Capitolo 3 - I sogni son desideri

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"... E dovevi vedervi, eravate osceni!" Atsumu si stropicciò la fronte poco sopra le sopracciglia, poggiando i gomiti sul bancone del ristorante di suo fratello con aria disperata. Gli faceva male ricordare quelle cose, che diventavano con sua somma gioia ogni minuto più nebulose, ma doveva rendere partecipe Osamu dell'altissimo grado di schifo che era riuscito a raggiungere con Sunarin. Anche nei sogni. Soprattutto nei suoi sogni. "Non voglio sapere come funzionavate con te come specchio."

"Tsumu, ti ho mai detto di non voler sapere le tue cose?" Osamu gli porse la salsa di soia, ricominciando a modellare il riso dentro il palmo della mano. "Sono sicuro di sì, ma se vuoi lo ripeto."

"È stato un sogno stranissimo, giuro. Batte anche quella volta che ho sognato la casa piena di patatine fritte, ho cominciato a mangiarle senza fermarmi e mi sono svegliato talmente sazio da correre a vomitare."

"Lo ricordo." Osamu inserì del salmone nel riso con un ghigno divertito. "L'hai quasi fatto su papà." E ridacchiò, perché non era stato lui a ricevere minacce cruentissime mentre cercava di svuotare uno stomaco già vuoto.

Era mattina. Mattina presto. Così presto che i gatti randagi lo avevano scrutato con sguardo malevolo per l'affronto, ma non abbastanza presto da trovare ancora il locale di suo fratello chiuso per i rifornimenti al mercato del pesce.

Era relativamente presto e stava facendo una sostanziosa colazione salata. Per disperazione.

In quel momento Atsumu avrebbe dovuto rispondere ai messaggi nella chat della squadra, cercando di imporsi e riuscire a far accettare la sua proposta di prossimo film in programma per la serata cinema. Non voleva assolutamente incorrere in un altro Disney discutibile, uno bastava e avanzava.

Ma quando si era svegliato quella mattina ed aveva capito che il viaggio interfantastico di cui era stato riluttante protagonista – coprotagonista, gli ricordò la coscienza con la voce di Samu - non era altro che un sogno particolarmente realistico, ed aveva quindi deciso di astenersi dal vedere qualsiasi cartone animato per almeno i prossimi trent'anni, era corso a raccontare tutto, al solito, ad Osamu.

Non sapeva perché. Non capiva perché.

Avrebbe potuto farsi gli affari suoi e campare con la consapevolezza di avere qualche rifiuto cerebrale cosciente per quanto riguardava i film di animazione, di tendere a mischiare finzione e realtà, di poter giurare di aver sentito veramente il braccio di Sakusa stretto al suo ad un certo magico punto.

Secondo Grey's Anatomy, erano i sintomi belli tosti di un'allucinazione tattile. Una là dentro ci stava quasi rimettendo le penne per una cosa del genere.

Ma Grey's Anatomy era finzione, dannazione.

Non avrebbe dovuto dar seguito agli atteggiamenti da fangirl di Inunaki, Sakusa e Bokuto.

Era già preoccupante che nessuno avesse mosso ciglio alla notizia che Bokkun avesse cominciato a seguire una serie televisiva incentrata su persone che alternavano felicemente scopate al limite dell'umana decenza a sessioni di affettatura legalizzata e a cui, seriamente, dovevano togliere il bisturi e provvedere ad allontanare da qualsiasi ospedale, non alimentare la sete di sangue.

Solo lui vedeva il pericolo? Solo lui era l'essere umano mentalmente sano da capire che Bokkun e dramma ospedaliero non fosse l'accoppiata vincente che tutti credevano?

Era sicuro di no, ma come lui non avrebbe mai alzato l'argomento sicuramente non l'avrebbero fatto neanche gli altri. Per quieto vivere.

Il problema principale, quindi, era che avrebbe potuto campare di ignoranza.

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