Capitolo Cinque

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(Harry ha avuto un altro attacco di panico. È stato meno grave ed eclatante del precedente, anche se ancora non riusciva ad arrivare a patti con l'idea che una cosa come il suo lavoro lo portasse a certi anfratti della sua mente, a certi momenti fatti di singhiozzi e membra tremanti. Emily l'aveva chiamato e gli aveva ripetuto che Harry dipendeva da quante e quali pagine sarebbero arrivate entro il nuovo anno, e la cosa gli aveva fatto girare la testa fino a richiedere, ancora, di trovare quel corridoio arieggiato e poggiarci la schiena: aveva visto, nei rantoli e tra le lacrime e nei piccoli singhiozzi leggeri, la figura di Liam. Il giovane l'aveva fissato ed era andato via e, qualche minuto dopo, era tornato Louis, tutto passi veloci e affrettati, una voce preoccupata che gli aveva alzato il viso:

"Harry? Harry, che c'è? Harry. Ehi. Parlami. Mi parli? Harry."

Lui si era rintanato nella sua spalla, il naso sulla pelle profumata, le mani a stringere il maglione come pugni.)

(Liam aveva visto uno scorcio minimo di quella crisi, e non l'aveva valutata, preferendo trovare Louis il prima possibile. L'aveva scovato a leggere con occhi scuri le lettere dei creditori, e quando il Duca aveva visto il suo amico lì in piedi, aveva già sulla lingua pronta la classica, intramontabile massima: "Non me ne frega un cazzo, Liam." Poi, però, aveva mormorato un minuscolo: "Harry sta-" e l'altro era balzato in piedi. Harry cosa? Harry stava male, aveva un problema, era successo qualcosa? Era corso per l'ala adiacente del castello, le labbra contratte, e l'aveva trovato mentre stava poggiato alla parete con il corpo tremante. Quando aveva chiesto cosa stesse succedendo, tentando e fallendo di non sembrare in panico, due splendidi occhi verdi gli avevano domandato, insieme a un naso rosso e una voce tremante, piccola e dispiaciuta: "Perché pretendono così tanto da me? I-Io... Io non ce la faccio più e non so nemmeno-"

All'ennesimo piccolo, mortificato singhiozzo, Louis l'aveva stretto e basta, odiando quella sensazione per tutti e due.)

Harry si ricorda che sta arrivando Natale, e che mancano effettivamente due settimane, quando Ed propone al telefono l'idea di fare una qualche cover di una cover di Michael Bublé, ed Harry aveva riso di gusto, ottenendo il suo migliore amico a domandare, piccato, cosa ci fosse di strano. Erano comunque nel periodo giusto.

Lo scrittore l'aveva realizzato sbattendo le palpebre, e aveva salutato Ed frettolosamente, promettendogli di richiamarlo. Si era affrettato, stringendosi a un maglione particolarmente pesante, a trovare Louis ovunque fosse, la curva leggera del suo naso, le sue mani.

"Duca?" aveva domandato, e Louis non aveva alzato nemmeno gli occhi da un quaderno. Aveva dei sottili occhiali sul naso. Lo stomaco di Harry si era aggrovigliato.

Uno schiocco: "No."

"Non ti ho chiesto niente" aveva ribattuto, ma sorridendo in maniera leggera perché ormai aveva capito che loro due funzionavano in quel modo, e non era più tanto sicuro gli dispiacesse. Louis aveva continuato a stringere la penna:

"Prevengo, Bambi. È così che ci si deve comportare, con te."

Harry si era mordicchiato le labbra, ignorandolo, e, dopo un po' di silenziosa protesta nello stare lì in piedi sull'arco della porta, Louis aveva alzato gli occhi e l'aveva guardato, osservandolo a lungo, in attesa. Harry aveva ricordato: "È quasi Natale."

Una piega negli occhi: "Credimi, non posso scordarmelo."

"Okay" aveva risposto, senza indagare in nessun modo "Ma avrai delle decorazioni, no?"

"Non addobberò Westempthon con te, Agatha Christie. Scordatelo. Nemmeno tra un milione di anni."

"Per favore" aveva continuato, avvicinandosi. Louis aveva posato lentamente la penna, incrociando le braccia. "Voglio solo-"

A Castle For Christmas ||L.S.||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora