Era passata una settimana da quella notte.
Enea aveva chiamato il padre, dicendogli che rimaneva a dormire lì e la cosa non aveva destato nessun sospetto: accadeva spesso che si fermasse da Lorenzo quando la madre di lui faceva il turno di notte.
Al risveglio, Lorenzo aveva scoperto che camminare e sedersi non erano poi cose così facili e scontate. Aveva sommerso d’insulti l’amico, che rideva, fino a quando non era stato zittito con un bacio. Era arrossito così violentemente da sentirsi il viso letteralmente in fiamme. La cosa positiva era che gli incubi avevano quai smesso di assillarlo, da quel giorno. E aveva anche scoperto che Enea era deciso a sfruttare ogni momento in cui sua madre era al lavoro per stare lì. Enea amava la compagnia dell’altro, teneva lontani gli incubi, e tutta la faccenda stava iniziando a prendere contorni sempre più irreali, fino a quando, una sera che erano nuovamente soli a casa di Lorenzo, Enea non arrivò con un’aria strana, il viso sconcertato.
Si era portato dietro il portatile e, dopo alcuni minuti, aveva presentato una pagina all’amico, indicando una parte specifica. Era un sito che raccoglieva le leggende di Genova e lui gli aveva evidenziato quella sulla basilica di San Siro.
Iniziò a leggere ad alta voce, impallidendo sempre di più, parola dopo parola.La leggenda di “Valentino” rimane solo nei racconti di un altro fatto raccapricciante. Durante l’invasione dei Longobardi, nel 569 A.D., Milano viene conquistata. Un gruppo di religiosi fugge a Genova e si rifugia in S. Siro, portando seco le reliquie di S. Ambrogio. Tra essi un chierico tonsurato, Valentino, che, nonostante un comportamento dissoluto e spregiudicato, (si narra che le sue mani fossero macchiate del sangue di innocenti) alla morte venne sepolto nell’allora cattedrale. Una notte, agli occhi degli abitanti, richiamati da terribili strepiti, si presenta una scena terrificante: due spettri trascinano fuori dal sepolcro il monaco resuscitato che, urlante, si aggrappa disperatamente alla bara. Fuggiti tutti in massa, qualche coraggioso ritorna la mattina dopo e trova il cadavere del religioso malamente gettato in una tomba del vicino cimitero all’aperto. Si dice che allora il corpo sia stato nascosto, il volto del monaco maledetto cancellato così come il suo nome, negandogli l’eterno riposo per i peccati commessi in vita.
“È tutto vero..?” La voce di Lorenzo era strozzata, venata di paura. Controllò e in qualche altro sito trovò riferimenti a quella leggenda. Valentino era esistito davvero e, a quanto pareva, lui aveva visto quello che aveva fatto.
“A quanto pare sì, quindi non ti sei inventato niente. Secondo me l’ipotesi della psicometria è più che valida!” Enea quasi saltellò sul divano, rischiando di far cadere il portatile.
“A me non sembra una cosa bella. Speravo… fosse una cosa, non so. Una specie di sogno e basta.” Mormorò, chiudendo il notebook e poggiandolo sul tavolo, al sicuro. Si sentiva improvvisamente stanco, mentre cominciava a sentire freddo. Enea lo attirò a sé e lo strinse, gli diede un lieve bacio sulla guancia e poi sbottò:
“Ma che freddo fa in casa tua, Lore? Mi sto gelando…”
“Num me ab oblivione relinquaveras?”*
A quella frase sobbalzarono, mentre la temperatura calava drasticamente, tanto che il loro fiato si condensò in nuvolette davanti ai loro volti. Ci fu un ronzio inquietante e, dopo un’oscillazione elettrica che quasi spense ogni luce, una sagoma scura, a malapena accennata e dai contorni sfuocati, sembrò stagliarsi davanti alla porta.
“Non…” Con voce strozzata Lorenzo squittì, la gola serrata dal terrore. Si mosse convulsamente, come l’amico, e si trovarono assieme girati verso la porta, pronti a fuggire dalla stanza.
Ma con uno schianto il battente si chiuse davanti a loro:
“Num me ab oblivione relinquaveras?” Ripeté una voce bassa, lontana, spettrale.
“No!” Lorenzo gridò con voce acuta, riconoscendo le parole latine. “Io… io mi ricordo di te! Vattene! Lasciami in pace!” Lacrime di terrore rigavano il volto del giovane, e sentiva il tremore di Enea dietro di sé. Poi sentì la sua mano sulla spalla, una presa incredibilmente salda, che sembrava sicura.
“Vattene!” Ringhiò il moro. Ma si sentiva la paura che strisciava in quel tentativo coraggioso. In un latino stentato, del resto neppure Enea era particolarmente portato per quella materia, disse: “I, hic stare non potes!”*
La figura d’ombra tremolò e, per un istante, sembrò di vederne chiaramente il volto giovane e avvenente, poi scomparve. La luce sfarfallò nuovamente e la lampadina del corridoio scoppiò sonoramente. In pochi minuti la temperatura nella stanza tornò normale e le luci smisero di variare d’intensità.
“Psicomentria un cazzo.” Mormorò Lorenzo, per poi accasciarsi sulla sedia lì accanto, scoppiando in singhiozzi disperati. “Cazzo ho fatto? L’ho liberato? Ora cosa vuole? È un fantasma! Un cazzo di fantasma e nessuno mi crederà mai!”
“Io ti credo, l'ho visto. Ti credevo anche prima… sai?” Enea si sedette accanto all’altro, scuotendo piano il capo.
Un fantasma, uno vero, cosa voleva da loro?
Tra l’altro uno ‘certificato’, con una macabra leggenda annessa. Lentamente si calmò e si rese conto che Lorenzo era ancora terrorizzato. Non che lui fosse calmo, ma poteva capire che, per l’altro, la cosa fosse ancora peggiore.
“Lore, stai tranquillo, non penso possa farci davvero qualcosa: è un morto, un fantasma. Di certo un modo per tenerlo lontano c’è. Magari non so, fargli dare i sacramenti così la sua anima trova la pace? Qualcosa del genere…”
“E lo spieghi tu che vogliamo far dare i sacramenti a quello? A chi, poi?” L’occhiataccia che gli venne rivolta lo fece sorridere, poi annuì.
“Se serve sì, domani andiamo a San Siro... è domenica, dicono messa. Vediamo di parlare con il prete.”
“Che chiamerà i carabinieri, tipo, per farci arrestare o qualcosa del genere, convinto che lo stiamo prendendo per il culo.”
“No, vedrai che va tutto bene.” Lorenzo a quella risposta sbuffò, tranquilizzato nonostante tutto dalla sicurezza dimostrata dall’altro. Si trovò la mano intrecciata a quella di Enea e lo guardò, alzando un sopracciglio. L’altro se lo tirò sulle gambe, baciandolo e accarezzandogli la schiena con dolcezza. Lorenzo lo fissò, scuotendo il capo.
“Non sono una ragazza.”
“In effetti ti mancano le tette.” Con aria assolutamente seria Enea toccò il torace dell’altro, per sghignazzare quando una gomitata lo raggiunse, fortunatamente non troppo forte, nelle costole. “Dai, ridi, domani sistemiamo tutto.”
“Spero.” Lorenzo si districò dall’abbraccio, scese dalle gambe dell’amico e uscì dalla stanza, dirigendosi alla sua camera. “La messa a che ora è?”
“Boh. Credo alle dieci, può essere?”
“Fantastico... domani mi devo svegliare presto anche se è domenica.” Cercando di dimenticare la paura, ma rifiutandosi di spegnere le luci accese in casa, Lorenzo si sfilò la felpa, infilandosi la maglia che usava per dormire e sentendo lo sguardo di Enea su di sé. Stava cercando di accantonare lo spavento, la visione di quello spettro, ma l’idea di rimanere solo in casa gli faceva tremare le gambe e si voltò di scatto verso l’altro. “Rimani qua, vero, stanotte?” Una traccia di panico nella voce.
“Hai paura di stare da solo?” Il sorriso strafottente si spense però immediatamente nel vedere quanto l’altro fosse teso, la sua espressione che mutava nella paura e il pallore tornare su quei lineamenti delicati. “Scusa. Sono un coglione.”
“Un po’.” Enea si avvicinò e abbracciò l’altro, stringendolo a sé, la schiena di Lorenzo contro il suo petto.
“Scusa.”
“Sì, non è colpa tua se sei scemo.” Un pizzicotto sul braccio fece sobbalzare Lorenzo.
“Non esagerare!” Ma Enea sorrideva, mentre in boxer, gli abiti si erano come ammucchiati per terra da soli, in un attimo, si infilava sotto il piumone. La brandina sistemata per sviare ogni dubbio accanto al letto.
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La solitudine delle Ombre
ParanormalUn'ombra che infesta le strade di Genova è pronta a versare sangue, vuole riavere quello che gli è stato portato via. Ed è sulla gola di Lorenzo che si stringono le sue morte dita di spettro. Lorenzo, che si ritrova addosso il segno di peccati comme...