Pesce.
Solo lui mi chiamava così, e non sentivo quel soprannome da così tanto tempo che mi ero rassegnata a non sentirlo mai più. E mai al mondo avrei osato sperare di rivederlo. E invece eccolo, e non riuscivo a smettere di fissarlo. Nel ragazzo che avevo di fronte non restava niente del tredicenne che ricordavo, ma era lui. Quegli occhi di un marrone caldo e screziato d'oro, e la stessa pelle abbronzata, una carnagione ereditata dal padre, che forse era per metà bianco e per metà ispanico. Non sapeva da dove venissero sua madre e quel ramo della famiglia. Uno dei nostri... dei nostri assistenti sociali pensava che sua madre potesse essere per metà bianca e per metà sudamericana, forse brasiliana. Ma con tutta probabilità non l'avrebbe mai saputo.
All'improvviso lo vidi: quello di prima, di quand'eravamo piccoli e lui era l'unico elemento stabile in un mondo dominato dal caos. A nove anni - più grande di me, ma ancora così piccolo - si era frapposto tra me e Mr Henry, come aveva fatto troppe altre volte, mentre io stringevo la bambola dai capelli rossi - Velvet - che lui mi aveva regalato. La stringevo forte, tremavo, e lui aveva gonfiato il petto, divaricato le gambe. «Lasciala in pace», aveva ringhiato. «Ti conviene stare alla larga da lei.»
Scacciai quel ricordo, ma ce n'erano così tanti: lui che veniva a salvarmi per un motivo o per l'altro, finché non aveva più potuto salvarmi, finché la promessa dell'eternità era stata infranta, e tutto... tutto era andato in pezzi.
Inspirò a fondo e parlò con voce bassa e ruvida: «Sei davvero tu, Pesce?»
Vagamente consapevole che la ragazza seduta accanto a lui ci stava guardando, lo vidi spalancare gli occhi esattamente come dovevano essere spalancati i miei. La lingua non mi funzionava più, e per una volta mi sembrò strano, perché lui... era l'unica persona con cui non avessi mai avuto problemi a parlare. Ma quello era un mondo diverso, un'altra vita.
Un milione di anni prima.
«Belen?» sussurrò. Si girò completamente verso di me, e per un attimo temetti che saltasse su dalla sedia. E sarebbe stato proprio da lui, perché lui non aveva paura di niente. Era sempre stato così. Da quella distanza ravvicinata riconobbi la cicatrice sopra il sopracciglio destro, leggermente più chiara della pelle intorno. Ricordai come se l'era procurata e provai una fitta di dolore, perché quella cicatrice simboleggiava un biscotto e un posacenere rotto.
Un ragazzo della fila davanti si era voltato verso di noi. «Ehilà.» Non ricevendo risposta, schioccò le dita. «Ehi, bello? Ciao?!»
Lui lo ignorò, continuò a fissarmi come se gli fosse apparso davanti un fantasma.
«Va be', fa' come ti pare», borbottò l'altro, girandosi verso la ragazza, ma anche lei lo ignorò. Era concentrata su di noi. Suonò l'ultima campanella e capii che era entrato l'insegnante, perché nell'aula stava calando il silenzio.
«Mi riconosci?» Parlava ancora a voce bassissima.
Continuava a fissarmi, e non era mai stato così facile pronunciare una parola. «Sì.»
Si tirò indietro sulla sedia e drizzò le spalle. Chiuse gli occhi. «Oddio», mormorò, massaggiandosi lo sterno.
Sussultai e mi girai verso il professore, che aveva battuto la mano su una pila di libri. Il cuore mi martellava ancora nel petto.
«Bene: dovreste già sapere tutti chi sono, visto che siete nel mio corso. Ma, nel caso non lo sapeste, sono il professor Santos.» Si appoggiò alla cattedra e incrociò le braccia. «E questo è il corso di comunicazione. Se non dovete essere qui, probabilmente dovete essere da qualche altra parte.»
Il professor Santos continuò a parlare, ma il sangue che mi pulsava nelle orecchie sovrastava le sue parole, ed ero troppo impegnata a rendermi conto che lui era seduto vicino a me. Era lì: dopo tutto quel tempo, era lì accanto a me com'era stato da quando avevamo tre anni, ma non sembrava felice di vedermi. Non sapevo cosa pensare. Una miscela di speranza e sconforto mi vorticava dentro, mescolandosi a ricordi dolceamari che conservavo gelosamente e che al contempo avrei voluto dimenticare.
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Il ritorno inaspettato
RomanceDa quattro anni, il silenzio è lo scudo che la protegge dal resto del mondo. Circondata dall'affetto dei nuovi genitori adottivi, Belen Jhonson ha cercato di superare i traumi del passato, di convincersi di non avere più bisogno di essere invisibile...