come preferisci, facciamo che hai vinto tu stavolta e tagliamo corto, non ho voglia di discutere con te morente tra le mie braccia. -, disse secco.
- Vincerò sempre io Schiller, e per la cronaca potresti anche mollarmi. -
- Non vorrei mai che avessi un altro mancamento e rischiassi di cadere a terra. -, di nuovo quel dannato sorrisetto.
- Tranquillo, sto bene ora, puoi decisamente mollare la presa. -, lo guardai seria.
- Non sembrava ti dispiacesse. -, fece spallucce mentre smetteva di tenermi bloccata contro di lui.
- Finalmente un po' d'aria. -, dissi mettendomi seduta a fianco a lui, su quello scomodo lettino. Forse effettivamente preferivo stare appoggiata a lui.
- Ora si può sapere cosa ti è successo? - chiese, guardandomi intensamente.
- Preferirei non parlarne, non è il mio argomento principale di discussione. -, risposi a testa bassa.
- Non c'è niente di male, tutti abbiamo giornate no. -
- Peccato che le mie giornate no durano da 5 anni ormai. -, risi amaramente.
- Cioè? -, vidi la curiosità nei suoi occhi, ma ero davvero pronta a parlarne?
- Credimi, non lo vuoi sapere, non ti interessa davvero, anche perché non saprei darti nemmeno io delle risposte precise, a distanza di anni le sto ancora cercando anche io. -, dissi sconsolata.
- E se invece lo volessi sapere? -, mi disse serio guardandomi dritto negli occhi
- Certo che sei proprio ostinato. -, osservai.
- Solo con le cose che mi interessano. -, sorrise e mi fece un occhiolino, mi sentii strana, ma non ci feci molto caso.
- Ma ci provi sempre così con tutte? -, risi.
- Non sempre. -, fece spallucce.
Annuí, persa nei miei pensieri, restando in silenzio per un po' troppo tempo.
- Quindi? -, continuò ad insistere.
- Iniziai a giocare a calcio quando ero molto piccola, mi innamorai subito di questo sport, fin dal primo calcio che diedi al pallone. Così iniziai ad allenarmi tutti i giorni da sola, poi i miei genitori mi iscrissero in vari club, ed in ogni scuola dove andai, divenni sempre il capocannoniere della squadra. Ho sempre amato giocare, il calcio è parte di me e della mia vita. Finché un giorno, alla finale del torneo scolastico del terzo anno, qualcosa cambiò irreversibilmente. Successe esattamente ciò che è successo poco fa sul campo, tirai, persi le forze, caddi, svenni e mi risveglia qualche tempo dopo in queste stesse condizioni. Dopo quella volta mi successe sempre. Da quel giorno passai più tempo in vari ospedali e da vari medici che a casa mia, nella speranza di capire cosa avessi, di trovare una cura, ma ad oggi è tutto ignoto. Alcuni dicono che non riesco a canalizzare bene la mia forza, causando uno sforzo eccessivo al mio fisico che mi porta ad avere queste reazioni, altri dicono che ho qualche malattia che mi rende debole a tal punto da non riuscire a reggere sforzi di questo tipo, visto il grande potere che ho, ma ad oggi nessuna diagnosi si è rivelata attendibile e nessuna cura utile. Quando ho saputo che mi avevano convocata per giocare nel football frontier international ero felicissima, ma ho subito rifiutato, nelle mie condizioni non avrei potuto fare niente, ma è stato il mister ad insistere, dicendomi che sapeva del mio problema e che con la giusta equipe di medici ed esporti sarebbero riusciti a trovare una soluzione, permettendomi di giocare il campionato, così, anche se titubante accettai. In questi giorni ero preoccupata perché sapevo che presto o tardi questo sarebbe successo di nuovo, che voi avreste visto, chiesto, guardandomi con quello sguardo preoccupato e compassionevole che ho sempre odiato. In più, era da tanto che non mi succedeva, avevo paura potesse essere peggio del solito, ma fortunatamente non è stato così. Avevo smesso di allenarmi nelle super tecniche, perche questa cosa si presenta principalmente, se non quasi esclusivamente, quando le eseguo, soprattutto quelle che richiedono un certo sforzo e una certa potenza. In più mi è stato detto che c'è il rischio che possa non risvegliarmi più qualora dovessi forzare un po' troppo la mano, quindi diciamo che questa situazione non è il massimo, ormai avevo quasi imparato a conviverci. Ma non ha senso vivere se non posso essere me stessa facendo ciò che amo. Questo è quanto. - dissi tutto d'un fiato, senza fermarmi nemmeno per respirare e guardando tutto il tempo un punto fisso davanti a me.
