Capitolo 4 - Cenerentola ... o no?

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Entrare nella casa di Sakusa era sempre un'esperienza un po' surreale.

Atsumu, la prima volta che era stato invitato, si era aspettato di ritrovare la fedele riproduzione delle sale chirurgiche del più pulito degli ospedali e griglie di laser che vagavano totalmente random per analizzare superfici e calcolarne la percentuale di polvere, orme di impronte digitali e pezzi di DNA portati dal vento, bruciacchiando gli usurpatori che avevano l'ardire di presentarsi con le scarpe sporche e totalmente privi di mascherina.

Si era aspettato divani coperti di plastica, assenza completa di mobili superflui, una bara come letto, qualsiasi cosa.

Quella volta, lo shock era stato talmente forte che ci vollero almeno venti minuti per farlo riprendere, facendolo guardare attorno a sé con aria imbambolata e stralunata.

Adesso era un po' più preparato, ma rimaneva comunque una piacevole sorpresa.

L'aria era pulita e fresca, come se le finestre fossero rimaneste aperte notti e giorni senza essere mai chiuse. C'era un profumo leggero e marino insieme che aleggiava per tutto l'appartamento, soffice e impalpabile, spruzzato dai deodoranti per ambienti che Sakusa aveva nascosto in vari angoli in modo da permettere il loro lavoro senza la seccatura di essere visibili.

C'erano piante di un verde brillante che abbellivano le stanze, piccoli vasi graziosi posti su mobiletti alti e foglie rigogliose, ampie e lussureggianti a vivacizzare il salotto sui toni del grigio, insieme a punti di colori di cuscini variopinti, plaid piegati sui braccioli del divano e utensili fantasiosi. Per esperienza sapeva che la flora di quella casa fosse interamente posticcia perché, a detta di un padrone di casa imbronciato, "Qualunque cosa tocco, muore. Non riesco a star dietro nemmeno ad un cactus, quindi le preferisco finte."

L'ammissione riluttante lo aveva, suo malgrado, riempito di ridicola tenerezza, facendogli uscire un "Aaaaawww!" sentito, a cui era seguito un "Fottiti, Miya." che non era tanto sicuro di meritarsi.

Quello, però, era tempo prima, quando poteva godere della compagnia di Bokuto e Hinata puntando sulla loro presenza invadente per distrarlo e non sapeva ancora che, stare da solo con Sakusa in quel contesto domestico, lo avrebbe riempito di uno strano nervosismo che gli avrebbe attaccato aggressivo lo stomaco e che non lo faceva stare per niente tranquillo.

Non capiva perché.

Era stato miliardi di volte solo con Sakusa, ovunque: sul treno, in palestra, in camera alle trasferte, non comprendeva perché quel momento dovesse essere diverso dagli altri.

Forse perché lo aveva visto sparire nella sua camera da letto – di cui era enormemente curioso – per andarsi a cambiare, vedendolo uscire con un maglione così enorme e largo, dai colori così sgargianti da ferirgli gli occhi, che lo avvolgeva morbidamente e gli faceva pensare che, se avesse allungato la mano e lo avesse toccato, glielo avrebbe anche permesso.

Sakusa si offrì di prestargli qualcosa di più comodo, cosa che rifiutò con un balbettio confuso, e lo invitò a comportarsi come fosse a casa propria, a cominciare ad accendere la televisione, ad avere via libera con la cucina o il cassetto dei depliant da asporto, a seconda di cosa avesse voglia per cena.

Era carino.

Era destabilizzante.

Perché ad ogni gesto di cortese ospitalità, che gli rendeva petto e addome stranamente agitato, seguiva l'avvertimento di non mettere i piedi sul tavolino, di lavarsi le mani prima di toccare qualsiasi cosa, di usare il sottobicchiere pena una morte dolorosissima, tutti sibili che lo avevano aiutato a ritornare sui giusti binari e ad ammorbidirgli i nervi, rispondendo con tono piccato e ricadendo nelle conversazioni sarcastiche che tanto piacevano ad entrambi, che li portavano a giocare, scherzare e minacciarsi più o meno seriamente.

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