“Locatelli, riprendi a leggere dal punto dove si è interrotto il tuo compagno.” Lorenzo alzò gli occhi sulla professoressa, guardandola stralunato. Impiegò qualche secondo a capire quello che gli chiedeva e già le risate cominciavano a sentirsi, soffocate. “Pagina 212, forza.”
Enea, mosso a pietà, inclinò il proprio libro e con l’indice segnò il punto dove erano arrivati a leggere, e l’amico annuì, ritrovandolo sul suo testo.
“Domenica saremo insieme, cinque, sei ore, troppo poco per parlare, abbastanza per tacere, per tenerci per mano, per guardarci negli occhi” Iniziò svogliatamente a leggere ad alta voce, in tono piatto. La professoressa lo fissò, ma prima che potesse dire qualunque cosa la campanella suonò e Lorenzo chiuse il libro. Odiava Kafka ogni minuto di più.
“Ricordate che la verifica è spostata a giovedì.” Disse la donna, liberando la cattedra e uscendo. Lorenzo appoggiò la fronte sul banco, sentendo il cappuccio della felpa degli ACDC scivolargli sul collo. Era stanco, stravolto. Sentiva la testa piena di ovatta.
Enea, accanto a lui, appoggiato con la schiena al calorifero ovviamente spento, sia mai che li tenessero accesi, lo guardava.
“Che hai?”
“Sonno.” Uno sbuffo che esprimeva incredulità provenne dal moro.
“Non è normale. È una settimana che dormi praticamente sempre, a scuola.” La mano dell’amico gli posò un pugno, abbastanza delicato per i suoi standard, sul braccio. “Che succede?”
Lorenzo voltò la testa, incontrando le iridi scure dell’altro.
Cosa poteva dirgli, che sognava?
Da quando era sceso in quella zona sotto la chiesa, in quella parte così antica e piena dell’odore umido del passato, da quando era certo di aver sentito quel nome, Valentino, le sue notti erano una tortura.
Non voleva passare per matto o altro, temeva quel genere di reazione, ma il desiderio di parlarne con qualcuno gli premeva nel petto con violenza e, alla fine, cedette a esso.
“Dopo. Ora c’è l’ultima ora, poi andiamo al Mac a mangiare, ok?” Enea annuì, mentre il professore entrava in classe, mettendo la valigetta di cuoio vecchio e segnato sul piano della cattedra.
L’ora si trascinò, per Lorenzo, più pesante di un masso. Restare sveglio, stare attento, ascoltare o prendere appunti, era impensabile: tenere gli occhi aperti era tutto quello che riusciva a fare. Quando la campanella suonò infilò i libri nello zaino malandato, un nodo gelido alla bocca dello stomaco. Conosceva da anni Enea, erano amici, ma dirgli di quei… sogni… lo spaventava.
E se dopo lo raccontava a qualcuno? O se lo prendeva per matto?
Il bisogno di aprirsi, però, era troppo forte. Doveva parlarne, anche sentirsi dare del visionario, in caso. Doveva sapere che erano solo sogni.
Scesero in strada, dirigendosi al Mc Donald's in silenzio, almeno Lorenzo. Enea parlava, raccontandogli della ragazza svedese che continuava a mandargli messaggi su whatsapp e di come stesse iniziando a stancarsi della cosa. Lo ascoltava distrattamente, grato a quel fiume di parole che non gli dava spazio. Ordinò, prese il vassoio e salì al piano superiore, abbastanza vuoto ancora, sistemandosi in un tavolo all’angolo. Dopo qualche minuto Enea lo raggiunse, sedendosi davanti a lui e mettendosi in bocca delle patatine.
“Allora?” Lorenzo lo fissò, poco convinto. Poi sospirò appena.
“Tu però a dire che sono pazzo aspetta…”
“Non sei pazzo, sei un coglione.”
“A gratis, così?”
