Epilogo in codice Morse

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Affrontai quella stessa giornata angosciato. Il mio cuore faceva tu-tum, tu-tum, forte. Avevo timore che qualcuno lo sentisse. Ero spaventato a morte. Walter invece aveva tenuto fede al proposito di far finta di nulla. Come se non fossimo stati scoperti a baciarci sotto il porticato di casa. Io invece mi sentivo colpevole. Ero il portabandiera della colpevolezza. Tuttavia, intorno a me, Gin, Zac, Claribel, persino Oit e il cane, erano assorti nella loro vivacità. Vivevano ogni giorno così. Dovevo farci ancora l'abitudine alla vitalità di casa Wilson.

La notte, di nuovo, io e Vuòlt facemmo la nostra felicità. Nella comodità del letto stavolta. Solo che al termine sentimmo provenire da dietro la porta chiusa della nostra camera: «Buonanotte ragazzi!» da Zac! Ero nel panico. Nudo. Addosso a Vuòlt che di punto in bianco ebbe dei singulti che alimentarono la mia angoscia. Cazzo! Stavamo rovinando tutto. Ce la stavamo mettendo tutta per mandare tutto a puttane. Poi quando anche Claribel fece eco al marito dissi a Walter che dovevamo dire tutto e subito. Uscire allo scoperto insomma. Rivelarci amanti.

«Ma no. È meglio scappare.» Non era convinto mentre lo diceva. E io non ero convinto di crederlo.

«E dove potremo andare?» Quanto mi spiaceva dover abbandonare quel paradiso di casa però.

«A New Orleans! È un posto bellissimo, vedrai!»

«Mi fido di te.» Dissi e lui si schiarì la voce. Poi tuonò.

«Mamma! Papà! Domani io e Roberts fuggiremo via di casa, scapperemo lontano da questo posto dove nessuno si fa i fatti suoi. Andremo a New Orleans!»

«Va bene cari! Fate pure! Però portatemi un po' di quelle frittate schiacciate ripiene di marmellata all'arancia e fiammeggiate con l'anice! Non riesco mai a replicarle. Mi vengono certe frittate strapazzate che non si capisce niente!» Ribatté proprio la dolce Claribel.

«Mamma, quelle si chiamano crêpes Suzette!» Corresse Gin dalla sua camera, tanto per sottolineare che davvero eravamo sotto sorveglianza. Un'allegra sorveglianza. Io stavo andando a fuoco. Chissà se avevano sentito qualcosa d'indecente mentre io Vuòlt ci stavamo cavalcando a vicenda.

Quale effetto mi fece la sconsideratezza di Vuòlt, e di tutta la situazione in generale?  Eh. Se esistessero in cielo due lune con le pupille, rappresenterebbero i miei occhi in quel momento. Vuòlt scoppiò a ridere della mia espressione. Mi saltò addosso. Cerrcai di respingerlo. Avevamo già dato sufficiente spettacolo. Alla fine però mi tranquillizzò. Sapete perché? Me lo spiegò. Perché la sua famiglia era composta da persone illuminate. Sapevano tutto di lui e per riflesso anche di me. Eravamo liberi di essere felici purché rimanessimo nella sfera familiare e rispettassimo un certo decoro. Il mondo fuori non era ancora pronto ad accettarci. E anche ciò andava bene così per tutti e due. Ma io aspettai un bel po' prima di sentirmi a mio agio.

Andammo a New Orleans il giorno dopo. Nel quartiere francese, dove il jazz, i pittori per strada e le locandine inneggianti al pacifismo rimasero dentro me come il ricordo più pittoresco. E i mesi a seguire organizzammo visite anche in tutte le altre città. In pratica Vuòlt mi insegnò a viaggiare.

Mi insegnò anche le date delle feste. Una delle quali era Halloween, che coincide con la vigilia di Ognissanti. La gente la sera di questo giorno va in giro travestita come a carnevale. Cucina piatti a base di zucca. Le bucce intere di questo enorme ortaggio poi le intagliano creando volti umanoidi piuttosto inquietanti. I ragazzini si fanno scherzi tra loro. E poi attorno a un fuoco raccontano a turno racconti raccapriccianti. Tutte queste cose, manco a dirlo, a casa Wilson avvenivano in maniera amplificata. E quando arrivò il mio turno di raccontare un qualcosa di spaventoso non mi tirai indietro. Erano curiosi di trovare almeno un lato in comune con la mia vecchia vita. Con le mie origini. Soprattutto Oit e suoi amici di scuola, invitati per l'occasione anche perché potessi conoscerli. Erano ragazzi spensierati. Avevano pochi problemi che li affliggevano: l'andamento scolastico, e qualche punizione per le solite marachelle di gioventù che spesso sfociavano in goliardate. In bravate. Quel trentuno ottobre mi unii alla loro cerchia di fronte al camino acceso. Le altre luci tutte spente. Erano tutti curiosi di "quel ragazzo giunto dall'altro capo del mondo", così mi chiamavano. Quando compresi che volevano che raccontassi una storia paurosa, scelsi i racconti di nonna Rita. Erano perfetti per l'occasione. Muzzone, il cavallo senza testa, la caverna della carrozza maledetta, Ninetta la bimba fantasma col suo cuscino imbottito di ossa di bambini morti, e tanti altri. Ebbero tutti successo. Forse troppo. Li avevo quasi traumatizzati. Però alla fine mi applaudirono. Grazie un'ultima volta nonna.

Corri incontro al fuocoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora