"Caffè?"
"Cosa?" accenni a mezza bocca, massaggiandoti le tempie. La luce del sole filtra dalla finestra, raggi chiarissimi, un bagliore accecante che rende quasi impossibile alzare completamente le palpebre. Non hai bisogno di uno specchio per sentire quanto rossi siano i tuoi occhi sotto quelle pesanti cortine di pelle.
Con non poca fatica ti trascini a sedere sul letto. Il fruscio delle coperte disfatte intorno a te ti segue ad ogni movimento. La pelle nuda della tua schiena trasale al contatto con la fredda testiera. Subito, getti gli occhi verso il basso: non hai nulla addosso.
Sulla porta intanto una figura ti osserva ricomporre i tasselli della tua memoria, immagini confuse e interrotte come schegge di vetro. L'hangover intanto che continua ad attapparti le orecchie e confondere i sensi.
Senti le gambe e le braccia pesanti, le guance pizzicarti, l'aria nella stanza densa di un odore caldo e avvolgente come il sole alto che fa capolino dalle tapparelle.
Il ricordo in bocca di un sapore amaro ti fa tossire, forse della vodka, di uno, due drink bevuti troppo in fretta alla festa dell'ufficio la sera precedente.
La festa dell'ufficio. Ecco dov'eri stata.
Il primo giorno di lavoro, il party improvvisato per accogliere calorosamente i novellini della banca, poi un volto familiare tra i corridoi della compagnia. Un altro timido saluto qualche ora dopo, solo un cenno del capo mentre entravate entrambi nel bar sotto l'ala protettiva dei vostri rispettivi mentori. Quanti anni erano passati dall'ultima volta che lo avevi visto?
Gli avambracci appoggiati sul bancone appiccicoso, ne ricordi anche l'odore pungente e stantio che ti saliva su per le narici. "E' una vita che non ci si vede..." avevi richiamato la sua attenzione mentre lui se ne stava lì, in silenzio, a sorseggiare uno scuro liquore.
Aveva risposto qualcosa di breve e sarcastico, come suo solito. Tu avevi riso sommessamente, non volevi dare a vedere quanto alticcia già fossi. Ubriaca, ti correggesti da sola nella mente. Ubriaca fradicia, altrimenti non avresti mai avuto il coraggio di andare a parlargli.
Il primo ragazzo che avesse mai catturato la tua attenzione, l'unico che non riuscivi a toglierti dalla testa da quando eri troppo piccola per ricordare. L'amore della tua vita come lo avevi chiamato in una pagina del tuo diario segreto alla tenera età di otto anni, tra mille cuoricini e sticker rubati a tua sorella Nanami.
Nessuno doveva sapere: la sera tornavi a casa, appuntavi religiosamente quante volte per sbaglio lui aveva posato gli occhi su di te durante la giornata, ne traevi le conclusioni più disparate, e ovviamente sbagliate, poi stringevi forte al petto il quadernino. Nessuno doveva sapere, ti ripetevi, nessuno. Nemmeno Nanami. Nessuno.
Al solo ricordo, la vergogna ti aveva fatto avvampare le guance, così avevi deciso di offrire il giro successivo. Lui offrì quello dopo. E quello dopo ancora.
Quell'ultima canzone che avevate cantato a squarciagola fino a qualche minuto prima sfumò, il bar chiuse, fuori intanto pioveva a dirotto ma decideste di uscire lo stesso. Il taxi non sarebbe arrivato prima di un altro quarto d'ora, per fortuna l'ombrello era grande abbastanza per tutti e due. Lui si curvò un po' per starci sotto e si frugò in tasca.
Con una sigaretta in bocca farfugliò "Hai da accendere?", facesti no con la testa, così lui chiese ad un passante, poi tornò verso di te inalando. "Non sapevo fumassi" gli dicesti, "Solo quando bevo" confessò lui. In quel momento ti chiedesti se ti avrebbe baciata e se lo avrebbe fatto solo perchè aveva bevuto.
Pur di non pensare a quella eventualità gliene chiedesti una, lui te la posò in bocca, poi si avvicinò per accenderla con la sua. Vi stavate guardando da troppo tempo mentre le punte delle due sigarette intanto bruciavano quasi fino a fondersi, la sua mano intorno al tuo mento ti teneva ferma di fronte a lui. Vi scostaste entrambi per prendere fiato, un secondo dopo le tue labbra erano sulle sue.
Non hai mai fumato quella sigaretta, si è consumata al vento.
Il taxi era arrivato, eravate entrati l'uno incollato all'altro. Non riuscivate a togliervi le mani di dosso. Lui aveva sbrigativamente dato il proprio indirizzo all'autista, tu lo avevi lasciato fare. Ti sembrò un secondo e un infinità dopo quando ti ritrovasti nel suo ascensore.
Non avevi idea di dove stessi camminando, continuasti a procedere all'indietro sulle punte, alla cieca, lasciandoti condurre da lui verso il suo appartamento. L'ultima cosa che ricordi sono tre lettere soffocate contro il cuscino mentre cercavi di non gemere troppo forte il suo nome mentre lui ti prendeva da dietro.
Poi la realizzazione.
Così, tornata in te, ora nella sua stanza, urli quelle stesse tre lettere con quel poco di voce che ti è rimasta.
"Kei. Tsu-tsukishima. Kei Tsukishima!" Le mani ti si arricciano tra le lenzuola mentre cerchi di coprire quanto più puoi di te stessa - come se potesse cambiare qualcosa.
"E T/n T/c. Bene, ora che abbiamo ribadito l'ovvio, ripeto. Vuoi del caffè?" Tsukishima Kei non è cambiato di una virgola. Venticinque anni o sette, undici o tre, è sempre il solito.
Sbatti le palpebre un paio di volte per metterlo meglio a fuoco. Appoggiato allo stipite della porta, con i capelli scompigliati che quasi ne sfiorano l'apice, Kei in tutti i suoi centonovanta centimetri di altezza se ne sta lì a fissarti a braccia conserte. Un palmo stretto attorno al bicipite sinistro, l'altro che impugna una tazza dell'Università. Aspetta una tua risposta.
Poi sbuffa e si avvicina lentamente a letto con aria annoiata. Tu istintivamente ti ritrai, nonostante non ci sia più molto spazio dove fuggire. "Tieni, vado a farmene un altro", ti dice lasciandoti tra le mani il suo caffè. I tuoi occhi increduli lo seguono mentre si avvia verso la cucina.
Quando è di nuovo all'altezza della porta di camera sua, trovi il coraggio di formulare altre parole confuse.
"Aspetta! Kei. Cosa... Cosa è successo? Perché... Perché sono qui? Dove sono i miei vestiti?"
Tsukishima si arresta sul posto e temporeggia prima di voltarsi. Dandoti un'occhiata sommaria e sospirando, si sistema con una mano gli occhiali sopra il naso.
"Secondo te?"
E' ancora troppo presto per aver a che fare con i suoi modi. Ti limiti a guardarlo torvo mentre ti porti la tazza alla bocca per un primo sorso.
"I tuoi vestiti sono un po' davanti alla porta... un po' in cucina e un po' lì..." fa Kei indicando un reggiseno ai piedi del letto. "Alle altre due domande, risponditi da sola... Sai fare due più due, vero?"
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𝐌𝐀𝐈 𝐓𝐑𝐎𝐏𝐏𝐎 𝐓𝐀𝐑𝐃𝐈 | 𝐓𝐬𝐮𝐤𝐢𝐬𝐡𝐢𝐦𝐚 𝐱 𝐑𝐞𝐚𝐝𝐞𝐫
FanficTrama: Tu e Tsukishima Kei siete amici d'infanzia che, dopo essersi persi di vista per alcuni anni, si ritrovano a lavorare per la stessa azienda e dopo non molto a diventare amici con benefici. Il vostro rapporto non è mai stato dei più rosei, dato...