7 - La notte dei desideri

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Il desiderio di Sabino mi aveva colto di sorpresa, non Nando che invece stava già pensando come esaudirlo. Me ne accorsi dalla fronte increspata, la deformava sempre ogni volta che macchinava qualcosa. Gli donava un'espressione buffa. Però per quella notte non si fece nulla, se non per la memoria di Gregorio almeno per rispetto al cordoglio.

L'uscita notturna aveva affaticato Sabino. Crollò dal sonno appena finito di metterlo a letto.
Prima di recuperare il mio posto sul terrazzo, notai papà col solito bicchiere da vuotare fino all'ultimo minuto. Mi guardava truce. Era seduto al tavolo in penombra di una candela, gli occhi spiccavano al tremolio della fiammella. Silenziosa, mamma apparve alle spalle di Nando, aveva un pugno conficcato nella pancia, le doleva sempre quando affrontava un dispiacere. Ero sul punto di dire qualcosa ma Nando mi invitò a seguirlo.

«Andiamo.» Scossi la testa. Cercai la mamma con lo sguardo ma la sua schiena era già svanita dietro la porta della camera da letto. Subito dopo mi si avvicinò papà e mi spintonò a terra. «Crepa.» Non avevo parole, né voglia di reagire. Avevo speso tutte le energie fisiche e non. La quasi sfuriata in chiesa lo aveva offeso, immaginai. Nando mi tirò su malgrado non volessi essere aiutato e bisbigliò una pesante imprecazione. «Andiamo.» Tornò a ripetere e scossi di nuovo la testa. Non avevo voglia di ascoltarlo. «Vieni.» Disse ancora ma non con insistenza, piuttosto con pazienza, comunque sicuro che alla lunga avrei ceduto. Aveva tra le mani le coperte e il cuscino. Era palese avremo trascorso ancora una notte insieme, stavolta contro la mia volontà. Fece cenno con la testa di seguirlo, era tranquillo. «E sia.» Sussurrai sconfitto.

Salimmo la gradinata addossata al muro esterno della casa, emergemmo nel campetto di ortaggi che Gregorio non avrebbe mai più curato. I mandorli e i fichi proiettavano l'ombra del chiarore lunare, surreale. Mi resi conto che il giorno dopo non sarebbe stato più lo stesso senza nostro fratello. La sua assenza era per sempre e per sempre ingiusta. Recuperammo il solito posto, al limite del terrazzo, lui salutò dal lucernario Sabino nonostante dormisse, poi si avvicinò a me. Mi allontanai ma non fece caso. Sistemò coperta e cuscino e si sedette. Batté la mano a terra. «Vieni.» Disse dolcemente come mai prima. Sospirai, almeno non era arrabbiato. Mi sedetti imitando la sua postura. In attesa che dicesse qualcosa, lo osservai trafficare con una mano dentro la tasca della camicia da dove estrasse una sigaretta e un accendisigari. Se la infilò in bocca e fece scattare la rotella dell'accendino e la fiammella appena nata gli illuminò per un attimo il volto. Bruciò la punta della sigaretta e aspirò veloce, poi spense il fuoco. Reclinò il capo e buttò fuori una quantità sbalorditiva di fumo. Mi affascinò. Di tanto in tanto vedevo vecchi fumare, persino Don D'Arcento, ma nessuno lo faceva come Nando. Ed era la prima volta che lo vedevo fumare. Aveva voglia d'intavolare un discorso e non sapendo da dove cominciare, mi passò la sigaretta. Ancora una volta lo imitai. Per me era la prima volta che fumavo e a essere onesti non mi era dispiaciuto.

«Se senti di dover tossire, tossisci. La prima volta è sempre complicato.» Non lo accontentai, mi piaceva fumare.

«Impari in fretta ogni cosa tu.» Commentò riprendendosi la cicca. «Ogni cosa.» Sottolineò. Rimasi in silenzio in attesa dell'inevitabile sfuriata, ma nemmeno lui mi accontentò. «Che tu lo accetti oppure no, Gregorio non sarebbe vissuto a lungo. Sai, io c'ero quando era nato, siamo nati tutti in casa, lo sai. Però quando nacque, lui non respirava.» Diede un altro tiro alla sigaretta e poi me la passò. L'accettai. «Ci vollero molti schiaffi sul sedere perché cominciasse a piangere. La levatrice, donna Concettina, lo disse a mamma e papà che non avrebbe superato il mese.» Prese un altro tiro di fumo dalla mia mano, poi me la lasciò. «Diciassette anni è vissuto. Più di quanto supposto. Cuore debole. Così aveva detto la levatrice e Gregorio, pur non avendolo mai saputo, una volta mi disse che non si sentiva a posto. Non che stesse male ma piuttosto mi aveva fatto capire che c'era qualcosa in lui che non andava, che non sarebbe vissuto a lungo. Me l'aveva rivelato spontaneamente.» Ancora un altro tiro dalla mia mano. «E sai cosa mi aveva detto ieri?» Scossi la testa, ma siccome era buio, accompagnai il gesto con un prevedibile «no.»

Corri incontro al fuocoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora