QUANDO NON SI RIFLETTE ABBASTANZA

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Questa notte sono tornato tardi a casa, ho dormito due ore e non tengo gli occhi aperti. Infatti, non ricordo nemmeno le prime due ore di scuola; mi hanno svegliato ora per fare l'intervallo. Sono stato comunque fortunato che il professore non se ne sia accorto perché non mi sarebbe andata a genio una discussione.

Mi strofino gli occhi e, per qualche strano motivo che non comprendo, lo straniero della mia classe, nonché quello che mi devo sorbire a rientro il giovedì, mi sta parlando. E' davanti a me e non ho ancora assimilato nemmeno una parola.

“Dalla tua faccia si direbbe che non mi hai ascoltato nemmeno un po'” mi dice appoggiando le mani sul mio banco, affianco al mio portapenne.

“Ma figurati” rispondo vago.

“Quindi cos'hai deciso di fare?”.

“Credo che mi alzerò dalla sedia e farò finta di non averti visto” mi metto in piedi e me ne vado. Ruoto il collo; ho tutte le ossa che sembrano di cartilagine.

“Non parlavo di quello che avresti fatto ora, ma della verifica di matematica. Prima la professoressa ha fissato la verifica. Mi chiedevo se ti andrebbe di studiare con me”.

Mi sta seguendo, devo liberarmene: “Senti Dica, Duca o come ti chiami, non sono ancora nemmeno abbastanza sveglio per capire da che parte è il cielo e da che parte è la terra. L'ultima cosa che mi serve è sentire la tua voce”. Lo vedo che se ne va, non ho mai scaricato qualcuno così bene. Non appena arrivo al bar, sento delle persone che si avvicinano. “Carlo?” mi chiama Alessandro.

“Ciao, da quanto tempo. Vediamo, non ci vediamo da quando sono uscito dalla classe?”.

“Non sei di buon umore vero?” chiede Luca. “Ti abbiamo visto prima che giravi per la scuola con Dima”.

Ecco come si chiama, non lo ricorderò mai: “Non mi lascia mai da solo. Da quando facciamo recupero insieme si è montato la testa”.

“Povero te, ti avrà rimbambito per quello che è successo l'altra sera”.

“No, piuttosto parla di cose che non hanno senso. Mi racconta dei fratelli, che prepara cena..” sospiro, poi guardo Ale; ha una faccia strana.

“Non è che sta cercando di vendicarsi, insomma tu eri quello più vicino a Davide e non hai fatto nulla. Forse si fa vedere bravo e vuole sembrare tuo amico solo per quello” dice.

“Cosa gliene importerebbe a lui?”.

“Credo che fosse un suo parente quello che ha ricevuto la pallottola” sussurra Luca. “Stai attento Carlo, non vorrei che avesse ragione Ale”.

Io sorrido: “Non ne avrebbe ragione, mica ho sparato io” mi fermo e lo vedo. E' vicino a noi, avrà sentito.

“Pensavo che ti fossi svegliato dopo aver messo qualcosa sotto i denti, così avrei potuto parlare senza darti fastidio” mi sorride. “Ho sentito quello che avete detto. Era mio cugino che è stato ferito quella sera. Non preoccupatevi, ora sta bene”.

Parla con una tranquillità invidiabile, però si vede che vorrebbe levar le tende: “Sono venuto qui anche perché poco fa c'era una ragazza fuori dalla porta della classe. All'inizio era in silenzio, poi mi ha chiesto se conoscevo un ragazzo di nome Carlo. Ho detto di sì ed è andata via, non so cosa voleva” detto questo esce dal bar.

Sarà stata sicuramente quella che ho beccato a piangere, spero non mi parli di fronte agli altri.

A quanto pare, Duca non ha sentito i miei amici dubitare di lui, oppure ha finto di non farlo perché non voleva parlarne.

“Che tipo strano” dice Ale, “Ma chi è la ragazza?”.

“Lo sai che mi conoscono in troppe” rispondo senza ombra di dubbio sulla questione.

E' finita la pausa, rientro in classe. Giuro che speravo che Duca si fosse offeso almeno un po', ma lo vedo che mi saluta come si fa con un amicone che non incontri dall'estate prima. Certamente non ricambio, eppure non faccio a meno di notare il fatto che sia sempre allegro. Parla con altri ragazzi, anche quelli mai visti, della classe e di tanto in tanto mi butta un'occhiata. Mi sto preoccupando, non è che non c'entra nulla che si vuole vendicare, ma ci sta provando con me?

No, credo sia da escludere; è solo stupido, ecco perché fa così.

