Capitolo 26

81 6 0
                                    

Sumie's Pov

Al mondo non c'è niente, niente di più pericoloso dell'anima che ospita il nostro corpo.

È proprio questo quello che pensavo tutti i giorni, durante la mia permanenza all'orfanotrofio. Tutti i giorni erano una dolce agonia, dove ero sempre in attesa di qualcosa che non conoscevo, ma che bramavo comunque.

Di cosa avevo bisogno, in quel periodo?

Forse, banalmente, desideravo solo dei sogni. Questo perché la maggior parte dei bambini piccoli ha dei sogni grandi quanto le nubi che oscurano il cielo, mentre io non avevo niente, non possedevo alcun sogno. Dentro quelle quattro mura, non mi sentivo in grado di sognare, non mi sentivo in grado di fare niente.

L'unica cosa che provavo era odio verso i bambini che mi prendevano in giro, solo perché avevo i capelli bianchi, un colore innaturale per loro. Così ogni volta che passavo davanti allo specchio del bagno mi veniva solo voglia di tagliarli o di strapparli direttamente, e pensavo che magari poi mi sarebbero ricresciuti di un colore più normale, come il castano o il semplice biondo.

Eppure alla fine non l'ho mai fatto, per un motivo o per l'altro.

"Mi hanno solo portato in una specie di clinica, Keishi. Lì rimanevo tutto il giorno chiusa in una stanza spoglia, senza nulla che mi appartenesse. E quando il mio quirk si attivava da solo... loro dovevano fare di tutto per fermarmi" racconto mestamente, incapace di guardarlo negli occhi.

In realtà, non penso che il tempo che ho passato là sia stato poi tanto male alla fine. Del resto, quando la mia unicità non creava problemi, me ne rimanevo sola nella mia stanza, e a volte guardavo i bambini giocare nel giardino all'esterno, immaginando di potermi divertire con loro.

"Cosa facevano per fermarti?" mi domanda mio fratello, il tono indecifrabile. Ancora non ho abbastanza coraggio per guardarlo negli occhi, perciò continuo a tenerli fissi sul pavimento pulito.

"In breve, è questo ciò che mi facevano..."

Visto che adesso mi sembra di non riuscire a trovare le parole giuste con cui esprimermi, scelgo di mostrargli quello che gli vorrei raccontare.

Porto le mani al petto, sfiorando il tessuto della felpa che indosso. Tiro leggermente giù la parte che copre la clavicola e gli mostro la cicatrice che si nasconde sotto. Trattengo il fiato e la guardo anch'io, non sapendo bene dove posare gli occhi.

"Questa... come te la sei procurata?"

Sospiro e rialzo subito la felpa, vogliosa di coprirla il prima possibile. Anche se la cicatrice è lunga solo pochi centimetri - non più di cinque - io me la sento bruciare lungo tutto il petto, come se si fosse trasformata in fuoco ardente. E sotto il suo sguardo, riesco quasi a percepire di nuovo il dolore che ho provato quando me la sono procurata.

"Possiamo parlarne un'altra volta, non importa" bofonchio poco convinta.

Finora l'unica persona che conosce la storia della mia cicatrice è Rika. Prima di dirglielo però, ho fatto passare molti anni, poiché non mi sentivo mai pronta. Anche se adesso dovrei dirlo a mio fratello, e quindi in teoria dovrebbe essere solo più facile, in verità mi sento solo a disagio.

Perché è vero, Keishi nonostante tutto è molto importante per me, ma ormai non ci vediamo già da molti anni. Fa male dirlo, però adesso mi sento come se il nostro rapporto si fosse incrinato.

Per un verso, è po' buffo.

Davvero mi ricordo più io di lui che lui di me? Eppure è lui quello più grande dei due... forse alla fine, non gli stavo molto a cuore come pensavo.

Bugie di cartaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora