Capitolo 12

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"Domani partiamo per le Hawaii".

"E quando tornate?"

"Nel weekend, perché?"

"Oh, solo curiosità", mi risponde Ashlie. "Tu come stai?"

"Bene, come dovrei stare scusa?", chiedo smettendo per un secondo di disegnare.

"Secondo me male, con quello che è successo meno di una settimana fa".

"Non ne voglio parlare, okay", rispondo un po' a disagio. Quattro giorni fa ho detto addio a Jake e per quattro giorni ho evitato le zone comuni per non rischiare di vederlo.

E domani partiamo per la gita di lusso: ho proprio bisogno di una pausa dalla realtà.

"Mi chiamerai tutti i giorni, vero?" La voce di Ashlie mi riporta alla realtà. "Si certo, ci sentiamo. Ciao".

Alzo lo sguardo e vedo Antony appoggiato su un fianco sulla porta.

"Ciao", dice con un sorriso sotto i suoi baffi marroni. "Ti ho portato una cosa da parte mia e di Rose", e detto questo tira fuori da dietro la schiena un pacchetto rettangolare con carta da regalo nuova.

Io prendo il pacco e iniziò a scartarlo. È una Kanon. "Cos... Non dovevate". Ho sempre voluto una macchina fotografica, ma i miei non me l'hanno mai presa. "Invece sì. E poi ti serve per il compito di arte, no?". Guardo mio zio con un sorriso stampato sulla faccia e lui sorride a sua volta.

"Ora però vai a dormire; domani dobbiamo prendere un aereo".

Scendo le scale ancora in pigiama ed entro in cucina stropicciandomi gli occhi.

"Buongiorno, cara. Oh, cos'è quella faccia? Oggi si parte. Non sei contenta?", mi chiede zia Rosalie appoggiata al bancone della cucina mentre sorseggia la sua tazza di tè.

"Si, certo. È che non ho dormito molto stanotte – rispondo sedendomi – mi potresti passare il caffè, per favore?".

Il mio corpo ha urgente bisogno di una bella scarica di caffeina per risvegliarsi, anche se non si è mai addormentato, a dir la verità. Non riuscendo a dormire ho disegnato quasi tutta la notte, riempiendo il cestino di pagine scarabocchiate del mio album.

"La tua valigia è già pronta, vero? Perché se no siamo in ritardo", dice Antony, da dietro il giornale, mettendo in allerta i miei sensi. Non l'ho ancora chiusa e tra meno di due ore dobbiamo andare in aeroporto.

"Oh, eccola", grida qualcuno dalla folla di ragazzi e genitori: "Credevamo che non arrivassi più". "Si, già – rispondo ai miei amici unendomi a loro – ho perso il bus, scusate".

Ma non ti hanno portato i tuoi zii?", chiede Abbie. In realtà sì, ma non essendo insieme a me mento: "No, sono andati al lavoro". "Oh, mi spiace", io rispondo a Kat con una timida alzata di spalle.

La voce maschile dall'autoparlante dell'aeroporto, molto simile a quella del navigatore, annuncia l'imbarco del nostro volo.

Prima di entrare nel manicotto d'imbarco la preside, ovviamente arrivata poco dopo di me, ci fa fermare per elencarci le regole della gita. "Ti rendi conto, abbiamo un aereo tutto per noi. Chissà quanto ha da parte la scuola", mi sussurra Abbie all'orecchio e io di risposta gli faccio un sorriso tornando con la mia attenzione sulla preside. Però la domanda della mia vicina di armadietto stuzzica anche me. Sicuramente deve essere una somma con almeno quattro zeri. È una domanda che potrei fare ai miei zii, sicuramente loro lo sanno.

Salendo in aereo mi assicuro che la mia borsa contenga il necessario per il viaggio: cuffie, telefono con cavo e carica batterie, matite e album per disegnare.

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