Un violino in una casa di riposo

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Erano passati mesi dall'ultima volta che ero andata a trovare mia nonna. Quando finalmente mi decisi e riuscii a trovare il tempo per andarla a trovare venni a sapere che l'avevano spostata di stanza. Dal primo piano, stanza 25, al quinto, stanza 140.

Volevo prendere l'ascensore, ma a quanto pare non sono abbastanza vecchia per poterlo usare. Siccome è riservato ai residenti della casa di riposo; mentre i poveri visitatori sono costretti a farsi dieci rampe di scale.

Non mi è mai piaciuto andare a trovare mia nonna.

Non perchè non le voglia bene; anzi, la maggior parte dei miei ricordi più belli d'infanzia vede proprio lei come protagonista.

Saranno le infermiere che mi fissano come se fossi un ladro in una cassaforte. Saranno gli anziani che, conoscendo mia nonna, mi riconoscono e cercano di intrappolarmi in un dedalo di chiacchiere che partono sempre da un saluto o da un commento sulla mia crescita dall'ultima volta che mi hanno visto, ma che finiscono, non si sa come, in un interrogatorio sulle mie aspettative di vita per il futuro.

Oppure sarà la struttura di questo edificio, che sembra avere così tanti anni da superare la cifra che raggiungeremmo se sommassimo tutte le età dei suoi residenti, con l'intonaco del soffitto che cade letteralmente ogni minuto e il colore delle pareti dei corridoi, ormai sbiadito quasi del tutto, pieno di segni lasciati dalle carrozzine.

Fatto sta che, in aggiunta alle scale, ho percorso la prima parte del corridoio a passo svelto; rallentando solo quando i numeri sulle porte hanno iniziato ad avere tre cifre.

124...128...132...136...140!

Busso alla porta, aspettando una risposta, ma non ne ricevo nessuna.

"Nonna, ci sei?" chiedo entrando nella stanza e chiudendomi la porta alle spalle.

Guardo nei due letti per vedere se per caso stia dormendo, ma sono entrambi vuoti.

Decido di aspettarla in camera. Non che abbia altre opzioni, la probabilità di trovarla per i corridoi o nelle sale mensa è minore di quella di trovare un ago in un pagliaio.

Mi siedo sulla prima sedia che trovo e, per far passare il tempo più velocemente, prendo il cellulare. Ben presto però mi ritrovo ad osservare la stanza in cui mi trovo, dato che il cellulare è al 10% di batteria e ne avrò ancora bisogno una volta uscita di qui.

Le pareti sono verdi, così come le tende che attutiscono l'entrata della luce del sole dalle due finestre.

I letti sono posizionati sui lati opposti della stanza con di fianco due armadi, ma a parte la posizione sono completamente uguali; l'unica cosa che li differenzia sono gli oggetti che hanno intorno a loro.

Riconosco facilmente il letto di mia nonna, la stanza sarà cambiata ma gli oggetti no di certo.

La foto del nostro ultimo viaggio tutti assieme a Londra, una cartella piena dei miei disegni di quando ero piccola, la foto in bianco e nero di mio nonno e mia nonna il giorno del loro matrimonio, il porta pillole che mia mamma le ha comprato, il suo porta occhiali e un portafiori vuoto.

Mia madre mi aveva proposto di portarle dei fiori, ma mi sono rifiutata, non sono mica in un cimitero.

A quanto pare anche i parenti della compagna di stanza di mia nonna la pensano come me, non c'è nemmeno un portafiori. Mi correggo, non c'è proprio nulla di nulla, tralasciando le scatole delle medicine.

Possibile che non abbiano ancora assegnato la stanza a qualcun altro?

Mi rendo subito conto dell'erroneità della mia ipotesi quando, aprendo l'altro armadio, vedo vari vestiti appesi.

I tre violiniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora