6. Conseguenze

70 1 14
                                    

«Oh cielo, ragazzo, ma come ti sei ridotto così?»
Una sconvolta Madam Pomfrey si portò le mani a coprirsi la bocca aperta all'ingresso di un alunno ricoperto di sangue dalla testa ai piedi. «Su, ti tengo», aggiunse mentre si avvicinava per sorreggerlo dal fianco libero.

«Presto, serve del dittamo», sollecitò Piton quando raggiunsero il lettino su cui poggiarono il corpo privo di forze, prima di sollevargli la camicia con urgenza.

L'infermiera si precipitò sull'armadietto per recuperare la boccetta miracolosa e in un baleno fu pronta a riversarne il contenuto sulle ferite cicatrizzate.

«Pensavo di aver già visto il peggio in tutti i miei anni di lavoro qui ma tu, ragazzo mio, sei la prova che al peggio non c'è mai fine.»

«Come se la colpa fosse mia», rispose l'interessato a denti stretti per il bruciore che la soluzione gli provocava a contatto con la pelle seviziata del suo torace.

Nella sua testa invece regnava il caos, un ammasso di pensieri sconnessi e incoerenti. Sembrava che da quel bacio imprudente nel bagno fossero passati secoli, ma in realtà era stato fulmineo il passaggio dall'eccitazione per il tocco di Potter su di lui al risentimento per la sua mano, che gli aveva fatto questo.

Lo aveva quasi ucciso, e la cosa più folle era che non fosse frastornato per esser stato ad un passo dalla morte tanto quanto era rammaricato che la persona che ce lo aveva condotto fosse proprio lui. Doveva essere un motivo in più per odiarlo, per cancellare il suo volto dalla sua mente, per congelare ogni pezzo di cuore che batteva per lui... Invece non riusciva nemmeno a strappare via quella tristezza dal petto.

«Poche storie, via questa.»

Si riscosse nel momento in cui Madame Pomfrey stava tentando di togliergli la camicia per medicare le braccia, e un barlume di lucidità lo fece ritrarre immediatamente.

«Puoi tornare ad occuparti degli altri studenti, qua finisco io», comandò Piton all'infermiera che, dopo aver lanciato ai due uno sguardo di disapprovazione, si allontanò lasciando che il professore chiudesse le tende intorno al letto.

Era una fortuna che il suo padrino fosse lì, l'ultima cosa che gli mancava era esporre il suo Marchio Nero. Sperava solo che quella mossa non avesse destato sospetto.

Come se Piton gli avesse letto nel pensiero, disse:«Non temere, non si farà troppe domande, penserà che siano i capricci di un moccioso come tanti altri che arrivano qui.»

Draco non rispose e si lasciò togliere gli indumenti inspirando tra i denti ogni volta che il dittamo entrava in contatto con una delle molteplici cicatrici.

«Ti sei messo a giocare con Potter adesso, Draco?» Chiese calmo continuando il suo lavoro.

«Non so di che cosa sta parlando, non mi sono messo a giocare con nessuno.»

«Ti ha quasi reso carne morta, Draco, credi che sia una cosa da poco?»

L'ira con cui gli aveva rivolto quella domanda e il fatto che adesso quegli occhi neri ed imperscrutabili lo stessero fissando lo fecero agitare, dal momento che non sapeva cosa rispondere.

«Mi ha preso alla sprovvista», quasi balbettò.

«Non mi interessa. Questo ha oltrepassato ogni limite», si concentrò sulle spalle del ragazzo e riprese a parlare. «Devi smetterla, non puoi più essere lo sciocco ragazzino che si diverte ad umiliare gli altri per saziare il proprio ego, questo andava bene fino a quando c'era tuo padre a coprirti le spalle. Ma adesso sai bene che hai un compito importante da portare a termine, il tempo stringe e non puoi permetterti di perderne con trastulli infantili o di fare sciocchezze, soprattutto con Potter, Draco, è fondamentale che non gli accada nulla e che rimanga vivo.»

𝕴𝖑 𝖓𝖔𝖘𝖙𝖗𝖔 𝖕𝖔𝖓𝖙𝖊 𝖘𝖎 𝖈𝖍𝖎𝖆𝖒𝖆 𝕲𝖚𝖊𝖗𝖗𝖆 ||𝕯𝖗𝖆𝖗𝖗𝖞||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora