1. Prologo: Welcome to NYC

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Aeroporto John Fitzgerald Kennedy International, New York, 2019.


New York, nota come la "grande mela", la città più popolosa d'America con inverni freddi ed estati calde, apre le porte a futuri brillanti e carriere in crescita.
L'aria fresca di aprile colpiva i nasi scoperti, rinfrescava le mani e scompigliava i capelli. Clima rigido e duro in inverno che si tranquillizzava e alternava durante la primavera, New York era bella e affascinante per come era.

C'era sempre un viavai di gente, un caos e un trambusto ad ogni angolo della città, clacson, sirene, pneumatici e voci distorte di centinaia e centinaia di persone. Una città frenetica e movimentata sempre pronta ad accogliere nuove persone tra loro.
Qualche bambino piangeva, qualche ratto si nascondeva ai lati della strada sotto i cumoli di spazzatura e il traffico insopportabile accompagnato dalle imprecazioni degli autisti erano all'ordine del giorno.

Era un giorno come un'altro, tra chi si dirigeva a lavoro, chi rimaneva a casa e chi rientrava nella sua dimora, un ragazzo alto, biondo, capelli scompigliati, con una valigia grigia in una mano e un borsone nero sulla spalla uscì dall'aeroporto, un' improvvisa brezza lo colpì in viso e gli occhiali da sole appollaiati sul naso lo proteggevano dai forti raggi del sole dell'orario di punta. Il suo stomaco brontolò, nascosto dal rumore ovattato della città. Si massaggiò lo stomaco dolorante sotto la felpa grigia, troppo pesante per il momento e zuppa di sudore.

Le sirene e i clacson sono la prima cosa che le orecchie di Namjoon sentono appena esce dall'aeroporto mettendo piede nella grande mela.
Il biondo, che sembrava un modello grazie alla sua altezza, attraversò la trafficata strada sulle strisce pedonali per poi fermarsi dietro una fila di un fast food, la più corta e veloce in quel momento.
Solo a vederla, quella città sembrava poter dare chance a chiunque mettesse piede lì, bastava avere un visto per due anni e un monolocale da 40 metri quadri a pochi minuti dal quartiere di Manhattan. Certo, niente a confronto con le immense e lussuose case di New York, ma in quel momento lo stipendio di Namjoon poteva permettersi solo quello.
Finalmente fu il suo turno, dopo estenuanti minuti poteva ricaricarsi da un volo durato quasi 16 ore.
Si affacciò verso bancone di vetro guardando il cibo in esposizione per poi alzare lo sguardo sui poster dei menù. Non voleva mangiare niente di particolare quindi ordinò un panino con doppio hamburger da asporto con il suo inglese perfetto e accento attraente, intensificato dalla sua roca e profonda voce. La gentile donna bassa e bionda sparì nella cucina per poi tornare con una busta di carta contenente la sua coca cola e panino. La ringraziò con un occhiolino ed uscì, impaziente di addentare il suo cibo.

Con la pancia piena di plastica spacciata per carne e le energie finalmente risanate, si diresse verso il bordo del marciapiede aspettando che una macchina gialla comparisse da un momento all'altro. Il traffico era tremendo anche a quell'ora, le due del pomeriggio, e per poco non perse il taxi tra le numerose macchine che sfrecciavano da una parte all'altra. Alzò la mano e il taxi giallo si fermò propria davanti a lui, mise la valigia nel porta bagagli e il borsone nero sui sedili del passeggero. Diede l'indirizzo al taxista di fronte a lui, un uomo visibilmente annoiato che sbadigliava ad ogni minuto, che a stento rispondeva al suo cliente e canticchiava le canzoni che emetteva la radio. Ci sarebbe voluta più di un'ora (e tanti soldi) quindi Namjoon prese il cellulare e digitò un messaggio.

Namjoon
Sono nel taxi. Arrivo tra un' ora circa.

Spense il telefono e si accasciò al sedile chiudendo gli occhi, andando e tornando dal mondo dei sogni. Girò la testa di lato, verso il finestrino da cui vedeva chiunque: uomini eleganti con valigette in una mano, donne che camminavano con un cellulare tra la spalla e l'orecchio, qualche coppia e tanti, tanti ragazzi giovani.
Era sconosciuto, le strade erano sconosciute e i volti lo erano altrettanto. L'aria addirittura era strana, non si respirava la Corea, la sua Ilsan, ma odorava di New York. Odorava di carburante, in alcuni angoli l'odore della spazzatura era pungente ma altri angoli della strada erano belli e puliti. C'erano edifici altissini, qualsiasi tipo di agenzia ed edificio era proprio lì.
Monumenti e storie tutte diverse, ristoranti con una grande varietà di cibi proveniente da tutto il mondo, alcuni un po' cari mentre altri più accessibili.
Tutto questo non gli apparteneva, eppure eccolo lì, a realizzare per la prima volta il sogno di una vita. Oggi non era nessuno, e neanche domani, ma presto avrebbe iniziato a lavorare in una grande casa discografica come produttore, rapper e compositore. Aveva già incontrato Yoongi e Hoseok 7 mesi prima durante la sua vacanza lì, l'idea di trasferirsi a New York era partita proprio da quel suo sogno che aveva da adolescente.
In seguito, durante quelle due settimane di vacanza, incontrò la sua attuale fidanzata che viveva lì già da anni al centro della città.

Let's meet in New York! [namjin] Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora