Salii in punta di piedi le scale che cigolavano. Non dovevo fare rumore, o Mr Henry mi avrebbe scoperta. E sarebbe stato orribile.
Avanzai in silenzio nel corridoio buio. Miss Becky era di nuovo malata, a letto, ma se fossi riuscita a farla alzare avrebbe aiutato Rider. Aprii la porta lentamente, per non far rumore, e guardai nella stanza. La lampada sul comodino era accesa e spandeva una fioca luce giallastra. Il comò era ingombro di bottiglie marroni vuote. C'era un odore strano. Di chiuso. Mi avvicinai al letto, torcendomi le mani. Miss Becky era sdraiata lì, eppure non sembrava lei. Sembrava un manichino in una vetrina, pallida e immobile.
«Miss Becky», sussurrai, violando una regola. Era proibito svegliarla, ma Rider aveva bisogno di aiuto. Non si mosse. Mi avvicinai ancora. «Miss Becky?»
Spaventata, esitai accanto al letto. I contorni della stanza si sfocarono. Lacrime brucianti mi riempirono gli occhi mentre spostavo il peso del corpo da un piede all'altro. Cercai di ripetere il suo nome, ma non mi uscì di bocca nessun suono. La bretellina della canottiera le era scivolata sul braccio e il petto non sembrava muoversi.
Iniziai a girarmi per andare a nascondermi, perché avevo capito che era successo qualcosa di molto brutto, ma Rider era lì fuori, e faceva così freddo che prima, nel cortile della scuola, mi avevano fatto male le mani perché non avevo i guanti. Drizzai le spalle ossute e corsi di nuovo al letto. Presi Miss Becky per un braccio. La pelle era fredda, come... di plastica. Tirai via le mani e fuggii dalla stanza. Miss Becky non avrebbe potuto aiutarmi. Dovevo cavarmela da sola, e non avrei deluso Rider. Tornai giù per le scale e passai in silenzio davanti al bagno che puzzava di muffa.
Mr Henry gridò una parolaccia dal salotto, facendomi balzare il cuore in gola, ma proseguii fino alla porta sul retro. Aprii il chiavistello, che cigolò come un tuono rintronando nella cucina. Girai il pomello.
«Che accidenti stai facendo, bambina?»
Rabbrividii e mi paralizzai. Mi preparai a incassare i pugni e aprii la bocca. Le grida rimbombarono nell'aria, in tutta la casa e...
«Belen! Svegliati!» Le mani mi tenevano per le spalle e mi scuotevano. «Svegliati.»
Saltai su di scatto e mi scrollai le mani di dosso, rifugiandomi dall'altra parte del letto. La mia mano destra si strinse intorno all'aria. Persi l'equilibrio e ondeggiai sul bordo del letto. Strinsi il pugno sinistro. Un altro grido mi risalì in gola. Feci saettare lo sguardo nella stanza illuminata a giorno. Il passato si dissolse lentamente, come una macchia di catrame lavata via. Guardai gli occhi scuri di Carl. Sul suo volto stanco era dipinta la preoccupazione. Era spettinato, la camicia grigia era stropicciata.
«Ti senti bene?» volle sapere, mentre io tiravo lunghi respiri irregolari. «Dio, Belen, non ti sentivo gridare così...»
Da anni.
Non ebbe bisogno di finire la frase. Mi scostai i capelli dal viso con dita tremanti. Mi faceva male la gola. Mi accorsi che Rosa era sulla soglia, si stava allacciando la cintura della vestaglia. Disse qualcosa, ma non capii le parole. Il cuore mi batteva a mille.
«Va tutto bene.» Carl mi accarezzò il braccio e si girò a guardare verso la porta. «È stato solo un incubo, cariño. Torna a dormire.»
Come poteva essere solo un incubo? Gli incubi non sono reali. Quelle cose invece erano successe davvero.
La mattina arrivò troppo presto e la giornata si trascinò interminabile. All'ora di comunicazione andai in aula e incrociai subito lo sguardo di Paige. Quel giorno portava i capelli in uno chignon da ballerina e grandi orecchini a cerchio. Era bellissima. Ma l'espressione tirata che assunse quando mi vide era molto meno bella.
STAI LEGGENDO
Il ritorno inaspettato
RomanceDa quattro anni, il silenzio è lo scudo che la protegge dal resto del mondo. Circondata dall'affetto dei nuovi genitori adottivi, Belen Jhonson ha cercato di superare i traumi del passato, di convincersi di non avere più bisogno di essere invisibile...