SAFE

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4| S A F E

La pioggia mi aveva inzuppato i capelli e i vestiti, mi pesavano addosso come una seconda pelle

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La pioggia mi aveva inzuppato i capelli e i vestiti, mi pesavano addosso come una seconda pelle.

Quando aprii la porta di legno scricchiolante di quel bar abbandonato un lampo illuminò il cielo alle mie spalle e un tuono squarciò il silenzio.

Entrando un calore soffocante mi schiaffeggiò violentemente dandomi l'impressione che non avrei più riempito i miei polmoni d'aria decente. Una cappa di fumo aleggiava creando una nebbiolina fastidiosa che mi fece strizzare gli occhi.

I miei piedi presero a camminare sulle travi di legno ricoperte da bottiglie vuote e mozziconi di sigarette. Non mi permisi neppure di guardarmi intorno, tirai dritta verso il bancone, la mia lingua pesava dentro la bocca asciutta e reclamava qualsiasi fonte abbastanza dissetante fossi capace di trovare.

Mi trascinai stancamente fino al primo sgabello vuoto, era così consunto che ne fuoriusciva la gommapiuma.

Mi sedetti e poggiando i gomiti sul bancone seppellì il viso tra le mani concedendomi di chiudere gli occhi per un istante, bruciavano dalla stanchezza, le gambe erano esauste e il mio cervello sembrava supplicarmi di riposare. Una musica proveniente da un vintage jouboxe riempiva la stanza e cullò le mie orecchie convincendomi a lasciarmi andare, a permettermi di dormire.

<Cosa ci fai qui?>

Sussultai violentemente quando sentì quella voce parlarmi direttamente nell'orecchio. Mi raddrizzai subito ritrovandomi un paio si occhi verdi fissarmi a pochi centimetri di distanza dal mio viso.

Si voltò per guardarsi intorno e poi riprese a fissarmi con urgenza <Sei sorda?> Il suo tono esigente mi diede l'impressione che avesse bisogno della mia attenzione immediata, sembrava quasi avesse necessità che lo ascoltassi.

Confusa scossi la testa per risvegliarmi schizzando goccioline d'acqua in giro, strizzai con forza le palpebre pesanti per poi riaprirle convinta che così sarebbe scomparso perché doveva essere solo una visione dettata dalla mia stanchezza. Ma non lo fece, era ancora lì <Come?> La mia voce era troppo debole e roca, ero disidratata e stremata.

Restò immobile un'istante quasi volesse studiarmi con più precisione <Ti ho chiesto cosa ci fai qui> Ripeté.

Quella domanda mi parve totalmente fuori luogo, non avevo idea di chi fosse ed era impossibile che mi conoscesse o che potesse interessargli il motivo della mia presenza in quel bar fatiscente.

Era alto, oltre il bancone riuscivo a vedergli la vita, doveva avere pochi anni in più di me e sembrava proprio non essere abituato a servire una ragazza educatamente.

Mi schiarì la voce e mi parve di ingoiare saliva su della carta vetrata <Ci conosciamo?>

Scosse la testa lasciando andare il bicchiere di vetro che aveva preso a strofinare con uno straccio <Devi andartene> Mi ordinò duro distogliendo lo sguardo da me per lasciarlo passare dietro alle mie spalle.

DANGEROUSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora