Capitolo 3 parte 2

490 16 3
                                    

Dovevo trovare il modo di non bagnarmi completamente ogni volta che uscivo per prendere una boccata d’aria. Anche oggi, stessa storia. Prima cosa: fare a meno dell’ombrello, ne avevo già rotti quattro in quattro giorni. Seconda: non fidarsi dei raggi del sole, che sparivano veloci come spuntavano. Terza e ultima: prepararsi per uscire mentre ancora pioveva perché, dopo aver infilato gli stivali, tre maglioni, il cappotto e la sciarpa, la bufera forse sarebbe passata, e il rischio di infradiciarmi diminuito. Una tecnica da sperimentare al momento opportuno. Funziona. Ecco cosa mi dissi sedendomi sulla sabbia a contemplare il mare per la prima volta. Il caso mi aveva portato nel posto giusto, era come se fossi solo al mondo. Chiusi gli occhi, cullato dallo sciabordare delle onde che si infrangevano a qualche metro da me. Il vento mi sferzava la pelle e mi faceva lacrimare. I miei polmoni si riempivano di ossigeno e di iodio.

Di colpo, fui scaraventata all’indietro. Riaprii gli occhi e mi ritrovai a tu per tu con Postman Pat che mi leccava la faccia. Faticai a rialzarmi. Stavo tentando senza successo di spazzar via la sabbia che mi copriva gli abiti, quando il cane, a un fischio, scappò via. Sollevai lo sguardo. Liam stava camminando non lontano. Era sicuramente passato a pochi centimetri da me, ma non mi aveva neppure salutato. Impossibile che non mi avesse riconosciuto. E tra l’altro, quando il tuo cane salta addosso a qualcuno, il minimo dell’educazione prevede che tu vada a scusarti. Mi avviai verso casa, pronto allo scontro ma, in fondo al sentiero che portava ai cottage, vidi la sua 4x4 che filava verso il paese. Non se la sarebbe cavata così facilmente. Salii in macchina. Dovevo rintracciare quel cafone e fargli capire con chi aveva a che fare. Nel giro di poco ritrovai il suo ammasso di fango parcheggiato davanti al pub. Frenai con decisione, saltai giù dall’auto ed entrai nel bar come una furia. Tutti gli sguardi si posarono su di me. Tutti, tranne uno.

Liam sedeva da solo al balcone, curvo su un giornale, con una pinta di Guinness in mano. Puntai dritto su di lui.

“Chi ti credi di essere?”

Nessuna reazione.

“Guardami quando ti parlo.”

Girò la pagina del quotidiano.

“I tuoi genitori non ti hanno insegnato l’educazione? Nessuno mi ha mai trattato così, è meglio se ti scusi subito.”

La rabbia mi stava montando dentro, e lui ancora non si degnava di alzare il naso dal suo miserabile giornale.

“Comincio a perdere la pazienza!” urlai, strappandoglielo dalle mani.

Lui bevve un sorso, appoggiò il boccale e fece un profondo sospiro. Serrò il pugno con forza, tanto che una vena prese a pulsare. Si alzò, guardandomi negli occhi. Mi dissi che forse avevo esagerato. Lui afferrò il pacchetto di sigarette e si diresse verso la zona fumatori. Mentre attraversava la sala, strinse qualche mano, senza mai scambiare una parola, né un sorriso con nessuno. La porta sbatté. Avevo trattenuto il fiato fin dal momento in cui si era alzato. Nel pub era calato il silenzio, tutta la popolazione del paese e lì dentro e aveva assistito alla scena. Mi accasciai sullo sgabello più vicino. Qualcuno avrebbe dovuto dargli una bella lezione, un giorno o l’altro. Il barista fece spallucce e mi lanciò un occhiata.

“Un espresso, per favore”, ordinai.

“Non ne abbiamo qui.”

“Non avete il caffè?”

“Altroché.”

Dovevo lavorare sul mio accento.

“Allora ne vorrei uno, per favore.”

Sorrise e si diresse dietro al balcone. Poi mi mise davanti una tazza piena fino all’orlo di caffè lungo e… annacquato. Tutto il contrario del ristretto che prendevo di solito. Non capivo perché quel tizio restasse impalato davanti a me.

La gente felice legge e beve caffè||Ziall/Ziam/Larry||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora