Rimasi in piedi sullo scoglio per qualche minuto, assimilando il tutto. Ero arrabbiata, furiosa con quel ragazzo. Mi aveva detto che sarei potuta tornare a casa. Mi aveva mentito.
Poi arrivò la tristezza. Per quando ne sapessi erano passate ventiquattro ore, ossia 1440 minuti. Erano passati millequattrocentoquarant'anni da quando avevo lasciato la terra. Michael, John, mamma, papà.. tutti morti. Non ho mai avuto l'occasione di sposarmi e di mettere su famiglia. Non ho mai potuto fare la maturità, laurearmi ed aprire un mio studio di psicologia infantile. Non ho mai potuto dire addio a tutte le persone a cui tenevo. Non ho mai chiesto scusa ad Annie, per averla cacciata, nonostante fosse stata l'unica persona ad avermi voluto veramente bene. Non ho mai potuto confessare l'errore.
Quando mi risvegliai da quello stato di trance corsi più veloce possibile verso l'accampamento. Arrivai alla tenda di Pan e senza avvisare la mia entrata spalancai il tendone che faceva da porta. Lui era lì, con un indiana, seduti, che parlavano.
Mi guardò sorpreso da quell'interruzione, eppure qualcosa mi diceva che lui fosse a conoscenza del mio arrivo. Tutti mi avevano detto che non esistevano ragazze sull'isola, allora lei come poteva essere qui? Comunque quello era l'ultimo dei miei problemi. Lei mi fissava, immobile. Non capiva, probabilmente mi deve aver preso come una bambina viziata incapace di aspettare il proprio turno. Magari avevano detto anche a lei di essere l'unica di sesso femminile. O magari pensava fossi pazza, dato che ero bloccata all'entrata della tenda, mentre li fissavo.
<fuori di qui> le dissi a denti stretti
<Peter io-> cercò di fiatare lei
<ho detto fuori!> urlai indicando l'uscita, con le lacrime che si imponevano di non scendere
L'indiana si alzò, chiaramente ferita dal mio strano comportamento nei confronti di una persona che neanche conoscevo. Mi dispiacque averla trattata in quel modo, ma ero arrabbiata e non riuscivo a ragionare. Mi imposi di andare a cercarla per chiederle scusa, una volta libera dalla "maledizione" del ragazzo
Ci fu un secondo di silenzio in cui entrambi aspettammo che lei fosse lontana. Io lo fissavo, con lo sguardo ferreo, incazzata. Come avrebbe detto mia nonna, avevo il fumo che mi usciva dalle orecchie e, quando entrambi fummo certi che nessuno ci stesse ascoltando, sbottammo
<quali cazzo di problemi hai?!> mi urlò. Io non risposi ed urlai a mia volta, avvicinandomi a lui e puntandogli il dito contro
<mi hai mentito!>
<avevi detto che sarei potuta andarmene quando avrei voluto!>
<invece sono bloccata qui! con te! Con tutta questa gente che neanche conosco!>Peter mi fissava, con lo sguardo vuoto.
<Tutti. Tutti quelli che amavo sono morti, Tutti!>
Non si mosse. Ormai avevo le lacrime dovute al nervosismo che avevano spaccato quelle dighe immaginarie che le bloccavano all'interno dell'occhio.
<Ma dico non hai mai tenuto a qualcosa nella vita?! Non hai mai avuto una cazzo di famiglia?!
Un tuono, o meglio un fulmine, colpì all'improvvisto a qualche kilometro da noi. Lui spaccò il bicchiere che aveva in mano con la sola forza delle dita. Le schegge di vetro lo tagliarono, ma lui sembrava non provare nessun dolore; né fisico, né emotivo. Sobbalzai a quel gesto. Poi, a passo svelto, si avvicinò a me. Io indietreggiai fino ad andare contro il palo che reggeva in piedi la tenda. Mi mise la mano sana intorno al collo, mentre con l'altra mi teneva il viso, per farsi guardare dritto negli occhi.
<tu>
<non sai nulla di me> sibilò
<io non so chi tu creda di essere; forse una ricca viziata cresciuta bene ed abituata ad avere tutto, ma qui, sull'isola, sei solo un piccolo scarafaggio in un mondo di coccodrilli>
La sua faccia era vicino alla mia. Lo avevo ferito, era chiaro, ma al posto del dolore aveva rabbia. Tanta, troppa rabbia. Mi ritrovai ad avere paura di quello che sarebbe potuto accadere. Mi avrebbe uccisa? Probabile. Lo avevo capito, lui era il capo lì per i bambini sperduti. Il fatto era che io non ero parte di quello, mai lo sarei stata. Era vero, sono stata abituata a vivere nel lusso, per questo non avrei mai potuto essere parte di.. quello.
<e credimi dolcezza, qui, il coccodrillo sono io>
Mi guardava arrabbiato, mentre la sua mano sporca di sangue sporcava il mio viso. I suoi occhi sembravano spogliarmi completamente. Mi sentivo come nuda davanti a quel ragazzo. Riusciva, con quei suoi occhi neri, a scavarti nei più profondi spazi della tua anima, per poi tirarne fuori qualche pezzo. Lasciò la presa sul mio collo, senza smettere di fissarmi. Per una volta nella mia intera vita ero senza parole. Mi limitavo a fissarlo, non sicura di quello che avrei dovuto dire. Fuori diluviava. Era come se quell'isola provasse le stesse emozioni del ragazzo che avevo ancora di fronte. Forse avevo veramente esagerato, avevo toccato un tasto dolente che non avrei dovuto, ma non avevo intenzione di scusarmi. Mi aveva mentito, aveva rovinato la mia vita.
<voglio andarmene da qui>
Avevo mille cose da dirli, da urlargli. Mi limitai a quelle quattro parole, spaventata dalla risposta che il biondino avrebbe potuto darmi.
<oh no cara> disse inclinando la testa come per guardarmi meglio.
<io non ho ancora finito con te> sussurrò
<scusami? Cosa sono, una specie di gioco?> chiesi indignata
lui si avvicinò, ma stavolta io non indietreggiai. Rimasi ferma nella mia posizione.
<hai detto tu di testarti> disse guardandomi negli occhi, serio e deciso.
YOU ARE READING
possessive
FanfictionTutti conosciamo la storia di Peter Pan. E se vi dicessi che in realtà egli era tutt'altro che buono? Questa è la loro storia raccontata sotto il punto di vista di Wendy, una sedicenne con problemi in famiglia, che l'hanno portata a fare gesti che...