Don't pretend you care

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Dopo quella bella batosta ricevuta dal medico diventai particolarmente irritabile, ogni cosa mi dava fastidio e affondai ogni mio malessere, se così possiamo definirlo, in tazze da mezzo litro di tè verde. In quei momenti riuscii a capire le difficoltà incontrate da Brian nella lotta contro la dipendenza da eroina, fu anche l’unico dei miei nuovi amici a starmi davvero vicino.
Brian era davvero una bella persona: era così premuroso nei miei confronti che quasi la cosa mi commosse; nessuno aveva mai dimostrato così tanto interesse per me e quello che provai le settimane seguenti all’incidente furono sensazioni nuove, quasi quasi iniziavo a sentirmi a mio agio con i ragazzi e Fortune era davvero l’amica che avevo cercato per anni e anni e proprio quando avevo smesso di cercare ecco che era arrivata lei come un fulmine a ciel sereno; la mia vita aveva subito quella svolta che desideravo da quando ero arrivata a Bloodsquare.Ricapitolando, mi avevano dimesso quattro giorni dopo e per la prima settimana dovetti rimanere a letto perché qualsiasi movimento mi dava un dolore lancinante, i ragazzi si dimostrarono molto disponibili in quanto si diedero i turni per evitare che rimanessi da sola e soprattutto per controllare che non fumassi, e sì, quello fu davvero fastidioso.Una mattina mi trovavo sola nella mia camera da letto con Matt, cavolo ero troppo innamorata di quel ragazzo peccato che lui non mostrasse il minimo interesse per me e la cosa un po’ mi dispiaceva, ma del resto come potevo pretendere che uno come lui potesse solo minimamente pensare ad una come me?
«Ho voglia di un tè» azzardai, si era creato un silenzio imbarazzante da quando lui era entrato nella mia stanza mentre ancora dormivo, o meglio facevo finta di dormire, e si era chiuso la porta alle spalle
«Te lo preparo subito, aspettami qui»
Risi forte «Ho altra scelta?» domandai indicando il ventre fasciato
«Scusa, che idiota» rispose sfoderando uno di quei suoi sorrisi che mi mozzavano il fiato, poi si diresse silenziosamente nella stanza accanto lasciandomi sola coi miei pensieri che, a sua insaputa, riguardavano solo ed esclusivamente lui.
Mi sentivo troppo una quattordicenne in piena crisi ormonale; risi a quel pensiero.
Dopo pochi minuti tornò il bel ragazzo con la mia enorme tazza da tè
«Ci vuoi lo zucchero?»Feci una smorfia di disgusto all’idea dello zucchero nel tè
«No, ti ringrazio» gli risposi cercando di tirarmi su a sedere «Cazzo, che male»
«Aspetta, ti aiuto io!» si precipitò ad aiutarmi a sedermi su quel letto che ormai aveva preso la forma della mia sagoma, avevo una tremenda voglia di uscire da lì da non poterla nemmeno scrivere a parole.
«Grazie Matt, non ce la faccio più a starmene qui»
«Dai, vedrai che tra un po’ starai meglio»
«No seriamente, mi porti fuori?» mi uscì quella richiesta naturale come bere un bicchiere d’acqua
«Sei impazzita?» domandò sconvolto e io risi rumorosamente
«Dai ti prego Matt, non ce la faccio più, nell’armadio ci sono le stampelle, le prendi e usciamo a prendere qualcosa»
«Non se ne parla signorina, tu resti qui e non ti muovi» mi rispose e mi baciò sulla fronte, inutile dire che arrossii violentemente e lui se ne accorse
«Che c’è, diventi anche rossa se uno ti bacia sulla fronte?» rise lui
«Non sono rossa!» ribattei convinta e lui continuò a ridermi in faccia, che imbarazzo!
Passarono alcuni minuti dove parlammo del più e del meno, di quando mi seccasse lasciare Fortune nelle grinfie di Travor e di quanto gli fossi grata per avermi salvato la vita. Il tempo che trascorrevo con lui passava fin troppo velocemente.«Matt, ma te e i ragazzi che lavoro fate?» chiesi perché la mia curiosità era arrivata a tal punto di non poterla più trattene
«Veramente non potrei proprio parlarne» rispose volgendo lo sguardo altrove, iniziai a sentirmi particolarmente agitata per quella risposta, cos’erano? Mafiosi, spacciatori, delinquenti ricercati ovunque dalla polizia americana?