“Sì, ora dimmi che cazzo hai.” Enea addentò il panino, fissando la faccia pallida e gli occhi cerchiati di scuro dell’amico, che dopo un attimo iniziò a parlare. Era davvero preoccupato per lui, non poteva negarlo. A modo suo gli voleva più che bene: lo aveva un po’ adottato quando circa cinque anni prima lo aveva visto in classe, trasferito da Brescia con la madre. Il padre di Lore era morto e la madre era tornata con lui alla sua città natia, dove aveva ancora dei parenti. Lui era stato bocciato in prima media e non conosceva nessuno di quella classe, trovandosi entrambi soli avevano legato subito, ancora prima di scoprire di abitare a poca distanza l’uno dall’altro. Interminabili pomeriggi alla X-Box, o in giro per la città, nelle fumetterie o rintanati in qualche bar.
Guardò l’altro giocare con il cibo, le dita lunghe e snelle che lui adorava, muoversi delicate nel fare coriandoli con il tovagliolo. Gli diceva che aveva mani da donna, lo prendeva in giro spesso a quel modo, nascondendo con lo scherzo l’ammirazione.
“Faccio sogni strani. Io… da quando sono andato là sotto, dove c’era la tomba.” Lorenzo deglutì, guardando Enea. “Io ho sentito qualcuno, lì, e poi anche fuori dalla chiesa, dire un nome: Valentino. Da allora faccio sogni strani, io… lo sai che in storia faccio schifo, ma continuo a sognarmi questo tizio, Valentino. È un monaco che è scappato dall’invasione dei Longobardi, scendendo a Genova da Milano.”
“Te guardi troppi film.” Disse Enea, ma il tono non era molto convinto, perché in realtà gli credeva: era il modo in cui glielo diceva, il pallore del volto, il modo in cui si mangiava le parole e il movimento agitato delle mani... Lore era davvero spaventato.
“È troppo... realistico. Quando faccio quei sogni non mi sveglio, non fino a quando non è finito, è come se qualcuno mi costringesse a guardare quelle cose.” La voce gli tremò appena. “Vedo posti, scene, parlano una lingua che non conosco, ha suoni che non capisco… ma so cosa dicono. A volte sono in una specie di monastero, ci sono dei frati, poi so che arriva qualche pericolo e iniziano a raccogliere le cose e scappare. Parlano di barbari dal nord, ho anche sognato questa gente, sembrano quelli del libro di storia. A cavallo, con le lance e gli scudi rotondi. Urlano e uccidono e sento l’odore del sangue e… è brutto.” Troncò Lorenzo. Voleva dire che era spaventoso, talmente realistico da fargli perdere la fame e il sonno. Sentiva la paura, anzi il terrore di quelle persone diventare suo, le grida e il sangue. “Ma ci sono anche altri sogni. Sogno questo Valentino, e lui era… una specie di mostro, non so.” Sospirò. “Uccideva i bambini, le donne, ma sopratutto ragazzi.” Deglutì, non voleva dire cosa faceva nel sogno a quelle persone prima di ucciderle. Gli stupri, le violenze, i pestaggi. Li frustava, staccava loro la pelle, affondava nella carne e la strappava. Lorenzo si guardò le mani, tremanti.
“Sei davvero…” Terrorizzato a morte. Quelle le parole che Enea non pronunciò, il panino abbandonato sul vassoio, mangiato a metà. Non riusciva a togliere gli occhi dalla faccia dell’amico, era il volto di qualcuno tormentato, poco ma sicuro. Ed era anche certo che non gli stesse dicendo davvero tutto. “Tutto questo dopo che hai toccato la tomba del tizio senza faccia e senza nome?” Chiese con una certa gentilezza nella voce, e Lore annuì. “Se fosse uno dei miei libri direi che hai raccolto la memoria della pietra, ‘spe, com’è che si chiama… psico qualcosa… psicometria!” Disse, trionfante.
“Non è uno dei tuoi fantasy, ‘Nea.” Disse con voce stanca Lorenzo.
“Ma la psicometria non è roba impossibile, nella guerra fredda i russi usavano gente con i poteri psi per spiare gli USA!”
“Te e le tue cazzate da complottisti.” Enea guardò in cagnesco l’amico.
“Se vuoi ti dico che sei un pazzo che deve farsi curare.”
“Quasi lo preferirei.” Con aria abbattuta, lo sguardo di Lorenzo si posò sul panorama di tetti e muri fuori dalla finestra del fast food. “La cosa, lì, la psicometria, cosa sarebbe esattamente?”
“Una figata!” Nel suo elemento, entusiasta, Enea iniziò a spiegare. “In pratica è una forma di chiaroveggenza, che ti fa rivivere eventi che hanno lasciato impronte emotive o psichiche su oggetti o altro. Probabilmente il tizio, Valentino, è sepolto lì dentro e la sua traccia psichica si è impressa nella roccia e tu hai la capacità di coglierla! Magari è particolarmente forte o altro! O il posto, non lo so!”
“A te questa cosa piace.” Il tono di Lorenzo era d’accusa.
“Lore, sai che roba? Cioè, se fosse una tua capacità…”
“Perché non è mai successo prima, allora?” Scettico, il ragazzo inclinò il capo.
“E che ne so? Magari ci vuole qualcosa di particolare, o un’impronta psichica davvero forte.”
“Sarà…” Lorenzo sorrise con un angolo della bocca, almeno non gli aveva riso in faccia, ma del resto Enea era quello che chiamava babbani i compagni di classe. Quando non lo sentivano, però. Aveva passato ore ad ascoltarlo parlare delle cose più strane. A volte condivideva le sue passioni, come nel caso di Star Wars e Star Trek, ma cose come Il Signore degli anelli, o il fantasy in generale, l’ascoltava e basta. A volte l’amico ci provava e gli regalava un libro, l’ultimo era stato Lo Hobbit. Lo aveva anche letto, ma da lì a saperlo praticamente a memoria come Enea, c’era molta strada.
Ricordava di avergli detto, dopo aver visto il film, che Tauriel non era male. Aveva dovuto ascoltare quasi un’ora di monologo dell’altro in cui inveiva contro quell’elfa.
Enea riprese a mangiare, finendo quello che c’era sul suo vassoio, e guardando l’amico che aveva giusto dato un morso, lasciando tutto lì.
“Non mangi?”
“No, prendi.” Enea girò i vassoi e spazzolò anche quello dell’altro. Alto e decisamente di tipo mediterraneo, aveva una bellezza classica, che attirava un sacco di ragazze; cosa per cui Lorenzo, a volte, era un po’ invidioso.
Lui non era brutto, magari un po’ troppo magro, ma Enea gli diceva che era la sua faccia sempre incazzata che teneva le ragazze lontane perché, testuali parole dell’altro, lui mica era cesso.
“Sono pieno.” Un rutto sottolineò l’affermazione.
“Sei una fogna.” Ribatté Lorenzo, ed Enea rise.
“Sarà. Ora che hai parlato stai meglio?” La voce divenne seria e lo sguardo scuro dell’altro indagatore.
“Sì. Magari smetto di fare incubi.” La voce gli si strozzò. Non voleva più sognare quelle cose. Non voleva più vedere i corpi seviziati da quel monaco senza volto, ma con un nome, che abusava di ragazzini e poi li uccideva.
Si avviarono verso casa e, una volta nella sua stanza, Lorenzo si buttò sul letto. Era così stanco… e magari avrebbe dormito, dormito e basta. Almeno questa volta.
Non finì neppure il pensiero, che il sonno lo raggiunse, trascinandolo nell’oscuro mondo intessuto dagli incubi.
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La solitudine delle Ombre
ParanormalUn'ombra che infesta le strade di Genova è pronta a versare sangue, vuole riavere quello che gli è stato portato via. Ed è sulla gola di Lorenzo che si stringono le sue morte dita di spettro. Lorenzo, che si ritrova addosso il segno di peccati comme...