- Wow, non immaginavo fossi incasinata fino a questo punto, stai messa quasi peggio di me. -, riflettè ad alta voce tra se e se.
- Oh beh grazie, ora si che mi sento meglio, sei proprio di conforto. - dissi, e mi scappò una risata.
- Però ti ho fatto ridere, le cazzate che dico serviranno pur a qualcosa, no? -, sorrise anche lui.
- Lasciamo perdere. -, dissi, sorridendo anche io.
- Vedrai che andrà tutto per il meglio, sono sicuro che troveremo una soluzione e potrai tornare a giocare e ad essere felice, non preoccuparti. -, disse guardandomi dritto negli occhi, ed io ricambiai il suo sguardo.
Quella situazione iniziava ad essere fin troppo compromettente, ci stavamo decisamente avvicinando troppo, e in più non riuscivo a distogliere lo sguardo dai quei suoi dannatissimi occhi magnetici. Di questo passo a breve mi sarei ritrovata le sue labbra sulle mie, nonostante ciò, non riuscivo a opporre resistenza, quasi come se una parte di me volesse davvero baciare Xavier Schiller.
Eravamo sempre più vicini, stavamo quasi per baciarci, le sue labbra fameliche erano quasi sulle mie, finché un rumore sordo di una porta cigolante ci interruppe bruscamente.
- Ciao principessa, tutto ok? Stai bene? -, chiese Aiden trafelato e preoccupato.
Il rossore sulle mie guance era palese, ma fortunatamente nessuno sembró farci troppo caso.
- Ciao Aiden, si, sto bene, non preoccuparti. -, gli sorrisi, mentre vedevo Xavier accanto a me lanciargli sguardi di fuoco, come a suggerirgli di levarsi di mezzo. Io, invece, in cuor mio lo stavo ringraziando immensamente, aveva impedito che accadesse l'irreversibile, anche se sapevo che non me la sarei sempre potuta cavare così facilmente.
- Menomale, mi hai fatto davvero preoccupare. - disse, correndomi incontro e stringendomi forte a lui. Ricambiai l'abbraccio e gli lasciai un bacio sulla guancia.
- Stai tranquillo, ora vai a farti una doccia, ci vediamo più tardi in mensa. -, gli dissi dolcemente.
- Va bene principessa, a dopo, se hai bisogno non esitare a chiamarmi. -, mi sorrise mentre usciva dalla stanza, ed io annuí nella sua direzione.
- Salvata dalla campanella Suzuki. -, disse il ricciolino accanto a me.
- Già, sembra che per questa volta io l'abbia scampata Schiller. -, gli feci un occhiolino.
- Non succederà di nuovo. -
- Fossi in te non ne sarei così sicuro. -, feci spallucce.
- Staremo a vedere. -, mi rispose sicuro di se.
Sentimmo dei passi e subito dopo la porta si aprì di nuovo, ma stavolta era mister Yi.
- Chloe, vedo che sei sveglia, bene. Riesci a camminare? Puoi seguirmi? -, mi chiese gentilmente col suo solito buffo modo di fare.
- Certo mister. -, risposi.
- Bene, allora vieni in infermeria al terzo piano, dobbiamo discutere di un po' di cose. -
- Arrivo. -, dissi, poi l'uomo chiuse la porta alle sue spalle.
- Vai anche tu a farti una doccia, che puzzi parecchio. -, dissi al mio coinquilino.
- Certo, a lui non l'hai detto che puzzava, sei stata carina e gentile, con me no. -, rispose scorbutico.
- Lo sono solo con chi merita, ora vai a lavarti, ci vediamo dopo. -, dissi sorridendogli e facendo spallucce.
- Si capo. -, disse, fingendosi di mettersi sull'attenti.
Così sorrisi, per il suo buffo comportamento e mi alzai dal letto, dirigendomi lentamente verso la porta, mi girava ancora la testa. Stavo per girare la maniglia, quando Xavier mi chiamò.
- Chloe. -
- Si? -
- Il limite, non superarlo. -
- Non lo farò. Grazie. - gli sorrisi sinceramente e mi chiusi la porta alle spalle, poggiandomoci un attimo sopra, perché a quelle parole, il mio cuore avevano iniziato a battere un po' più forte.
Forse non era così tanto stupido e superficiale come dava a vedere, forse io non gli ero poi così indifferente. Era stato l'unico fino a quel momento a non riservarmi quegli sguardi che tanto odiavo, ma a riderci e scherzarci su, facendomi sentire più normale, più leggera, quasi felice.
Mi staccai dalla porta e mi diressi verso l'infermeria, pronta a sentire ciò che il mister e la sua equipe avevano da dirmi.

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