Fatto sta che lui intese il mio sgomento e si affrettò a darmi una spiegazione che però non mi lasciò particolarmente entusiasta
«Tranquilla, non è niente di pericoloso o fuorilegge, ma è meglio che me lo tenga per me a meno che non decida di dirtelo per un qualsiasi motivo x»
Annuii e tornai sull’argomento precedente, ma lui non cambiò posizione
«Ti ho detto che non ti porto fuori, questo posto fa schifo e tu sei troppo malata»
«Non fingere che ti importi della mia salute, diciamo piuttosto che ti vergogni di uscire con una che lavora un uno strip club»
«Ma non dire cazzate, ci tengo a te e non mi importa dove lavori, Fortune lavora con te eppure per me è come una sorella»
«E allora perché non vuoi portarmi fuori da questa gabbia?»
«Te l’ho già spiegato, non mi va che tu esca con tutta questa criminalità»
«Allora resta qui con me anche questa sera» azzardai una richiesta davvero insolita e entrambi ci stupimmo di queste parole
«Questo posso farlo, cosa si mangia?»
Alzai gli occhi al cielo in segno di vittoria e risi
«Perché ridi? Mi hai chiesto di rimanere e io rimango solo se c’è del cibo»
«Non credo ci sia qualcosa in frigo, prova a dare un’ occhiata» gli dissi e lui si diresse nuovamente alla ricerca di cibo, così colsi l’occasione per trovare il modo di alzarmi, prendere le stampelle e raggiungerlo così avremmo potuto mangiare insieme in cucina, ma i miei sforzi furono vani e mi procurarono ancora più di dolore di quanto non ne avessi già.
«D’accordo dolcezza, qui non c’è nulla. Ma di cosa vivi? Di aria?» disse squadrandomi «Che domanda, mi pare ovvio che non mangi… esco a comprare due pizze. Non muoverti, ti prego»
Rimasi di stucco mentre lo guardai uscire dalla mia stanza.
A tutto quello a cui avrei potuto pensare in quelle condizioni sorprendentemente i miei pensieri si posarono sulla mia famiglia, o meglio, quello che sarebbe dovuta essere; pensai a mia madre e a quanto mi mancasse, pensai a tutti i bei momenti trascorsi insieme fino alla fine, fino a quando la malattia se la portò via; poi pensai a mio fratello, a quanto lo amassi malgrado tutto il dolore che mi aveva causato in tutti gli anni successivi alla morte di mamma, ma come potevo biasimarlo, ognuno affronta il dolore come meglio crede, lui soffriva e si drogava; io soffrivo e fumavo; non eravamo poi tanto diversi. Infine pensai a mio padre e a quanto mi mancasse sentire la sua voce, a quanto mi mancasse lui in generale; non è mai stato un padre molto presente, ma è sempre stato la persona più altruista del mondo finché mamma non ci ha lasciato questo vuoto nell’animo e lui ha iniziato a chiudersi in sé stesso.
Mi venne una tremenda voglia di prendere il cellulare e fare il numero di casa almeno per sentire la voce di Andy o di mio padre, ma mi avrebbe causato solo altro dolore quindi cercai di ripremere i mei sentimenti come ero solita fare e mi concentrai sul programma che davano in televisione, non tanto perché fosse particolarmente interessante, più che altro per evitare di pensare. Inutile.
Non riuscivo a non pensare a loro fu così che dalla posizione in cui mi trovavo riuscii appena ad alzarmi e presi lo specchietto che prontamente Fortune mi aveva appoggiato al comodino dopo averle confidato la mia “simpatia” per Matthew.
Feci quasi un salto sul posto dallo spavento, quella riflessa nello specchio non potevo essere io, assolutamente: ero struccata, non avevo nemmeno un filo di matita nera che mi coprisse gli occhi e mi sentii completamente nuda.
Grazie al cielo Fortune aveva anche pensato di mettermi a portata di mano il mascara, così da essere un po’ più presentabile. Passai i minuti seguenti a guardarmi nello specchietto e alla fine giunsi alla conclusione di non essere poi tanto male senza trucco, avrei potuto abituarmici.

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