4. Non mi fa paura

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"Pensi di cambiarti o preferisci rimanere lì a fissarmi?"

April afferra la solita maglietta nera, e si volta a guardare Niccolò.
È ora di prepararsi ma lui, fermo immobile da cinque minuti buoni, non sembra avere alcuna intenzione di farlo.

La osserva attentamente mentre si sveste ed indossa una serie di indumenti scuri, identici a quelli che lui dovrebbe già avere addosso, ancora confuso e frastornato.

"Sì, sì..scusa" sobbalza, distogliendo immediatamente lo sguardo da lei.

Senza aggiungere altro si sfila la maglietta e la cambia con l'altra, mentre April gli sorride divertita: è davvero strano condividere questi momenti con qualcuno.

Prima era sempre e solo lei, lei contro qualsiasi difficoltà le si presentasse davanti, mentre adesso sono in due.
Anche se, dopo averci rimuginato su per un pomeriggio intero, non è sicura che questa sia una buona notizia.

Negli anni è riuscita a trovare un modo per infrangere le regole senza farsi scoprire, un modo per conciliare quell'April che conoscono tutti con l'altra versione di sé, quella fin troppo carica di bugie e segreti.

Adesso, però, sarà sempre più difficile nascondere quella parte della sua vita, soprattutto a Niccolò.
La seguirà ovunque, e dovrà trovare una soluzione a questa sua eccessiva compagnia, il prima possibile.

Con un sospiro si lega i capelli in una coda alta, prima di riportare gli occhi sul moro: lui, finalmente vestito, sta guardando distrattamente fuori dalla finestra, in sua attesa.

"Vieni, andiamo a piedi. Il negozio è a due isolati da qua." gli dice all'improvviso, facendolo trasalire.

"Sì, arrivo subito."

Niccolò aspetta che April esca dalla stanza, prima di dare sfogo alla sua enorme agitazione.
Si passa una mano tra i capelli ed inspira profondamente un paio di volte: deve calmarsi.

Se non può nascondere a se stesso di essere completamente terrorizzato, deve almeno cercare di mascherarlo ad April.
Forse l'idea di essere il maschio della coppia lo spinge ad apparire sicuro di sé, anche quando, in realtà, dentro è tutto il contrario.
Non può permettersi di risultare inferiore a lei, non stasera che deve farle una buona impressione.

Eppure, mentre segue la sua figura magra e atletica per le strade gelide della periferia di New York, non può far altro che pensare a come la stima nei suoi confronti sia destinata soltanto che ad aumentare.

Si muove esperta e tranquilla in zone che, a lui, mettono addosso una paura strana, indecifrabile.
E poi, da quel poco che la conosce, non si lamenta mai.

Non che questo sia un bene: sembra quasi che si sia rassegnata a subire ogni tipo di decisione, senza mai opporsi agli ordini.

"Andiamo subito?" domanda Niccolò, una volta che si appostano di fronte al negozio, inginocchiati dietro ad una macchina scura.

April, però, scuote la testa, e gli indica l'edificio di fronte a loro.

"Dobbiamo aspettare che vada a dormire. La vedi quella finestra lì? Finché la TV è accesa non possiamo fare nulla."

Niccolò segue il suo sguardo, e annuisce.
Con un lamento si siede a terra e si sfrega le mani, già congelate.

"Qualcuno è mai stato beccato?" chiede poco dopo, spezzando il silenzio tombale della strada.

"Certo. Più di uno. Ma ti fanno fuori prima che tu possa parlare con la polizia." gli spiega distrattamente April, stringendosi nelle spalle e facendosi spazio accanto a lui.

Il vecchio non sembra avere alcuna intenzione di spegnere la televisione, e lei sa che sarà una nottata infinita.

È preoccupata, ma non tanto per la rapina in sé.
Il suo problema più grande, stavolta, è la totale inesperienza di Niccolò.
Non riesce a spiegarsi per quale motivo James e i suoi lo abbiano scelto, ma non importa.
Ora che è lì con lei, la responsabilità di entrambi è soltanto sua.

Con un sospiro porta le mani in tasca, mentre pensa che, forse, questo è il momento più adatto per approfondire la loro conoscenza.

"Senti...il tuo non è un nome americano." incomincia a dire all'improvviso, attirando subito l'attenzione del moro.

"No. Sono per metà italiano. Da parte di...di mamma." risponde lui a bassa voce, ignorando la solita stretta allo stomaco.

"E tu?"

"Io non lo so. Non ho mai conosciuto i miei genitori." ammette April con un sospiro, fissando il loro riflesso nella portiera scura della macchina.

"Mi hanno abbandonata quando avevo quattro, cinque mesi. O almeno, mi hanno sempre detto così."

Niccolò la guarda stupito, e aggrotta le sopracciglia.

"E come hai fatto a..?"

"Sono stata adottata da un'associazione criminale, un po' come questa. Ho sempre vissuto in una realtà del genere. Forse è per questo che...che non mi fa paura." per April non è semplice rivangare il passato, ma ha bisogno di aprirsi un po' con qualcuno.

Queste sono cose che può permettersi di raccontare, a differenza di altre, che devono restare per sempre chiuse dentro lei.

"Eravamo io e Ryan. Mio fratello." continua a dire poco dopo, svelando un altro piccolo particolare a Niccolò, che la ascolta attento.

Solo il parlare di Ryan le fa salire le lacrime agli occhi, ma cerca di non farci caso.
È la prima volta che lo nomina di fronte a qualcuno.

"Poi lui è..è morto. È stato ucciso da un figlio di puttana che voleva soldi e informazioni sulla nostra banda. Sono rimasta completamente da sola."

Il moro, dopo aver ascoltato quest'ultima confessione, non riesce a trovare le parole giuste per consolarla.
Sa meglio di chiunque altro cosa si provi a perdere qualcuno di importante, e conosce alla perfezione quella solitudine che ti penetra fin dentro le ossa, ma non sa come esprimere tutto questo.

"Mi dispiace." si limita a dire, sperando che il suo tono di voce basti a farla sentire meno sola, colpevole, sbagliata, o qualunque altra cosa si senta in questo momento.
Perché si, è questo quello che succede quando si perde tutto.

"Per un po' sono rimasta lì, ma...ero l'unica donna in un gruppo di disperati. Sono scappata, non ce la facevo più. Nel giro di un mese sono finita qui." April termina di raccontare tutto di un fiato, mentre alza gli occhi verso il cielo nero sopra di loro.

Sa di averli lucidi, e non li vuole mostrare a Niccolò.
Non si è mai aperta così tanto con qualcuno, e non sa perché lo stia facendo con un mezzo sconosciuto.
Proprio lei, che fatica anche solo a salutare la gente.

"Tu, invece? Che mi racconti di te?" aggiunge subito dopo, voltandosi verso di lui e cercando di scacciare le immagini che le sono tornate in mente, fin troppo nitide.

"Non mi va di parlarne."

"Dai...vediamo se mi batti in quanto a storia complicata alle spalle" insiste però April, abbozzando un sorriso.

"No, io...mi sa che è ora." Niccolò non sapeva più come sviare il discorso, ma ad aiutarlo ci ha pensato il proprietario del negozio.

In casa sua non si vede più alcuna luce e la castana, dopo essersi alzata ed aver osservato per un po' l'edificio immobile, gli dà il via libera.

"Sì. Prendi questa." dice, passandogli la pistola tra le mani e guardandolo mentre la soppesa, illuminato dalla luce dei lampioni.

"È carica?" chiede Niccolò, fissandola incerto.

"Sì. Se premi il grilletto spara. Non fare cazzate e tienila sempre bassa." April gli porta le mani nella posizione giusta, e lo aiuta a puntarla a terra.
Da come trema, sarebbe troppo rischioso fargliela tenere in alto.

Senza aggiungere altro si guarda attorno circospetta, e si tira il cappuccio in testa.
Niccolò osserva i suoi gesti quasi ipnotizzato, cercando di memorizzare ogni singolo passo.
In futuro, nonostante adesso si senta come un pesce fuori d'acqua, dovrà essere preparato al peggio.

"Sto davanti io. Tu seguimi."

𝐀𝐠𝐚𝐢𝐧𝐬𝐭 𝐭𝐡𝐞 𝐰𝐨𝐫𝐥𝐝Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora