14 - "Io Vuòlt! Tu Buddy!"

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Quel "Hei, Apache!" mi disorientò. Non era ciò che mi aspettavo di sentire. Ero certo ci sarebbero stati i carabinieri dietro me, invece no, c'era il soldato. Quel soldato. Rilassai le spalle, respirai di nuovo aria fresca. L'auto mi sfiorò il fondo schiena prima di fermarsi, mentre lui mi chiamava di nuovo «Apache!» Incredulo mi voltai e incrociai i suoi occhi grigi. Li vidi emergere, come il sole all'orizzonte, dalla stanghetta degli occhiali d'acciaio, di poco scivolati sul naso. Mi sorrideva radioso e con un gesto mi invitò a salire. Vederlo di nuovo è stato come ritrovare un volto già conosciuto, una familiarità irrazionale, una carezza capace di alleggerirmi il cuore. Quant'era bello quel viso filigranato dai raggi di sole che filtravano dalle fronde degli alberi attorno.

«Jump on! (Salta su!)» Staccò un braccio che teneva sullo sterzo per rafforzare l'esortazione. Mi avvicinai, benché non avessi inteso, senza smettere di guardarlo e prima di dimenticarmene gli consegnai il messaggio di David: «tomorrow.»

«David! Tomorrow?» Annuii.

«Good! (Bene!)» Ricambiò lo sguardo in un modo che non avrei mai dimenticato. Dovette dare una raffica di pacche sul sedile accanto al suo perché comprendessi e mi convincesse a salire in auto. Ero al settimo cielo. Immaginai che l'incontro si sarebbe esaurito lì, il tempo di un cerino divorato dal fuoco. L'auto era di un indefinito grado di verde polvere, era senza tettuccio, solo il parabrezza, basso e scheggiato, ci difendeva poco e male dal controvento. Quanta emozione averlo vicino, ero sicuro lo sentisse anche lui perché non mi persi nulla dei suoi gesti, né di come pigiava sui pedali e regolava lo sterzo man mano guidava. Anche il discorso unilaterale lo registrai tutto. A un certo punto decise fosse sufficiente il mio molesto divorarlo con gli occhi, perciò fermò l'auto.

«Let's swap places! (Scambiamoci di posto!)» Oscillò il capo una volta e stavolta intesi. Mi parve volesse che guidassi io. Fraintesi. Non so chi dei due era stato più sconsiderato, alla fine però mi misi al volante. Ero eccitato, stavo accanto a lui. Che emozione! Non avevo guidato mai nulla che non andasse a biada e mi scorreggiasse in faccia. Mi tolse di mano la tela d'ordito e la buttò sui sedili dietro con un gesto nervoso, era eccitato, e poi si batté un pugno sul petto gonfio ripetendo il suo nome.

«Walter!» Più volte, come fosse un indigeno. Sembrava il verso incerto di un cane: "Vuòlt!" Smise solo quando glielo ripetei mezza dozzina di volte. «And you? Qual è il tuo nome?» Non volevo ammettere d'averlo sentito parlare in italiano, però era un dato di fatto, aveva un accento marcato, anzi importante, ma riconobbi lo stesso la mia lingua.

«Roberto.» Risposi allargando di colpo bocca e occhi. Non ero piccato dalla rivelazione, era più intensa la sorpresa. Lo guardai con occhi diversi. Se aveva voluto prendermi in giro non mi importava.

«Roberts?» Ripeté veloce il mio nome nel corrispettivo inglese, pronunciando a malapena le "r" e ignorando l'ultima sillaba, ma lo corressi. «Ro-ber-to! Mi chiamo Roberto!» Sottolineando ogni sillaba.

«Okay, buddy, Rober-to!» Fece esplodere l'ultima sillaba al mio orecchio. Sembrava che il timpano avesse dato un cazzotto al cervello; mi trattenni dal ridere. Era soddisfatto. Mi mise i suoi occhiali dal riflesso d'acciaio e mi cinse con un braccio. Era così confortevole, caldo, comodo e duro allo stesso tempo. Sentivo brividi torturarmi d'estasi tutta la schiena, sentivo il suo odore, profumava di cuoio, di sapone, di uomo. E poi quegli occhiali, che strano riuscire a vedere attraverso. Era tutto un po' in ombra ma non mi dispiaceva l'effetto. «Smile, buddy, smile! Sorridi!» Sorrisi sì, ma solo perché aveva tradotto la richiesta e poi perché aveva cominciato a impastare delicatamente il mio collo all'altezza del pomo d'Adamo con le punte delle dita. A quel punto feci di più, risi mentre facevo partire l'auto imitando le mosse che gli avevo visto fare.

Corri incontro al fuocoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora