Capitolo 15 - La decisione più stupida della sua carriera

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Dopo essersi separato da Darren e dai ragazzi, Jacob si diresse senza indugio verso il centro della cittadina.

Camminare apertamente, seppur circondato dal buio della notte, era quasi un sollievo: non dover percorrere strade secondarie nascondendosi dietro gli angoli come un ladro lo fece subito sentire meglio. Era giusto così, non il contrario. Non era lui quello che doveva aver paura della polizia e del FBI. Lui non aveva fatto nulla e si sarebbe scagionato da ogni accusa entro la fine della giornata.

Magari era un proposito un po' troppo ambizioso e ottimista, visto lo spiegamento di forze che era stato messo in pista soltanto per catturarlo, ma non riusciva a togliersi dalla mente l'idea che tutta quella faccenda fosse solo frutto di un gigantesco malinteso. Sarebbe bastato spiegare come stavano le cose per davvero; avrebbe dovuto farlo fin da subito invece di rintanarsi in quella merdosa stanza del motel ad aspettare. Sarebbe andato tutto in modo diverso se fosse andato a fare rapporto al capo della polizia la mattina stessa del loro ritorno dall'ospedale; avrebbe addirittura dovuto consegnare la presidentessa, o chiunque quella donna fosse.

Già, facendo così avrebbe potuto schivare un gran numero di problemi e, magari, anche quello che era successo all'ospedale il giorno successivo sarebbe stato evitato. Continuava a non credere del tutto neanche a quello che la donna in rosso aveva raccontato, ma era innegabile che fosse accaduto qualcosa ai pazienti e ai medici dopo la loro fuga con la presidentessa. Cazzo, se soltanto fossero andati subito dalla polizia...

Beh, avrebbe posto rimedio il prima possibile.

Prima avrebbe raccontato tutto a Evelyn Rayne, poi avrebbe fatto rapporto al responsabile degli agenti federali presenti in città. Avrebbe fatto valere la sua mansione, si sarebbe ripreso il suo lavoro, il suo posto e il rispetto dei colleghi.

Lui era un agente del FBI, non un assassino, e l'avrebbe dimostrato a tutti.

Arrivato nella zona centrale di Elizabeth City, Jacob iniziò a incontrare qualche lampione acceso lungo la strada e si lasciò andare a un sorriso di sollievo mentre percorreva l'asfalto in piena luce, senza curarsi di essere visto da qualcuno. Sì, era proprio così che doveva essere.

Non passò molto tempo prima che incappasse in una pattuglia del corpo di polizia locale. Erano due uomini e una donna in divisa che stavano camminando verso di lui dal lato opposto della strada deserta; lo notarono già da qualche metro di distanza e Jacob ebbe appena il tempo di alzare le braccia in segno di resa prima che tutti e tre imbracciassero le loro balestre e gliele puntassero addosso, urlandogli di rimanere immobile.

«Vorrei vedere Evelyn Rayne,» annunciò Jacob, con le mani ben aperte sopra la testa.

«Chiudi la bocca, assassino del cazzo!» urlò uno dei due uomini, dall'alto del suo metro e novanta di statura.

Tutti e tre lo fissavano con la mascella serrata e i lineamenti del viso contratti in quel sentimento che era facilmente riconoscibile come puro odio.

«Vorrei parlare con il vostro capo, la conosco,» ripeté Jacob, mentre i due uomini lo afferravano per le spalle e la donna lo ammanettava senza tante cerimonie.

«E pretende anche,» sibilò la donna, incredula.

«Sei fortunato che non ti ammazziamo adesso, testa di cazzo,» abbaiò l'ultimo, tirandogli uno scappellotto sul retro della nuca.

Le orecchie di Jacob iniziarono a ronzare e la vista gli si offuscò per un istante. Se non avesse avuto le mani bloccate, avrebbe già estratto la pistola e avrebbe fatto fuoco su quello stronzo che aveva osato colpirlo.

Alternandosi in un carosello di insulti, i tre poliziotti condussero il loro prigioniero attraverso le vie immobili della città. Jacob si era sforzato di spegnere il cervello e si era chiuso in una quiete forzata, costringendosi a ignorare le parole con cui i tre agenti lo stavano flagellando.

Il Divoramondi - L'altra GemellaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora