Capitolo 27 - La bugiarda e Amanda

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I maghi li condussero attraverso le strade della città, scortandoli come se fossero un corteo d'onore di dignitari esteri.

Amanda teneva il mantello di Darren addosso e il cacciatore di taglie le stava accanto, vigile come un suricato intento a fare la guardia alla sua tana.

In condizioni normali, Jacob non avrebbe accettato quel trattamento: avrebbe estratto la sua pistola nell'istante in cui quei quattro elfi dal muso lungo avessero fatto irruzione nella loro stanza e avrebbe mostrato loro che cosa si ottiene a minacciare velatamente un agente federale.

Ma lui non era più un agente federale. Non aveva più distintivo né pistola.

Non aveva potuto fare niente se non seguire il resto dei suoi compagni fuori dall'albergo e procedere lungo la strada che i quattro maghi stavano indicando. Quel giorno davanti alla Direttrice Kennedy non aveva perso soltanto il suo lavoro e la sua pistola, ma anche la sua dignità.

Li condussero in un edificio in cemento non troppo distante dal parco del Campidoglio.

La facciata grigia trasmetteva una sensazione di monotonia, decisamente fuori luogo in quella città dove tutti si sorridevano e si salutavano felici. Era come una piccola chiazza di muffa su una bellissima pesca lasciata troppo tempo al caldo.

Era un palazzo residenziale di una decina di piani che doveva ospitare diversi appartamenti per gente facoltosa, a giudicare dallo sfarzo sfoggiato fin dall'ingresso, dove una larga portineria occupava gran parte di una parete ricoperta da pannelli di legno scuro lucido.

La donna in tailleur elegante salutò i quattro maghi con un silenzioso cenno del capo e non rivolse neanche un'occhiata al resto degli ospiti, si limitò ad abbassare la testa per tornare a leggere il libro che aveva appoggiato sulla superficie del bancone.

L'elfo più basso dei quattro si accostò a una nicchia che si apriva nella parete in fondo e alzò le mani in un plateale gesto: con un sibilo una porzione della parete slittò di lato, scomparendo di lato e rivelando uno stanzino rettangolare dalle pareti color ocra, illuminato da una semplice torcia appesa al soffitto.

«Funziona ancora?» chiese Amanda, nervosa, rivolta a uno dei maghi.

L'elfo scosse il capo.

«No, signora; ci pensiamo noi a farlo muovere.»

Jacob si mordicchiò l'interno della guancia ed esitò un istante prima di entrare nell'angusto spazio. A Washington gli era capitato solo un paio di volte di usare un vecchio ascensore mosso da un mago e non gli era piaciuto proprio per nulla: gli sembrava che quell'antico trabiccolo potesse sfuggire dalle mani del suo controllore da un momento all'altro e sfracellarsi al suolo insieme a tutti i poveri stronzi al suo interno. L'idea di mettere la sua vita in mano a quelle facce a punta degli elfi gli faceva rivoltare lo stomaco.

Tutti e quattro i maghi salirono con loro e, con gesto delle loro dita lunghe e sottili, la cabina iniziò a muoversi verso l'alto, traballando appena.

Theresa squittì e si fece più vicina a Michael, impassibile in un angolo.

L'ascesa durò una manciata di secondi e gli elfi fecero allineare la porta del vecchio ascensore con un'apertura in un corridoio decoramento in modo ricco con moquette scura sul pavimento e lampade di vetro lavorato alle pareti.

Condussero Jacob e gli altri attraverso il passaggio silenzioso, oltrepassando una manciata di porte chiuse e fermandosi alla fine davanti un ingresso a doppio battente proprio in fondo al lungo corridoio.

Uno di loro bussò due volte e una voce femminile all'interno intimò di entrare.

Le porte spalancate li introdussero in un largo salotto illuminato da ampie vetrate sul lato opposto dell'ambiente; al centro dei divani angolari creavano una piccola area relax e una donna sulla cinquantina stava accomodata a gambe incrociate al centro di uno di essi, osservando con un velato sorriso i nuovi arrivati.

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