Capitolo 4

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Alla fine non sono riuscita a parlare con Abbie fino all'ora di pranzo.

"Allora?" le chiedo cogliendola alle spalle, mentre infila qualcosa dentro il suo armadietto molto più pieno del mio. "Allora cosa?" mi risponde. "Riguardo alla domanda che ti ho fatto prima che entrasse il professor Jackson. Perché ci sono ragazzi? Capisco gli insegnanti, ma gli studenti...". Mi risponde dopo aver chiuso l'armadietto e iniziato a dirigersi verso la mensa: "Questa era inizialmente una scuola solo femminile, ma poi non tutti i ragazzi che entravano in quella militare andavano bene. Molti infatti se ne andarono e quindi i presidi, che sono marito e moglie, se non lo sapessi, hanno deciso di ammettere al collegio anche ragazzi, ovviamente in numero ridotto, però ci sono".

"Certo, capisco. Non tutti sono tagliati per diventare soldati", commentai.

"Ma guarda che non è una vera accademia per militari. Si certo, ci assomiglia molto, e da qui il nome: lì ci sono solo ragazzi, sicuro. Ci sono le camerate come nei film di guerra, ma le lezioni sono simili alle nostre, oltre all'attività fisica. Quella, secondo me è decisamente troppa". Dice questa frase mentre afferra un vassoio di plastica blu e si mette in fila. Io la imito, non sapendo cosa fare.

Raggiunsi la cassa senza molta roba sopra. Non ho molta fame in questo momento. "3 euro e 80... signorina vuole pagare o no?", mi chiese la cassiera così le diedi 5 euro riprendendomi il resto. A quella scena ha assistito divertita Abbie che mi prese sotto braccio portandomi attraverso la stanza.

La mensa: l'incubo di ogni scuola che ce l'ha. Ci sono tutti. E tutti sono pronti a prenderti in giro appena fai un passo falso. Mi appicciai ancor di più ad Abbie che però mi lasciò per andare a sedersi ad un tavolo con altri tre ragazzi.

"Dai, siediti Em. Loro sono Kathrine, Mark e Lucas. Ragazzi lei è Emma.

Quel quartetto è davvero strano. La ragazza Kathrine ha capelli corti color pece e occhiali da vista rotondi con la montatura fine in oro; sembra di bassa statura vestita con jeans neri e camicetta bianca. Mark, seduto di fianco alla ragazza ha una maglietta nera attillata che fa intravedere le forme del corpo, dalla quale spicca la moltitudine di catenelle che porta al collo; saranno sei o sette. Gli occhi azzurri sono marcati con della matita nera, poca, quasi invisibile ma che fa differenza.

Lucas invece sembra uno di quei nerd con i capelli portati in dietro con il gel e camicia a quadri.

"Ciao, piacere di conoscervi".

Il cibo non è terribile come credevo e in un attimo l'ho finito.

"Allora, trasferita e costretta a venire qui così che i tuoi possano stare da soli?", mi chiede Kathrine.

"Kat, guarda che non sono tutti come te, eh...", si intromette Abbie.

"Non del tutto vero", rispondo io: "non trasferita, ma costretta a frequentare questa scuola".

"Prima dove andavi a scuola, allora?", mi chiede Lucas. "A circa quattro ore di macchina da qui", rispondo io.

"Ma allora dove vivi adesso?" domandò Abbie.

"Dai miei zii, anche se non li ho mai visti. La prima volta è stato l'altro ieri".

"E come ti trovi qui?", mi chiedono. "In realtà non ho visto molto a parte il tragitto da casa a scuola. Però dovrei andare a fare shopping prima o poi, non mi sono portata molti vestiti dietro".

"Allora se vuoi ti accompagniamo noi. Anche io devo fare spese". A parlare è stato Mark. Cosa? Ad un ragazzo che piace andare a comprare vestiti?

"Sì, sono gay". Ha detto quelle tre parole così facilmente, come se fosse la cosa più naturale del mondo. La mia espressione mi ha tradito ovviamente.

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