Scesi le scale della mia complessa villa cercando di non inciampare nei miei passi ancora assonnata, sentii dei rumori provenienti dalla cucina allora mi avviai trovando mia madre e mio padre intenti a preparare la colazione
"Buongiorno" bisbigliai sbadigliando
"Buongiorno!" Si esaltarono i miei genitori venendomi ad abbracciare, erano saliti in Francia nel giorno del mio diploma ma sono sempre stati troppo presi dal loro lavoro per pensare a me "scusaci per ieri, ma a quanto pare trovare Giulio non ti ha dispiaciuta" scherzò mia madre afferrando una busta da una delle sedie dell'ampia cucina
"Questo è un regalino di bentornato" continuò poi porgendomelo, io sorrisi di cuore afferrando il sacco "ma non dovevate"
"È il minimo per ieri" disse mio padre lasciandomi un bacio sulla testa, aprii il sacco ben spillato trovandoci dentro uno zaino di pelle meraviglioso "grazie, è stupendo" dissi stringendoli nuovamente a me, di una cosa non potevo mai lamentarmi, sapevano fare dei bei regali.
"Noi dobbiamo andare a lavoro, ma ci vediamo più tardi". Nel frattempo il citofono interruppe la conversazione facendomi correre verso di esso "chi è?"
"Scommetto che in questi cinque anni il tuo spocchioso fidanzato non ti ha fatto toccare una tavola"
Risi sentendo la voce del mio migliore amico, non risposi, semplicemente aprii il cancello e la porta, lo guardai avvicinarsi, col suo beani della obey e lo skate sotto al braccio, mi sorrise mentre percorreva il vialetto di casa mia
"Non è presto?" Domandai facendolo accomodare
"Non è mai troppo presto per lo skate"
Mi aveva insegnato ad andarci qualche anno prima che partissi, ci divertivamo un mondo a girare per il quartiere sulla tavola fingendoci più grandi e ammisi a me stessa che mi mancava molto fare skateboarding
"Oh Giulio!" Esclamò mia madre vedendolo sulla soglia dell'ingresso
"Era tanto che le lezioni di vita non riempiono queste case" lui sorrise semplicemente affiancandomi
"Wow! Non so se la Francia ha fatto accorciare Eleonora o sei tu che sei cresciuto tanto" fece mio padre non rendendosi conto che adesso Giulio aveva ventun'anni, lui in tutta risposta finse un sorriso. Non aveva mai avuto un padre e il comportamento menefreghista del mio lo faceva innervosire sempre.
"Salgo a cambiarmi" dissi guardando la mia tenuta da notte.
Jeans neri, Vans nere e una canottiera della obey. Un filo di trucco per non apparire un cadavere e scesi le scale in tutta tranquillità
"Sono andati via?"
"Già" fece lui mentre io riempivo il mio nuovo zaino per uscire "dov'è la tua tavola?" Mi chiese ancora mentre si guardava intorno, anche casa mia era cambiata, i muri bianchi pieni di libri adesso erano rossi e tappezzati di quadri e il divano da sei posti adesso era diventato una penisola da quattro di pelle nera, il televisore era più grande e tutto mi sembrava più spoglio e poco vissuto
"È in camera mia" dissi tornando su per le scale in ciliegio. Aprii il mio armadio spostando la catasta di vestiti lanciati alla rinfusa e lo trovai, intanto e perfetto come lo avevo lasciato, le ruote fucsia e la tavola piena di adesivi, lo presi tra le mani risvegliando tantissimi bei ricordi
"È ancora perfetto" disse Giulio alle mie spalle
"Stavo notando questo" dissi voltandomi verso di lui che mi fece cenno di scendere.
"Come va col tuo spocchioso ragazzo?" Mi domandò cominciando a dare slanci col piede, feci come lui "come si chiama? Lauren? Louis?" Risi al suo menefreghismo "Lucas"
Ma il cuore mi perse un battito "ci siamo lasciati" bisbigliai notando quanto facesse male dirlo ad alta voce
"Era un idiota" disse lui girando a sinistra, l'aria mi sfiorava il viso e mi sentivo bene
"Dove andiamo?"
"Adesso vedi" mi liquidò semplicemente."Mi scusi!" Urlai ad una signora che non mi aveva vista arrivare, le mie guance si tinsero di rosso mentre Giulio rideva davanti a me.
Quando arrivammo tutto mi apparve meraviglioso, la pista era leggermente malandata ma tutto l'ambiente decorato dai graffiti non era per niente male. Guardai bene vedendo una figura familiare, si muoveva con la sua tavola con tanta maestria quanto quella che aveva dimostrato sul palco la sera precedente
"ehi pezzo di merda!" Urlò Giulio facendo scendere con un colpo secco Giorgio dalla tavola. Rimasi impalata guardandolo lontanamente in viso, era tranquillo e sorrideva, mi costrinsi a chiedere perché il suo alias era proprio Mostro, ma mi costrinsi a risvegliarmi dai miei pensieri data la scortesia nei miei confronti della sera precedente. Poi i suoi occhi si bloccarono su di me
"Non sapevo che le principessine andassero sullo skate"
Finsi di non sentire e scesi tranquillamente per la rampa arrivando dove si trovavano i due ragazzi, ma non mi fermai, continuai impassibile il mio giro sotto lo sguardo curioso di Giorgio, finsi indifferenza le mie ruote solcavano il cemento.
La mia attenzione venne richiamata da una ragazza che salutò il mio migliore amico che finse di non vederla
"Giulio, ti prego, ho seriamente bisogno di parlarti" si lamentò la ragazza dai capelli corvini, lui scese svogliatamente dallo skateboard seguendola subito dopo. L'impressione che mi fece fu quella di un bambino che fa i capricci alle giostre.
Si girò verso di noi e si voltò nuovamente.
Fui costretta ad avvicinarmi a Giorgio che guardava un punto preciso con sguardo vuoto
"chi era?"
"La sua ex, hanno chiuso qualche settimana fa perché a lei non andava giù la vita di Giulio" disse senza prestarmi troppo attenzione "che presuntuosa" commentò in seguito. Mi bloccai quando qualcosa sul suo braccio catturò la mia attenzione, credo che lo notò perché si mosse rapidamente tornando a sé, mi allontanai immaginando di essere indesiderata.
"E quindi hai studiato in Francia?" Mi fermai rischiando di cadere per poi voltarmi verso la voce me mi fece fremere
"Si" risposi non sapendo cos'altro dire, le sue gambe slanciate coperte da un paio di jeans neri diedero una spinta per terra arrivando difronte a me "sei una figlia di papà?" Domandò puntando le sue iridi marroni nelle mie col suo permanente ghigno, mi sentii improvvisamente in imbarazzo
"no, sono una raccomandata" perché era vero, odiavo esserlo, ma i miei genitori pur di far vedere che avevano potere facevano di tutto, soprattutto farmi marchiare a vita da quel nominativo, perché sin da piccola io ero 'La Raccomandata'
"E ne vai fiera?"
"Lo odio, ma ai miei non importa"
mi sedetti per terra sempre sotto al suo sguardo indagatore, presi una sigaretta dal mio zaino e l'accesi facendo il primo tiro, alzai lo sguardo vedendo i movimenti di Giorgio, fermò la sua tavola e vi ci sedette sopra prendendo quello che all'apparenza poteva sembrare un banale drummino, ma dall'odore mi fu chiaro che era ben altro, l'accese con tranquillità
"Quindi, Eleonora" mi guardò un secondo cercando qualche forma di assenso per il mio nome, io feci un cenno e lui continuò "che ci fa una come te con uno come Giulio?"
Mi corrucciai "noi non stiamo assieme" feci un altro tiro e lui fece lo stesso
"Beh è lo stesso" disse alzando le spalle
"Andavamo nella stessa scuola alle medie, io ero un'asociale perché la gente mi aveva catalogata come la raccomandata" feci le virgolette con le dita "e lui fu l'unico ad avvicinarsi non curante del mio titolo, allora siamo diventati inseparabili"
Fece un impercettibile sorriso che a me fece venire un vuoto allo stomaco.Passammo un altro po' di tempo a chiacchierare, era una persona profonda, l'avevo capito dal suo modo di parlare e dai suoi occhi.
Soprattutto dai suoi occhi.Finalmente Giulio fece ritorno affiancato dalla tipa dai capelli neri
"El lei è Adele, Adele lei è Eleonora" ci presentò lui, mi alzai dal mio comodo posto e le strinsi la mano mentre lei ricambiava sorridendo
"Adele" fece Giorgio senza alzarsi
"Mostro! Sei ancora vivo" lo scherzò lei mentre lui, impassibile, si alzava ricominciando a girare per la pista, non mi ci volle molto a capire che tra i due non correva buon sangue
"El io devo andare" disse facendo un cenno con la testa alla ragazza al suo fianco "tu che fai?"
"Fra un po' vado anch'io, ci vediamo dopo" lui mi abbracciò velocemente e poi andarono via
"E quindi sei rimasta qui" disse Giorgio frenando al mio fianco
"Oh, quello sfigato del tuo migliore amico mi deve dieci euro" continuò con una Marlboro tra le labbra carnose e screpolate, mi accigliai confusa "perché?"
"Io gliel'avevo detto che sarebbero tornati assieme"
Lo guardai persa nel vuoto, sul suo skate, con la sigaretta tra le dita, la corporatura perfetta e la maglietta che cadeva perfettamente sulle sue spalle.
Improvvisamente mi chiesi come mi sarebbe stata una delle sue magliette addosso.
Mi risvegliai dai miei banali pensieri da adolescente quando il cellulare mi prese a squillare, lo uscii dallo zaino leggendo il nome sul display, mi venne una fitta allo stomaco ma mi costrinsi a rispondere
"Pronto?"
"Volevo sapere come stai" Una lacrima mi scese giù per le guance rendendomi conto che per lui non era cambiato niente
"Sto come sta una ragazza che è stata tradita e poi maltrattata dal suo ragazzo, come se mi a avessero lanciato un secchio d'acqua gelata addosso. Ecco come sto" ormai le lacrime le trattenevo a stento, forse per lo stress o la delusione o il fatto che lo amavo ancora
"Tornerai mai?" Fu tutto ciò che mi rispose
"Non da te"
Fu così che terminai la telefonata mentre sentii i miei occhi inumidirsi del tutto. Penso che Giorgio se ne accorse perché corse rapidamente verso di me "che succede?" Mi chiese poggiando due dita sotto il mio mento, quel contatto mi creò una scarica di brividi ma non ci feci poi tanto caso dopo che i suoi occhi, ora comprensivi, mi scrutavano in cerca di risposte.
"Niente, voi maschi e la vostra stupidaggine" risposi asciugandomi le guance con i palmi delle mani
"V-vuoi tornare a casa?" Rimasi quasi sconcertata dalla sua disponibilità nei miei confronti
"Non c'è bisogno, posso tornare da sola"Giulio non si fece sentire tutto il giorno al contrario di Giorgio che mi accompagnò a casa per assicurarsi che andasse tutto bene, ma non andava bene proprio niente, il ragazzo che amavo mi aveva contorto la mente per la confusione e la frustrazione e adesso si presentava questo ragazzo che sembrava un lunatico tossico del cavolo che però per quel poco di tempo che avevo passato con lui era riuscito a farmi aprire gli occhi.
Capii soprattutto che era una persona che aveva sofferto e che soffriva ancora tanto e avevo capito anche che non è per un idiota qualunque che bisogna piangere, la profondità delle parole che utilizzava, quando non sparava insulti o cavolate, era qualcosa che anche il più grande intellettuale avrebbe invidiato, perché, come mi aveva detto poco prima di arrivare a casa mia, 'è dalla sofferenza che nasce la forza.' Ciò mi fece riflettere sul fatto che forse quella da duro era una facciata che aveva costruito per non soffrire.
Quella notte dormii proprio poco perché passai le mie ore a riflettere su cose in cui non mi ero mai soffermata.Il mattino seguente mi svegliai alla buonora, mi guardai intorno. La mia camera era ancora tappezzata di poster di personaggi che non seguivo più da una vita e una delle pareti era ancora pitturata di rosa, non era proprio il mio genere.
Mi alzai dirigendomi verso il bagno, e mi infilai sotto la doccia lasciando che la saponata mi scivolasse via per il corpo, mi insaponai i capelli mentre la saponata sulla mia frangetta mi cadeva sul viso.
Entrai nella mia stanza mentre mi scuotevo i capelli umidi con un'asciugamano. Mi infilai un pantaloncino e una canottiera maschile nera, indossai un paio di Doctor Martens, scesi velocemente uscendo dalla porta finestra sedendomi sul fresco prato del mio giardino uscendo una delle mie sigarette.
Guardavo un punto impreciso quando il mio cellulare prese a squillare, il numero non era registrato.
"Pronto?"
"Sono Giorgio" sentii un tuffo al cuore
"Oh, ehi dimmi" rimasi un attimo confusa
"Volevo sapere come stai"
"Adesso bene" risposi alludendo alla sua telefonata
"Hai sentito Giulio?" Chiese ancora
"Io ... In realtà no, tu?"
"No, so solo che lo uccido a quell'idiota" mi corrucciai
"Che ha fatto questa volta?" Risi
"Doveva venire con me in un posto" rispose vago
"Capisco" risposi pronta a chiudere la telefonata
"A meno che tu non voglia prendere il suo posto" il suo tono era letteralmente vivacizzato
"Ti faccio sapere" risposi mentre la voglia di accettare mi corrodeva dentro
"Alle dieci sono davanti casa tua"
Non mi diede il tempo di rispondere chiudendo per primo la telefonata.
Sorrisi guardando come una stupida il display del cellulare.
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Rose nere
FanfictionÈ incredibile a pensarci, ci vuole una vita per essere felici ma una notte per tornare alle origini della tristezza. Ci vuole un secondo per stravolgere la tua vita, per innamorarti, per provare odio e per essere viva, ma soprattuto per andarsene. ...