Capitolo 11

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La mattinata passa in fretta e dopo il test di fisica e l'interrogazione a sorpresa da parte del professor Jackson, suona la campanella che annuncia la fine dell'ultima ora.

"Non vieni con noi?", mi chiede Mark vedendo che mi sono fermata. "No, oggi no. Mi vengono a prendere" e neanche un minuto dopo l'auto grigia di Jake si ferma sul ciglio della strada.

"Ehi, pronta ad andare?", mi chiede con il suo sorriso che mi toglie il fiato, una volta abbassato il finestrino. Io allora saluto con un cenno i miei amici e salgo in auto. La macchina parte con una sgommata. "Allora, com'è andata la giornata?", mi chiede guardandomi prima di tornare con lo sguardo sulla strada.

"Bene, la tua??". "Niente di che", mi risponde.

Parcheggia la macchina all'inizio della via, dalla parte opposta.

"Grazie per il passaggio", dico a Jake girando la testa per guardarlo. "Figurati", mi risponde spegnendo la macchina per poi girarsi per guardarmi. Rimaniamo così per qualche minuto, poi Jake allunga una mano verso di me: "Hai qualcosa tra i capelli – dice prendendo una foglia e buttandola sul sedile – ti si sarà impigliata quando c'era il finestrino aperto", sussurra.

Si sporge vero di me e mi dà un bacio incerto e gentile. Io affondo la mano nei capelli di Jake spronandolo ad andare avanti, mentre lui mette una mano sulla mia nuca.

Quando ci stacchiamo l'uno dall'altro stiamo respirando affannosamente entrambi. Mi accorgo di essere arrossita perché ho la faccia in fiamme, così mi siedo dritta sul sedile abbassando lo sguardo e mettendo una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

"Beh, adesso è il caso che tu vada", dice ad un tratto. "Sì. È il caso che io vada", ripeto io ancora disorientata. Riesco ad uscire dal veicolo e dirigermi verso casa senza far cedere le mie ginocchia.

In casa non c'è nessuno, così sprofondo nel divano, con ancora le scarpe addosso.

Oggi sono in anticipo rispetto al solito.

Ieri non sono riuscita a chiamare Ashlie, quindi non sono riuscita da dirle cosa è successo: lo devo fare il prima possibile.

"Ehi, ciao!". Saluto Mark, Abbie, Kat e Lucas raggiungendoli.

"Ciao – mi saluta Abbie – Hai fatto tutti i compiti di spagnolo?" mi chiede.

"Oh no. Mi sono dimenticata. Dico con faccia ironica.

"Oggi ci sei agli allenamenti?" mi domanda Kat e io annuisco.

"A quanto pare dall'altra parte hanno allungato la pausa" dice Lucas dal nulla.

Io guardo dietro le mie spalle, l'entrata della scuola militare. Ci sono alcuni ragazzi seduti per terra, altri appoggiati a un muretto. Tutti vestiti uguali. Maglia e pantaloni, grigi o marroni. La mia attenzione cade sull'unico colore vivace, un puntino da qui, quasi invisibile: un rosso intenso. Rosso di una mela tenuta in mano da qualcuno seduto sul muretto. Un ragazzo. Capelli scuri e mossi, troppo lunghi per un militare, fisico robusto.

I nostri sguardi si incontrarono per un attimo. Poi lui distolse lo sguardo iniziando a parlare con un altro ragazzo vicino a lui. L'ho già visto da qualche parte, ma dove? Oh no. È Jake. Emma! Perché sei così stupida. Stupida, stupida.

"Peccato che non ci si può parlare. Sono davvero dei fregni" dice Mark risvegliandomi da quel momento.

"Dai, entriamo o facciamo tardi" ci dice Kat. "Si, certo", le rispondo ancora frastornata dalla notizia. Speriamo che nessun altro se ne sia accorto.

