Capitolo 48: un'accettazione

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"Sei sicura che non vuoi che venga con te?" mi chiede Hero preoccupato.

"Hero, mi hai fatto la stessa domanda una dozzina di volte e la mia risposta non è ancora cambiata e non cambierà. Si sono sicura, devo farlo da sola. Mi sono messa io in questa situazione. Lascia che me ne occupi io. Per favore." Mi chino verso di lui e gli bacio la guancia. Il suo cipiglio si distende e un accenno di sorriso solleva gli angoli della sua bocca mentre torno indietro per appoggiare la schiena sul sedile del passeggero della sua macchina. "Avrei dovuto sceglierti fin dall'inizio. Mi dispiace così tanto, amore" sussurro piano, guardando fuori dalla finestra.

"Ehi, ehi..." Prende la mia mano nella sua e la stringe ma io mi rifiuto ancora di guardarlo. L'atmosfera giocosa e rilassata che avevamo nel suo appartamento è ora sostituita da una forte tensione. "Non importa più. Ciò che conta è questo" dice dandomi un'altra stretta di mano.

Annuisco distrattamente con la testa mentre la villa appare davanti a noi. Sono quasi le cinque del pomeriggio. Molto probabilmente Lady Martha sarà in biblioteca, a leggere un libro e a prendere il tè. Per quanto spaventosa sia la prospettiva della mia conversazione con lei, non riesco nemmeno a pensare di tirarmi indietro adesso. Devo essere onesta e affrontare le conseguenze della mia confessione. Lo devo a lei. Lo devo a me stessa. E soprattutto, lo devo a Hero.

Sii egoista per una volta. Sii coraggiosa, Josephine.

L'auto si ferma proprio vicino ai gradini che portano alle porte d'ingresso della villa e gli impedisco di spegnere il motore. "Dovresti tornare a Londra. Domani perderai di nuovo le lezioni" gli dico con un sorriso forzato.

"Ma, amore" inizia a protestare ma io scuoto la testa con decisione. Quasi mi guarda male, poi sbuffa frustrato, colpendo con forza la nuca contro lo schienale del sedile.

"Andrà tutto bene. Ti chiamo subito dopo" gli assicuro.

"Davvero mi stai facendo partire? Da casa mia?" schernisce, ma il suo tono non è per niente duro. Sembra persino divertito con un pizzico di presa in giro.

"Sì" soffoco il mio sorriso, le mie spalle si rilassano. Mi tolgo la cintura di sicurezza e prendo la borsa che è ai miei piedi.

"Vieni qui" sussurra burbero e prima che me ne renda conto, mi sta già tirando a lui. Mi aiuta a mettermi a cavalcioni sul suo grembo mentre si aggiusta il sedile per fare più spazio per me in modo che il volante non mi dia noia dietro.

Appoggio le braccia sulle sue spalle e affondo contro di lui, sospirando e le mie guance arrossate. Mi chino e bacio le sue labbra, poi le sue guance e giù sulla sua mascella facendolo canticchiare in approvazione. La sua mascella si contrae e vedo la sua fossetta sulla guancia mentre un sorriso prende il sopravvento sul suo viso.

"Non dovremmo farlo qui fuori." Non c'è assolutamente nessuna convinzione nella mia voce che fa solo allargare il suo sorriso.

"Non vedo l'ora che arrivi il momento in cui sarò in grado di mostrarti a tutti."

"Sono così nervosa, Hero" confesso in un baleno ma lo rimpiango immediatamente quando il suo sorriso svanisce, al suo posto c'è un'espressione preoccupata.

"Ma ancora non mi lasci venire con te" conclude e io annuisco con la testa, i denti che affondano nel labbro inferiore. Si lecca e morde le labbra prima di annuire. "Ho qualcosa per te" annuncia invece e raggiunge il vano portaoggetti e tira fuori un pezzo di carta, porgendolo a me.

Lo giro e un sorriso mi illumina istantaneamente il viso, i miei nervi evaporano. Lo schizzo che mi ha fatto dopo aver trovato la collana. La forma familiare dell'albero e l'altalena che pende da uno dei suoi rami, due figure in un abbraccio stretto in piedi davanti l'albero. Un momento così agrodolce per noi tradotto in bellissimi tratti di diverse sfumature di nero su un foglio di carta bianco strappato dal suo blocco da disegno.

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