La mattina dopo vidi addensarsi nubi di tempesta negli occhi di Rosa, quando m'interrogò sul motivo per cui le avevo chiesto di tradurmi quella frase il giorno prima.
Avrei fatto meglio a tenere la bocca chiusa.
Rosa era una persona molto intelligente, e perspicace come pochi, e qualcosa non le quadrava: come m'informò quella mattina, la frase che le avevo chiesto di tradurre suonava portoricana.
Ero rimasta a fissare quel messaggio – quelle due parole – per un tempo ridicolo. Assolutamente paralizzata da... dall'infinità di cose che avrei potuto scrivere in risposta. Quando avevo digitato un semplice BUONANOTTE era già l'una passata, e alla fine non avevo inviato il messaggio per paura di svegliarlo.
Ero una cretina. Ufficialmente.
Perciò quella mattina avevo sonno e, quando cercai di orientarmi nei corridoi affollati della scuola, mi sembrò di essere finita in uno di quei romanzi distopici che tanto mi piaceva leggere.
Depositai il libro di comunicazione nella tomba d'acciaio dell'armadietto e presi i libri delle prime due ore, sapendo che avrei avuto il tempo di tornare a cambiarli. Accostai lo sportello, sforzandomi di non pensare alla possibilità di rivedere Rider e cercando di convincermi che se quel giorno Keira mi avesse rivolto di nuovo la parola avrei risposto come una persona normale. Lo sportello non si chiudeva. Sospirando, lo riaprii e cercai di sbatterlo con più forza. Stavolta si chiuse. Soddisfatta, misi la borsa in spalla e mi girai per andarmene.
«Tu?»
Mi guardai intorno per capire da dove venisse la voce, e poi vidi lei. La ragazza del corso di comunicazione. La ragazza che aveva toccato Rider come se lo facesse spesso e come se a lui stesse bene.
«Sei tu.» Strinse gli occhi bruni. «Vorrei tanto che non fosse vero, ma sei proprio tu.»
Con la coda dell'occhio scorsi la ragazza con le treccine che mi aveva salutato il giorno prima: si era fermata a poca distanza da noi e guardava l'armadietto davanti al quale si trovava l'altra. Indietreggiò e tornò da dov'era venuta.
Povera me, non era un buon segno.
La ragazza che avevo di fronte arricciò le labbra coperte di lucidalabbra rosa. «Non sai chi sono, vero?»
Scossi lentamente la testa.
«Ma io so chi sei tu, e non perché sei nel mio corso di comunicazione. Ma non riesco a credere che sia proprio tu», proseguì. «Pensavo che ormai fossi morta.»
Mi si attorcigliò lo stomaco. Era solo il secondo giorno di scuola e già ricevevo minacce di morte?
La tracolla della vecchia borsa verde oliva le scivolò di un centimetro sulla spalla. «Sono la ragazza di Rider», disse in tono inespressivo.
Ah.
Ah.
Be', ecco spiegato il contatto fisico.
Provai una strana sensazione al petto. Non proprio delusione, più rassegnazione. Certo, l'avevo intuito il giorno prima vedendoli entrare in aula. E lui era bellissimo. E lei anche. Era logico, anche per una come me che non aveva esperienza coi ragazzi. Ma guardavo la televisione, leggevo libri, avevo Ainsley. Sapevo che la relazione di Rider con quella ragazza era una cosa sensata.
Mi guardò pensierosa, come cercando d'indovinare qualcosa. «Mi ha parlato di...»
«Che succede?» Jayden apparve come dal nulla accanto alla ragazza.
In quel momento mi accorsi che doveva essere più piccolo di noi. Primo o secondo anno, forse. I suoi occhi, dello stesso verde chiaro di quelli di Hector, non erano arrossati come il giorno prima in corridoio.
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Il ritorno inaspettato
RomanceDa quattro anni, il silenzio è lo scudo che la protegge dal resto del mondo. Circondata dall'affetto dei nuovi genitori adottivi, Belen Jhonson ha cercato di superare i traumi del passato, di convincersi di non avere più bisogno di essere invisibile...