Sono seduta sulle tribune a disegnare ferocemente per scaricare la rabbia della scoperta di questa mattina, quando un colpo alla mia destra mi fa sobbalzare e alzo la testa dal foglio per vedere cosa è successo. Il campo ora è pieno di attrezzi e una ventina di ragazzi, dei quali un gruppetto messo in cerchio che è girato verso di me. Guardo alla mia destra e vedo una cosa ovale: una palla da rugby. Mi alzo, l'afferro e poi la rilancio verso il campo. Un ragazzo la afferra al volo e lo riconosco: è l'amico di Jake. Mi risiedo subito e abbasso lo sguardo. Se c'è lui ci sarà anche Jake, no? Rialzo lo sguardo e osservo i ragazzi. Trovato. In uniforme della squadra, con il numero 17 sulla schiena. È nel gruppetto che mi guardava prima e che ora si stanno lanciando la palla che gli ho ridato.

Ma come ho fatto a essere così stupida??

"Em! L'allenamento è finito. Ti muovi o no?", mi urla Kat da bordocampo. Mi alzo in fretta prendendo la borsa e raggiungendo le altre ragazze.

"Sicura di non volerlo perdonare?", domanda Abbie allacciandosi uno stivale. "Sì" – rispondo io dando una testata alla fila di armadietti giallo senape – e ora che faccio?"

A Kat e Abbie ho detto solo che Jake mi ha mentito, una bugia troppo grande per poterlo perdonare. Non ho menzionato che è un allievo dell'Accademia militare.

"Ignoralo, tanto ti ha dato solo un paio di passaggi, no?".

Oh No! Ieri...

"Sentite, voi iniziate ad andare, io ho dimenticato una cosa".

Quando escono dallo spogliatoio con i borsoni, io le imito dirigendomi, però, verso gli spogliatoi maschili, fermandomi dietro l'angolo dopo che ho sentito delle voci maschili.

Jake è sulla porta dello spogliatoio con un borsone, nel quale ci potrei entrare anche io, a tracolla e sta parlando con altri due ragazzi. Quando se ne vanno lui si gira verso di me e mi viene incontro, allora io facendo la finta tonta svolto l'angolo guardando per terra e per poco non ci scontriamo.

"Ehi! Cosa ci fai qui? – mi chiede sottovoce – lo sai che se ci vedono insieme siamo nei guai?".

"Negli ultimi giorni non ti è importato molto. Sono qui solo per dirti addio", cerco di essere il più fredda possibile e così giro i tacchi per andarmene. "Aspetta – dice Jake prendendomi un braccio – cosa significa scusa??". "Lasciami – mi dimeno – noi ragazzi delle due scuole non dobbiamo avere contatti. Ora vado ciao". "Em, cosa c'è che non va?", mi chiede ancora.

"Cosa c'è che non va?! Stai scherzando vero? – gli grido sottovoce guardandolo in faccia – non ti ricordi cosa è successo negli ultimi giorni? Perché io si." Mi fermo cercando di ricacciare indietro le lacrime fallendo. "E in tutto questo tempo non hai menzionato, neanche per sfuggita, la cosa più importante". Gli volto di spalle.

"Scusa, avrei dovuto dirtelo", sussurra ad un tratto. "Si, avresti dovuto – gli rispondo un po' troppo acida – ma quel che è fatto è fatto".

Non riesco più a parlare. Devo andare via. Mi giro e lo guardo: sembra un cucciolo smarrito. Mi alzo in punta di piedi e gli do un bacio sulla guancia: "Addio Jake". Lui non si muove e non dice niente, così mi giro e mi incammino verso l'entrata della mia scuola. "Emma". No, perché ha parlato. "Emma, ti prego. Emma!"

Smettila! Devo continuare a camminare, se no non me ne andò più via.

Velocizzo il passo, quasi corro e la sua voce si fa sempre più debole.

Arrivata all'entrata non si sente più, ma nella miatesta riecheggia la voce di Jake che grida il mio nome.

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Nota autrice:

ciao a tutti, vi starete chiedendo perché sto ripubblicando i capitoli. Principalmente perché erano un po' lunghi, quindi se guardate il sommario vedrete molti più capitoli. Non preoccupatevi. Rimetterò tutto fino allo stesso punto della storia che ho pubblicato.

Buona lettura.

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