Inizia di nuovo ad inseguirmi nel corridoio all'uscita da scuola; cerco di non badarci e basta, ma, quando noto Daniele e alcuni degli altri miei amici avvicinarsi in corridoio, non sopporto più la sua presenza. Qualcuno mi appoggia la mano sulla spalla, qualcun altro è dietro a Duca e inizia a parlarmi.

“Carlo, ma chi si vede. Ti diverti a girare anche con questa gente adesso?”. dice Paolo. Non rispondo e vedo che lo fissa, mentre gli altri ridono. Mi infastidisce tutto questo; le risate, le occhiate di superiorità e lo straniero. “Che volete ragazzi?” proseguo a camminare, siamo usciti da scuola.

“Nulla, siamo venuti a congratularci con te per aver trovato un nuovo amico” sogghigna Simo; Dany si trattiene dal ridere. Duca è serio, è ancora appiccicato a me; ma io sono arrivato al limite. Non ho mai permesso a nessuno di prendermi per i fondelli e i miei amici non hanno mai avuto da ridire sulle mie azioni. E' tutta colpa di questo ragazzo, mi sta allontanando dalle mie abitudini. Stare con lui mi fa sembrare uno sfigato, uno che non si fa rispettare e non voglio sia così.

Le parole mi escono spontanee: “Siete tutti ciechi? Non me ne importa nulla di questo ragazzo! Gli stavo per dire di andarsene” mi sta guardando, non riesco a capire a cosa stia pensando, “Hai sentito? Non voglio più vederti, mi dai fastidio. Vai con i tuoi amici stranieri, quelli a cui forse importa qualcosa di te” continuo, voglio riconquistarmi il mio onore davanti ai miei amici. Non mi sono nemmeno accorto che siamo tutti fermi davanti alla scuola, c'è solo qualche passante.

“Sì, vattene straniero!” impone Paolo. Lui, però, non sta badando agli altri, non smette di guardarmi. Ora ho capito, mi sta mettendo alla prova. Crede che non faccia sul serio, che in fondo mi piaccia la sua compagnia; allora devo fargli capire che non sto recitando. Lo spingo non troppo forte dalla spalla: “Sei anche sordo oltre che stupido? Almeno capisci quando ti dico che perdi fiato a parlare con me?” lo spingo ancora; gli altri ridono. Le mie mani si muovono, comandate dal desiderio di farmi rispettare, di emergere. Mi sento bene, sono il più forte del gruppo e sto facendo vedere chi comanda. Gli prendo la maglia e metto più forza nello spingere. Cade a terra; non si scompone né dice nulla; poi, lentamente, infila la mano nella tasca. Tutti si zittiscono, sono immobili e hanno un comune pensiero: adesso tira fuori una pistola.

Come loro, anche io credo di essermi cacciato in una brutta situazione e mi ricordo di qualche sera fa. Ho sempre pensato a come dev'essere sentirsi minacciati a tal punto di pensare di morire. Ne ho avuta la sensazione adesso. Non sto pensando ad un qualcosa in preciso, solo al fatto che, non ne vale la pena, non voglio lasciarci le penne per una fatto ridicolo come questo. Cosa farà mia madre quando saprà cosa mi è successo? Sono ancora giovane, non mi basta quanto ho vissuto.

Duca tira fuori la mano, ma non ha nessun' arma, nessun oggetto, nemmeno il cellulare; è solo la sua mano. Tre dita chiuse, il pollice alzato e l'indice verso di me. Apre di poco la bocca dalla quale esce un improvviso “BANG”, che risuona nel silenzio della via. Restiamo tutti per poco scossi, poi si alza e se ne va come se nulla fosse.

Paolo mi si avvicina: “Lo sapevo, abbiamo fatto bene a salvarti da quello. Erano quelle le sue intenzioni” mi dice. “Avete ragione, grazie ragazzi” rispondo, con ancora in mente i pensieri che ho avuto in quel momento. “A cosa servono gli amici?” domanda Daniele, poi mi mette il braccio dietro al collo e ci incamminiamo verso casa. Insieme alle chiacchiere, sento anche le parole che mi aveva detto quella ragazza dai capelli rossi.

Una volta che finisci la giornata ti senti vuoto, sai perché?

Per lei mi manca qualcosa, ma non è così. Ho una famiglia, i miei amici, i soldi per andarmi a divertire e le ragazze. Non c'è nulla che mi manca, ma, se avesse ragione, forse quel qualcosa, se lo avessi avuto, non mi avrebbe fatto temere la morte poco fa.

Fragili come BOLLEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora