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Non ricordavo di aver infilato il libro in borsa. Non ricordavo di aver preso la borsa ed essermi alzata in piedi. Camminavo in un tunnel buio, in fondo al quale vedevo solo la porta.

Un'altra ragazza si stava alzando per presentarsi, ma non sentii nulla mentre le mie gambe si muovevano da sole e mi portavano fuori dall'aula, nel corridoio silenzioso. Mi bruciava il petto, continuai a camminare quasi correndo e non mi fermai sinché non fui fuori, verso la macchina, sotto un cielo che minacciava pioggia.

Oddio, non ci potevo credere.

Mi fermai accanto alla macchina, lasciai cadere la borsa e mi chinai con le mani sulle ginocchia.

Ero appena scappata dall'aula.

Trassi una serie di respiri affannosi e chiusi gli occhi, stringendoli a tal punto da vedere tanti puntini di luce. Ero così debole, così stupida. Dovevo solo alzarmi e dire il mio nome. Una cosa che mi piaceva e una che non mi piaceva. Non era difficile, ma il mio cervello... non funzionava a dovere. Si era spento, mi aveva abbandonata in un istante di panico.

«Belen?»

Scattai in piedi e mi voltai, rischiando di perdere l'equilibrio, e vidi un paio d'occhi color nocciola. Rider era davanti a me, col vecchio quaderno stretto in mano. Ovviamente era uscito dall'aula per corrermi dietro.

Non era cambiato niente.

Una nuova ondata di vergogna mi fece bruciare le guance e gli voltai le spalle girandomi verso il campo da football deserto. Lacrime di frustrazione mi riempirono gli occhi.

«Ho detto che ti sei sentita male», disse dopo un momento. «Nessuno pensa niente di strano. Ehi, hai mangiato alla mensa della scuola, quindi è credibile. Santos mi ha lasciato uscire per venire a vedere come stavi. Ora dovrei rientrare ma...»

Ma non sarebbe rientrato.

Chiusi gli occhi e scossi la testa. La pelle mi formicolava come se una colonia di formiche rosse mi marciasse sulle braccia e sulla schiena. Quattro giorni di scuola ed ero scappata. Con tutta probabilità avevo realizzato il peggior timore di Rosa e Carl. Avevo fatto esattamente...

«Pesce, ti senti bene?» Dopo un istante sentii la sua mano sul braccio.

Pesce.

Non ero più lei.

Tirai via il braccio e gli vidi balenare in volto la sorpresa. Abbassò la mano, mi guardò intensamente negli occhi, e in quel momento non volevo altro... non volevo altro che essere normale.

Dio, la normalità era un sogno irrealizzabile quando avevi un cervello come il mio.

«Non... non dovevi seguirmi», dissi dopo un momento.

«Perché no?» chiese, come se davvero non lo sapesse.

«Paige, tanto per cominciare.»

«Lei capisce.»

Ne dubitavo molto, perché al posto suo non avrei capito affatto. «Allora... non dovevi seguirmi perché... non sono più un tuo problema.»

Alzò il mento e diede in un gran sospiro. «Voglio mostrarti una cosa.»

Aggrottai la fronte.

Mi porse la mano aperta. «Posso vedere le chiavi della tua macchina?»

Ero sempre più perplessa. Voleva andarsene da scuola? Restava almeno mezz'ora di lezione e... Ehi, aspetta un secondo. Dubitavo che per lui fosse un problema andarsene prima del tempo, e quanto a me non avevo intenzione di rientrare.

«Ho la patente», proseguì vedendo che non rispondevo. «Te lo giuro. So guidare. Non ti rubo la macchina, niente del genere.»

Lo guardai incredula. «Non... non pensavo che l'avresti fatto.»

Il ritorno inaspettato Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora