two.

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È tutto così strano e solo ora spero che tutto ciò sia un sogno, o magari un semplice incubo. Sbatto velocemente le palpebre, cercando di assimilare una frase, mi andrebbe bene anche buttare giù qualche parola, ma non di fare scena muta. E l'unico problema è la voce che proprio non vuole uscire come se mi avessero tagliato le corde vocali. Mi viene spontaneo tossire.

"Mi ascolti bene, signore. Questa mattina mi sono alzata con un'ansia incredibile, immaginando come sarebbe stato quest'incontro. Certo, ho anche immaginato che mi avreste assunta, però senza condizioni e senza lavoro extra. Non mi sembra molto bello chiedere ciò che ha chiesto lei, ad una ragazza. E non accetto affatto che lei lo abbia chiesto a me, insomma, non sembro proprio una ragazza seria?"

Una voce decisa esce dalle mie labbra, esclamando testuali parole, che al solo sentirle fece serrare le labbra gonfie del ragazzo.

"Non sono sicuro del fatto che tu sia una ragazza seria o meno, ma sono sicuro del fatto che questo posto ti serva, e credo basti sapere solo questo."

Scandisce bene ogni parola, tenendo lo sguardo puntato sui miei occhi. Ed è questo che rende il tutto più complicato. Sembra che da un momento all'altro, se solo lui volesse, quegli occhi potrebbero buttarmi lame di fuoco addosso, ed è proprio così: mi bruciano. Eppure io cerco di intraprendere qualcosa dai suoi occhi come faccio di solito, ma non riesco proprio, come se ci fosse una barriera più forte di me che ricopre tutto. Perché lo so, sono fortemente sicura che se riesco a battere quella barriera attraverso i suoi occhi, riesco a capire gran parte di lui e della sua tensione.

Già, la sua stupida tensione.

"Niente ti conferma ciò che sono pronta a fare, Jason."

Oh no.

Gli ho dato del tu?

Brava, Rue. Complimenti.

Ma continua, non fermarti e spiega la tua ragione.

"È vero, sono così disperata sul piano economico che a malincuore accetto la tua proposta. Devo per forza, non so se capisci. Però, ti prego, promettimi una cos-"

Faccio per finire la frase, ma lui ancor prima inizia a parlare.

"Chi ti ha detto di poter darmi del tu? Accidenti, ragazzina. E poi scordatelo, non faccio promesse a nessuno qui. Sei come le altre, non fai la differenza. Ricordalo."

Urla così forte che sono costretta ad allontanarmi. Che ragazzo egocentrico, ugh. Siamo dei coetanei, è ovvio che mi viene spontaneo darti del tu, dio! E poi, va bene. Il lavoro è lavoro, e le promesse non c'entrano una beata minchia. Seconda mossa sbagliata, Rue.

E a quell'"accidenti ragazzina." una scia di brividi ha percorso la mia schiena.

"Certo, mi scusi."

E rieccola. Quella voce che ho tanto odiato. La solita voce tremante che appartiene solo ai debucci. Che cazzo ti tremi, Rue? Sei grande ormai.

Dio, che casino.

"Bene, hai la settimana di prova, ma ora rimani qui ad aiutarmi con i tavoli, intesi?"

Dice ancora il mio capo, più rude che mai. Ha le vene che gli pulsano sul collo e il viso leggermente arrossato. Dal nervosismo, credo. Ma tutto ciò non mi torna. Cos'ho fatto ora?

Comunque, faccio ciò che dice. Devo fare ciò che dice, non credo di aver altre soluzioni a mia portata di mano, quindi.

"Non vedo nessun tavolino qui, signore."

Esclamo ironicamente, girando lo sguardo divertito intorno alla sala, che però, quando torno a puntarlo sul corpo allenato di lui, ritorna serio proprio come lo è il suo. Il suo sguardo, intendo.

"Sii seria, per favore. Non sei qui per divertirti e tanto meno per fare battutine. I tavoli saranno qui fra circa mezz'ora, quando il nostro colloquio terminerà decentemente."

Ribatte lui, pronto a discutere su quanto io sia squilibrata e soprattutto su quanta poca serietà ci sia in me. E avevo pure detto di esser seria.

"Era per alleggerire la tensione, capo. E sì, da ora sarò più seria che mai. Ma soprattutto mi concentrerò sul mio lavoro."

Butto giù, assieme al nodo che si era formato in gola durante questi cinque secondi.

Odio cosa comporta lui in me. Odio come reagisco al sentire le sue parole. Mi sento come se fossi sottomessa da lui. E lo odio, fin troppo. Anche se non posso farci niente. Posso solo odiarlo in silenzio, perché se esprimo i miei sentimenti ad alta voce in modo udibile per lui, sono sicura che mi sbatterebbe fuori di qui a calci. In fin dei conti sono io che ci perdo, mica lui, quindi decido di farmi comandare da lui. Credo si senti bene così. Credo lo faccia star bene avere tutto sotto controllo. Tutto nelle sue mani, insomma. Ed è ovvio che a lui vada bene così. Anche se a me no, deve andarmi bene. Devo adattarmi a tutto questo.

"Dimmi il tuo nome."

Avanzo due passi difronte a lui, mentre svelo quasi sussurrando la mia identità.

Come ha ordinato lui, no?

Forse ho sbagliato e me ne accorgo dalle sue mani che si stringono in un pugno.

"Vuole picchiarmi?"

Penso io, accorgendomi del fatto che forse l'ho fatto ad alta voce. Forse. Ed è questo a peggiorare ancor di più le cose.

"Ma che cazzo vuoi, ragazzina? Dimmi il tuo nome e non fare storie, io mi comporto come voglio. Chiaro?"

Urla, ancora.

Ma te l'ho detto poco fa, rincoglionito. Di che cazzo soffre sto tipo? Davvero, non riesco a capirlo.

"Rue Heaven, gliel'ho detto poco fa, signore."

Sono già stufa di ripetere, ripetere e ripetere ancora quella fottuta parola. Ma anche se controvoglia devo. Devo e basta.

"Tu parli a bassa voce quando non dovresti, è colpa mia ora?"

Mi fissa con quello sguardo pieno di 'ovvietà'. Ho i nervi a tremila e passa e non credo che una sola camomilla riesca a calmare tutto ciò che ho dentro.

"Bene, abbiamo iniziato con il piede sbagliato e credo che anche tu te ne sia accorta, no?"

Si blocca e continua a fissarmi sempre con lo stesso sguardo. Ha lo stesso sguardo da quando sono entrata qui dentro, più o meno, e già tutto mi sa di monotono.

Spero che ora mi chieda scusa per i suoi toni, i suoi atteggiamenti e quant'altro. Ma chi me lo fa sperare?

"Però purtroppo non si può tornare indietro, e quel che è fatto è fatto."

E ad affermare quelle parole è stata proprio la stessa bocca che mi ha proposto del lavoro sporco, se così si può definire.

Ed è proprio da questo momento che mi arrendo. Sono sicura che quella bocca non mi annuncerà mai nulla di buono, se non l'assunzione al lavoro.

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